Brexit: un referendum non per giovani, fuori dal futuro dell’Europa

Giovedì 23 giugno 2016. Una data che segnerà i libri di storia, una giornata che cambia il mondo per come l’abbiamo conosciuto in questi anni. La Brexit è realtà. I cittadini britannici si sono espressi, la maggior parte di loro ha votato a favore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. L’opzione “Leave” ha vinto con il 51,9% dei voti, contro il 48,1% del “Remain”. Ma il risultato evidenza le molteplici fratture del Regno Unito.

 

“Cosa è l’Unione europea?”. A poche ore dall’esito del referendum che ha sancito la Brexit, è questo il quesito più ricercato sul web nel Regno Unito. Milioni di britannici, nella notte tra giovedì e venerdì, hanno chiesto a mister Google una risposta. “Cosa sarebbe successo in caso di uscita della Gran Bretagna dall’Europa?”. Questa la domanda più quotata, secondo i dati di Google Trends, che ha registrato un’impennata di richieste sul tema nelle ultime ore. La domanda è cresciuta in modo esponenziale dopo la fine delle operazioni di voto. 

Se le persone sono talmente superficiali da cercare informazioni dopo aver votato l’efficacia del sistema democratico risulta nulla.  Come può esserci crescita se il popolo vota senza capire la decisione che prende?

Al di là dello stupore, il dato ci racconta una delle molte fratture con cui deve fare i conti il Regno Unito adesso. Sebbene ci vorrà tempo per poter osservare ed analizzare i flussi di voto, un sondaggio di YouGov illustra come i giovani si sarebbero espressi in massa per rimanere: il 75% dei cittadini di età compresa fra i 18 e i 24 anni avrebbe scelto il Remain, anche se l’afflusso dei giovani alle urne sembra inferiore a quello degli anziani. Il contrario (ovvero l’appoggio al Leave) si legge piuttosto fra anziani e coloro che hanno titoli di studio inferiori ancorati al miraggio di un Commonwealth ormai retaggio dei secoli passati.

Sempre secondo i dati di YouGov, ancora fra i 25 e i 49 anni il Remain aveva il favore delle urne (56%). Le cose sono cambiate dai 50 ai 64, con il 44%, e soprattutto oltre i 65 anni: gli anziani hanno votato per restare al 39%. Tradotto: fra i nonni e i nipoti passa uno scarto di 36 punti percentuali. È una visione della vita che più opposta non si potrebbe. E considerato il maggior numero di cittadini di età matura, tendenza di ogni paese occidentale, è questo che ha deciso l’uscita della Gran Bretagna. La situazione diventa ancora più paradossale se consideriamo che i giovani dovranno vivere ancora per almeno 50 anni in questa Europa frutto della visione (e delle paure) di chi ha una prospettiva di vita molto inferiore.

Cosa accadrà ora: verso un nuovo referendum?

referendum scozia brexit

Qualche giorno fa, ancora prima che gli elettori si recassero alle urne, gli indipendentisti dell’Snp avevano evocato la possibilità di riorganizzare un referendum per ottenere l’indipendenza della Scozia. Proprio per questo motivo Nicola Sturgeon, prime minister scozzeze, ha confermato che l’ipotesi di un referendum è «sul tavolo», puntando poi dito contro la scelta di Londra: «L’establishment di Westminster deve far un esame di coscienza». Una frattura, inaspettata e forse per questo ancora più dolorosa è quella con l’Irlanda del Nord: il 55,8% degli elettori ha votato per rimanere in Europa.

E c’è già chi parla di un ipotetico ricongiungimento con la cattolica Irlanda per distaccarsi dalla Brexit e restare nell’Unione. Su questo solco si colloca anche Martin McGuinness, vicepremier dell’Irlanda del Nord e leader del partito cattolico Sinn Fein, che ha parlato al Guardian dicendo che il voto avrà «enormi conseguenze per l’intera isola d’Irlanda, che andrebbero contro le aspettative democratiche del popolo e l’elettorato dovrebbe avere il diritto di votare per mantenere un ruolo nell’Ue». Un terzo territorio che si è espresso per il Remain è Gibilterra: nella Rocca gli abitanti hanno votato in massa per rimanere nell’Unione con il 95,6% delle preferenze per il Remain. Non ha perso tempo il Ministro degli Esteri spagnolo che ha proposto una co-sovranità con la Spagna per amministrare Gibilterra.

