Lo scrigno dell’arte: dagli anni 60 agli anni 80 con Arrigo Buttazzoni

Per riuscire ad entrare nell’anima di un’artista ci si deve sincronizzare con il suo spirito, immedesimarsi nel suo pensiero e cercare piano piano, senza invadenza e presunzione, di arrivare a toccare le rime più alte della sua energia che viene trasmessa emblematicamente attraverso il mezzo espressivo e creativo in tutto ciò che lo contraddistingue. Entrare nella coscienza delle persone, dove la mente umana è il centro e l’origine di ogni significato, ci conduce a conquistare passo passo il significato del reale personale che non è altro che il vissuto della persona presa in “esame”.

Questa concezione implica, ovviamente, che non esista un’unica lettura possibile di un’opera, ma tante quanti sono i periodi storici attraversati e vissuti dall’autore, le influenze avute a livello sociale e famigliare, per poi ampliare il significato e l’esperienza stessa a livello cosmico. Ciò implica, anche, che qualsiasi interpretazione diventi così un dialogo tra passato e presente, tra valutazioni superate e nuove stime, dal caos più totale al raggiungimento dell’ordine, psiche, spirito e rinascita, sotto forme diverse.

Arrigo Buttazzoni, artista a tutto tondo, per mezzo della multisfacettata attività artistica ci consegna gli strumenti di lettura per arrivare all’anima della sua persona conducendoci per mano nel decifrare i vari messaggi, a volte criptati e altre volte svelati, del suo lungo e interminabile operare. Necessariamente, per immergerci nel percorso artistico durato circa quarant’anni di Arrigo e per fare un’analisi logica sui vari passaggi dell’artista, si rende necessaria una delicata passeggiata attraverso tutti i filoni riproposti in maniera ciclica dall’artista durante il suo cammino terreno.

Inizialmente Arrigo si esprime prettamente figurativamente toccando e immortalando nelle tele ciò che più lo affascina del suo circondato, cosicché le opere parlano di paesaggi del Friuli caratteristici e carichi di misticismo per poi soffermarsi e sviluppare temi simbolici come “radici” e “bozzoli di bachi da seta”. Attraverso queste due tematiche affrontate l’artista sembra dover tornare alle origini della sua terra, rappresentate dalle radici, per arricchire oltremodo il tema descritto con i bachi, (la bachicoltura in Friuli era una delle produzioni più importanti per il sostentamento delle famiglie), alimentando in se un’infinità di significati simbolici. Il baco per Buttazzoni assume un nuovo significato ossia la metamorfosi della vita. Un omaggio al mondo agreste violato dal progresso e pian piano ingurgitato dal grigiore delle fabbriche e dal progresso in genere. Emblematica è l’opera del 1973: “L’impotenza degli innocenti”, in cui denuncia l’opera delle ruspe a danno della natura. Il baco o meglio il bozzolo assume, nella poetica artistica di Buttazzoni, un punto fermo e sempre rappresentato, sia esso inserito in opere figurative che informali. Da qui parte e si sviluppano una serie infinita di corrispondenze simboliche riconducibili alla rinascita, positività nei confronti delle varie e necessarie metamorfosi che si devono assumere nella vita come i  cambiamenti intimi da psiche a spirito. Tutta questa produzione è stata eseguita a spatola.

arrigo buttazzoni esordi

Il secondo filone, “Manifesti Strappati”, dei primi anni ’70, si collega emblematicamente e tacitamente al primo periodo figurativo sviluppando sempre più una parte di pensiero del nostro artista, attraverso un’esemplare esecuzione di chiara matrice iperrealista con accenni a un verismo lirico esemplare.

