EMERGENZA ANALFABETISMO FUNZIONALE: UN TERZO DEGLI ITALIANI È “INCOMPETENTE”

I DATI PARLANO CHIARO: IL 28% DEL PAESE HA “BASSE COMPETENZE” IN ALCUNI DEI CAMPI OGGI DIVENTATI FONDAMENTALI, E PRESENTA DI CONVERSO “ALTE DIFFICOLTÀ” NELLA COMPRENSIONE DI CONCETTI E ARGOMENTI DA CUI NELLA SOCIETÀ ATTUALE NON SI PUÒ PRESCINDERE. E PIÙ SALE L’ETÀ, PIÙ CRESCONO I DISAGI

Secondo una recente ricerca PIAAC (Programme for International Assessment of Adult Competencies), un programma dell’OCSE che valuta le competenze della popolazione, il 28% dei cittadini italiani presenta ‘low skills’, basse competenze. Questa condizione definisce l’analfabetismo funzionale. Significa che questa percentuale di popolazione è in grado di leggere, scrivere e far di conto, ma incontra difficoltà a comprendere testi semplici ed appare priva di molte competenze utili nella vita quotidiana e nel lavoro. La ricerca ha messo in luce che solo il 10% degli analfabeti funzionali è disoccupato o svolge lavori manuali, poco più della metà è rappresentata da uomini ed un terzo ha un’età superiore ai 55 anni. Il 60% si concentra tra Sud e Nord Ovest del Paese. L’aumento della percentuale di ‘low skilled’ cresce con l’età, passando dal 20% nella fascia 16-24 anni ad oltre il 40% negli over 55. Secondo la dottoressa Simona Mineo, ricercatrice presso l’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (ex Isfol), la causa è sicuramente l’assenza della scolarità obbligatoria per le persone nate prima del 1953, ma anche la maggiore presenza dell’analfabetismo di ritorno tra le fasce di età più avanzata. In questa indagine, nonostante abbia superato da decenni il gap dell’analfabetismo strutturale, l’Italia si colloca al 29° posto tra i 33 Paesi associati all’OCSE, a pari merito con la Spagna e davanti a Turchia e Cile.

Analfabeti funzionali si nasce, ma anche si diventa. Alcuni individui, infatti, possono subire un fenomeno di retrocessione – l’analfabetismo funzionale di ritorno – per non aver sollecitato a lungo le competenze acquisite in precedenza, come la lettura, l’informazione, la creatività e lo sviluppo di un pensiero critico generale. Il termine analfabetismo funzionale indica l’incapacità di un individuo di comprendere, valutare, usare testi scritti e con essi farsi coinvolgere per intervenire attivamente nella società, raggiungere i propri obiettivi e sviluppare le proprie conoscenze e le proprie potenzialità.

Anche se apparentemente autonomo, un analfabeta funzionale non comprende, ad esempio, il senso di un articolo pubblicato su un quotidiano, non è capace di riassumere e di appassionarsi ad un testo scritto, non è in grado di interpretare un grafico. In ultima analisi, non sa leggere e comprendere la società complessa nella quale si trova a vivere. Le conseguenze sono molte: secondo gli economisti Luigi Spaventa e Tito Boeri, vi è un’incidenza negativa sulle capacità produttive del Paese e, a loro avviso, ciò determina il ristagno economico che affligge l’Italia dai primi anni ’90. In un’intervista del 2013, inoltre, il linguista Tullio De Mauro dichiarava: “Più della metà degli Italiani ha difficoltà a comprendere l’informazione scritta e ciò porta a influenze negative anche sul voto, che molti fanno ‘con la pancia’”.

Dall’analisi della dottoressa Mineo risulta che, dopo avere acquisito buoni livelli di ‘literacy’ e ‘numeracy’ in età scolastica, in età adulta le popolazioni sono esposte al rischio di regressione verso livelli assai bassi di alfabetizzazione a causa di stili di vita che allontanano dalla pratica e dall’interesse per la lettura o dalla comprensione di cifre, tabelle, percentuali. A questo proposito, dichiarava il professor De Mauro “Ci si chiude nel proprio particolare, si sopravvive più che vivere e le eventuali buone capacità giovanili progressivamente si atrofizzano e, se siamo in queste condizioni, rischiamo di diventare, come diceva Leonardo da Vinci, transiti di cibo più che di conoscenze, idee, sentimenti di partecipazione solidale”.

L’analfabetismo funzionale fonda le sue radici nella politica e nelle Istituzioni. Rappresenta un problema che non può più essere ignorato in quanto è anche all’origine dei quotidiani episodi di razzismo: la mancanza di conoscenza dell’altro, del diverso crea uno stato di ansia e paura che alimenta l’odio. Sempre secondo il professor De Mauro “L’unica possibilità per modificare un quadro così allarmante è potenziare l’istruzione e investire risorse nel futuro dei cittadini cambiando il modo di fare scuola”. In questo auspicato cambiamento di rotta, è importante porre al centro dell’azione didattica l’individuo e non il programma. Le conoscenze devono essere offerte in modo tale che il discente, giovane o adulto, possa utilizzarle per tramutarle in competenze utili al suo percorso di vita. Tutto ciò non potrà mai avvenire se non verrà rivalutato il ruolo della classe docente. Appare, infine, necessario incentivare l’apprendimento durante tutto l’arco della vita: n questo ambito, infatti, l’Italia è fanalino di coda trai Paesi che aderiscono all’OCSE. Manca una spinta a proseguire nello studio e nell’aggiornamento anche in età lavorativa. Il problema non è più legato alla necessità di alfabetizzare in senso stretto la popolazione, ma all’incapacità di portare quest’ultima a padroneggiare il processo di acquisizione di informazioni e competenze per generare processi di comunicazione sociale, benessere socio-economico ed accrescimento culturale. 

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