Le borse barcollano: che economia e che Europa aspettarci?

brexit conseguenze
Gli alti funzionari delle banche già sussurrano che dovranno spostare migliaia di posti di lavoro da Londra a Dublino, Francoforte o Parigi perché l’Ue non gli permetterà di operare in Europa se non sono nell’Ue. Il ragionamento non fa una grinza ma farà malissimo a un’economia inglese che deriva quasi il 10% del Pil dai signori e dalle signore del denaro. Il successore di Obama dovrà prendere una decisione che nessun Presidente americano ha dovuto prendere nell’era moderna: scegliere tra l’Europa e la Gran Bretagna come «alleato favorito». Da una parte c’è la relazione militare con uno dei pochi paesi che ha un esercito forte e la voglia di usarlo, dall’altra il mercato economico più florido e ricco di scambi al mondo.

Il mondo non sarà più lo stesso. Concretamente ora si apre una lunga fase di negoziati per ridefinire i rapporti tra Regno Unito e il resto dell’Unione europea. Ci sono due anni di tempo per riscrivere le regole di una convivenza che si vuole comunque amichevole ed economicamente sostenibile con vantaggio reciproco. I modelli sono tre: la Norvegia, la Svizzera, il Canada. Ciascuno ha i suoi pro e i suoi contro, ma la priorità dovrebbe essere evitare che alla Brexit facciano seguito altre decisioni ad effetto domino. Nel frattempo la libertà di circolazione dei cittadini britannici in Europa è compromessa, il loro potere d’acquisto cala vertiginosamente, cresceranno i prezzi dei biglietti aerei. I cittadini UE in Gran Bretagna diventeranno extracomunitari e avranno bisogno di uno speciale permesso di soggiorno, le pensioni degli espatriati si scioglieranno come neve al sole, i funzionari europei a Bruxelles e Strasburgo non hanno idea di cosa accadrà del loro futuro.

Il 24 giugno, David Cameron, miope promotore di questo referendum, visti i risultati ha lasciato la guida del paese. A ottobre ci sarà un nuovo primo ministro, nel frattempo Londra e la Gran Bretagna dovranno comprendere quali saranno le realtà conseguenze di un voto che ha spaccato il paese e il continente. I vincitori – Nigel Farage, Boris Johnson – non hanno fretta, chissà se si aspettavano davvero di vincere. Si godono i complimenti dei colleghi europei: Marine Le Pen, Geert Wilson, Matteo Salvini non hanno perso tempo per correre sul carro dei vittoriosi con bandiere, entusiasmi e proposte emulative.

 

L’Europa ha dei problemi, la Brexit deve trasformarsi in uno stimolo

brexit cameron merkel
Tecnocratica, profondamente ingiusta e governata dai mercati finanziari. Questa non è solo la percezione che i cittadini europei hanno dell’Unione Europea, ma è la fotografia di quello che è diventata. L’Europa delle diseguaglianze, additate da tutti come causa del crescente populismo, non è frutto del caso, ma la naturale conseguenza delle politiche economiche imposte dalle élite finanziarie agli stati membri per aumentare il proprio potere speculativo. L’impressione è che meno spazio c’è per la partecipazione, più sono soddisfatti i “poteri forti” di governi ed élite finanziarie. Voteremo sempre di meno: anche la riforma costituzionale Renzi/Boschi sembra andare nella stessa direzione. Basti pensare al fatto che il Senato non sarà più eletto dai cittadini, ma nominato, oppure all’ala di mistero che circonda le trattative su accordi fondamentali come il TTIP e il CETA.

La soluzione, tuttavia,a non è un’uscita di massa, una disgregazione europea o una revisione dei trattati che produca un’Europa a due velocità. Al contrario, a mio avviso è necessario un nuovo patto costituente: coraggioso, condiviso, democratico ma soprattutto più politico e meno economico. La Brexit è una fatnatstica occasione per crescere e andare avanti, più forti di prima, riscoprendo quei valori europei che, evidentemente, non vedevamo più perché coperti da una tecnocrazia finanziaria lontana dai cittadini.

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