Il messaggio profondo dell’artista, attraverso questo filone, intende squassare e portare a compimento un pensiero che sarà sempre comune a tutta la poetica artistica nella sua produzione. La denuncia di Buttazzoni va contro l’uomo che sta distruggendo la natura civilizzando con cemento il mondo e rubando ai piccoli esseri il loro spazio, oltretutto ciò che lascia l’uomo è spazzatura, ma la natura esiste e continua a vivere mentre l’opera dell’uomo è destinata lentamente a distruggersi, un esempio di ciò sono i manifesti strappati. I manifesti sono ridotti a brandelli, aggrediti da agenti atmosferici o dalla mano distruttiva dell’uomo che traccia il suo passaggio, sublimandolo in questi “stracci” di vita. Essi sono risolti su tela con tecnica ad olio e stesura a pennello. La certosina riproduzione e la grammatica intensa del colore iniziano a dare una certa direzione verso ciò che l’artista svilupperà nei prossimi filoni che non tarderanno ad arrivare.

Di fondamentale importanza, in questo periodo, è l’assiduo ascolto da parte di Buttazzoni della trasmissione radiofonica di Rai Radio 2 andata in onda fra il 1978 ed il 1980 La luna nel pozzo condotta dal  pianista Dino Siani che si impegnava a riprodurre pezzi musicali a richiesta. Tutta la produzione artistica di Buttazzoni è stata accompagnata dalla musica, la sua passione verso questa forma artistica lo porta alla profonda conoscenza di stili diversi come: Canto Gregoriano, New Age, Opera e Operetta, e sinfonie come la Moldava, Anonimo Veneziano, musiche di Wagner… Ciò che appassiona in maniera profonda l’artista però è l’opera lirica di ambientazione esotica divisa in tre atti di Georges Bizet: “I pescatori di perle”, (Les Pêcheurs de perles).

Di questa opera oltre all’importanza affidata alla catena di perle posseduta da Léïla, di fondamentale importanza sono le catene spezzate da Zurga, dopo questo atto di generosità egli si affida al suo destino. Lo stesso vale per Buttazzoni anche lui consegna grande importanza alle perle inserendole negli ambienti violati dall’uomo come nel quadro dedicato a Grado infilando nell’ambientazione fatta di immondizie una perla e un quarzo atti a purificare l’ambiente così offeso dall’uomo, con l’auspicio di un mondo ambientalmente migliore e con l’intento di stimolare il rispetto da parte dell’uomo nei confronti della natura. L’autore si ricollega a questa opera musicale anche con un quadro della sua ultima produzione in cui spezza le catene che sino allora erano state rappresentate chiuse, cosciente forse di ciò che la sua malattia stava riservando per lui, si affida così al destino serenamente, senza rimpianti e soprattutto consapevole che lui non morirà per sempre, ma seguiterà di certo a esistere nel mondo terreno grazie alla sua arte.

Il terzo e quarto filone sono riconducibili agli anni ’80 e camminano pari passo, essi toccano argomentazioni molto intime e hanno per titolo: “I Camion” e “Altari Dissacrati, Gran Fabula”. La rappresentazione pittorica è raffinata e ben curata, non è frutto di istintività, ma il risultato di indagine e studio matematico applicato alle prospettive e alla sua profonda sensibilità direzionata verso le armonie dei colori e i loro corrispettivi bilanciamenti. In merito al filone dedicato al retro dei camion è di fondamentale importanza capire il motivo della scelta rappresentativa nata da Buttazzoni.

In primo luogo, ogni mattina quando Arrigo si recava al lavoro veniva profondamente infastidito e rallentato dalla presenza dei camion nel suo viaggio, quando tornava a casa esprimeva questo disagio alla moglie Alessandra la quale consigliandolo ripetutamente di esprimere graficamente questo suo stato d’animo avrebbe forse risolto artisticamente e superato questo smisurato fastidio direzionando così tale costante del quotidiano da un’esperienza negativa a una positiva. Dietro ai camion, rappresentati sempre da dietro, e ai loro drappeggi si nasconde il mistero dato dalla non conoscenza del loro viaggiare, ossia la meta a noi è sconosciuta come il contenuto trasportato.

