Precarietà ed insoddisfazione giovanile

La crisi dello Stato sociale pagata dai giovani è lesiva di ogni forma di sviluppo

di Ilaria Maria Di Battista

precarietà giovanile

C’è chi si domanda il motivo per cui si continui ancora a parlare di diritti umani senza che essi vengano garantiti. Ciò accade non solo nei cosiddetti Paesi emergenti, quanto anche in quel famigerato Occidente democratico in cui sembra venir meno ogni forma di Stato sociale. Si tratta di una violazione parzialmente diversa, poiché strettamente correlata alle condizioni politico-economiche e socio-culturali del contesto in cui ha luogo, ma si parla pur sempre di diritti negati. L’incremento della disoccupazione o della precarietà giovanile che spingono sempre più ragazzi e ragazze a sentirsi spacciati per via di un debito pubblico cresciuto in tempi in cui non erano ancora nati; l’essere giovani donne le quali, a causa di una gravidanza insostenibile per le casse dell’imprenditoria, vengono licenziate: non sono forse queste violazioni di diritto?

 

Avendo l’occasione di intervistare giovani neolaureati, in particolar modo di discipline generalmente definite umanistiche, si percepisce lo sconforto e la loro disillusione nell’appartenere a questo mondo tanto “politicamente corretto” e superficialmente trasparente, quanto incapace di comprendere le vere concause sistemiche che generano effetti sociali più o meno esplosivi e catastrofici. Ai giovani viene chiesto di essere creativi così come flessibili e resilienti alla crisi, ma chi più di loro ha incarnato questi ultimi caratteri sociali? Non si può dimenticare, infatti, che essi sono stati educati alla pace, ma assistono o muoiono come vittime di una guerra che non appartiene loro; sono cresciuti credendo nell’importanza dell’efficacia e vedono piuttosto spadroneggiare l’efficienza di cui diventano le vittime.  Si rendono conto di abitare, mangiare, vestire la guerra e – seppur siano mossi da un profondo fervore nel destrutturarlo – si sentono impotenti e vincolati alle scelte di un sistema di cui si considerano membri sradicati. Sono i figli della globalizzazione di cui non percepiscono tanto i benefici, ma piuttosto ne pagano i costi.

attentanto al Bataclan

A tutti gli effetti è proprio la gioventù a risentire della recessione che provoca gli aumenti della disoccupazione. Se ciò accade un po’ ovunque, i dati Ocse mostrano però quanto la situazione italiana sia tra le più critiche: nella media dei paesi la disoccupazione giovanile ha infatti raggiunto al massimo il doppio di quella del resto della popolazione. In Italia, invece, è quasi cinque volte maggiore, arrivando a raggiungere il 35% sul territorio nazionale ed il 50% nel meridione. Lo stesso Presidente della Repubblica Mattarella nel discorso di fine anno ha focalizzato l’attenzione sull’importanza di un incremento dell’occupazione giovanile per garantire loro un futuro legittimo che li liberi da stati di precarietà, sottoccupazione, e stipendi molto più bassi della media rispetto ai ruoli che rivestono, prospettando loro una vecchiaia segnata dalla miseria e dalle difficoltà.

I Neet – così vengono definiti i giovani tra i 15 e i 29 anni che né studiano né lavorano – in preda alla demoralizzazione finiscono spesso per arrendersi smettendo addirittura di cercare un’occupazione o giungendo a garantirsi la sussistenza attraverso il lavoro nero. Sebbene possa sembrare quasi un’apocalisse, non lo è e non può esserlo. E’ necessario che la speranza rimanga la forza dei giovani che rappresentano innovazione, creatività e futuro. Percepirsi unicamente in un vicolo cieco, senza piuttosto ricercare con tenacia e coraggio spiragli di luce che possano nutrire la giustizia sociale attraverso l’attivismo, è la prima forma di resa che segna la perdita della propria giovinezza. Personalmente credo che in virtù della resilienza acquisita le prime forme di impegno sociale da poter sperimentare siano proprio l’advocacy al pensiero critico, la libera informazione, la capacità di ascolto. E’ forse proprio nel piegarsi alle sorti del sistema da cui si viene rifiutati che con tenacia, gavetta e coraggio la gioventù può aspirare di in-formare la società di un agire veramente responsabile nei confronti di tutte le generazioni e i generi dell’intera umanità.

La chiave di accesso? Forse non è così evidente o univoca, e seppure ci sia chi sostiene che i giovani dovrebbero fare una rivoluzione, a nostro parere la conditio sine qua non sarà possibile realizzare un futuro migliore per i giovani sarà proprio partire dalla ricostruzione di un dialogo effettivo volto alla ristrutturazione di quel patto intergenerazionale garante dei diritti di padri e figli, nonché dell’evoluzione sociale in ogni dove e come della Terra. Questo significa impegnarsi ad agire per garantire un futuro di sviluppo sostenibile e responsabile all’umanità.

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