Allo stesso modo anche loro raccontano una propria storia e sicuramente stuzzicano la nostra curiosità. I drappeggi, risolti in versione iperrealista, ricordano allo stesso modo gli imballi di Christo, particolarmente evidenti nel filone “Gran Fabula”, dove solerte Buttazzoni usa avvolgere celebri monumenti, quasi a volerli proteggere rendendo comunque e sempre alto l’indice del mistero. L’impianto totale risulta così metafisico e surrealista e ha il compito di suggerire una spazialità immensa, ma non indefinita.

A questo punto della produzione dell’artista, come non mai, si può notare l’uso della sezione aurea per risolvere tutta la struttura fondante del quadro. Buttazzoni fu sempre affascinato, per l’uso della sezione aurea, dal quadro de: “L’Ultima Cena”, di Leonardo da Vinci (come dei quadri sempre di Leonardo: San Gerolamo, La Vergine delle Rocce, l’Annunciazione, la Testa di vecchio e la celebre Monna Lisa), e oltremodo fu attratto dalla diffusissima presenza della sezione aurea nei pittori prerinascimentali, quali Giotto, Duccio e Cimabue. Quadri rappresentativi di questo studio e messa in opera della sezione aurea approfondita e applicata da Arrigo nelle sue opere sono: “Omaggio a Michelangelo” 1981, “Analisi cromatica” 1981, “Io come Francesco”, 1982. Ma perché usare la sezione aurea nei dipinti? Cosa cerca Buttazzoni? L’applicazione della sezione aurea ha impressionato nei secoli la mente dell’uomo, che è arrivato a cogliervi col tempo un ideale di bellezza e armonia, spingendosi a ricercarla e, in alcuni casi, a ricrearla nell’ambiente antropico, quale “canone di bellezza”; testimonianza ne è forse la storia del nome che in epoche più recenti ha assunto gli appellativi di “aureo” o “divino”, proprio a dimostrazione del fascino esercitato.

La ricerca di Buttazzoni nella sezione aurea può essere ampliata e sicuramente ricondotta a una sua personale e forte ricerca del divino. Nel filone “Gran Fabula” l’artista ha una naturale propensione per una pittura spaziale dove il rilievo geometrico, si carica attraverso le prospettive, di una valenza emozionale che egli intende trasmettere facendo un particolare uso di tratti verticali, orizzontali e angoli retti che non sono altro che: “Misure Sacre” tra cui vi era ovviamente la sezione aurea.

La conoscenza della sezione aurea è inoltre fondamentale per le costruzioni dell’astratto a cui si affaccerà Buttazzoni dopo questo periodo.

A partire da questo periodo come non mai, anche se questa pratica del nostro autore fu sempre vivace e importante sin dagli esordi, fu l’esecuzione artisticamente definita del bozzetto. Il bozzetto di Buttazzoni, creato ogni dove e in qualsiasi tipo di carta, rispecchia in realtà l’opera nella fase più autentica, è la “prima” dell’opera più vibrante e fantasiosa nascita diretta dalla sua mente per figurarsi nell’ennesimo istante in cui è stata pensata. Ogni bozzetto così meriterebbe sinceramente uno studio a parte, prima di tutto perché si tratta di opere d’arte di qualità estetica notevole, ma anche perché rappresentano i passaggi fondamentali nel processo creativo dell’artista.

L’analisi di questi pezzi, confrontati con l’opera definitiva, offre molte e interessanti informazioni sul lavoro, presentandoli come piccole opere finite, senza mai essere lasciate abbozzate. Nei bozzetti l’autore esalta i contenuti simbolici dandone una precisa rotta interpretativa e va ad indagare l’affascinante territorio della creazione artistica nelle sue diverse fasi della concezione e elaborazione dell’opera finita.

Proprio nei bozzetti l’artista ci da saggio della sua infinita ricerca delle luci e delle ombre ottenendo dopo tanti anni di sperimentazione un risultato molto più che eccellente. Buttazzoni cerca sempre la luce e la sua inimitabile iridescenza e nel frattempo piano piano si sposta all’informale  frantumando le forme a lui consuete.

 

Raffaella Ferrari

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