Aborto: un grande passo indietro in Argentina

L’Argentina ha scelto di fare un passo indietro. Il Senato di Buenos Aires giovedì 9 agosto 2018 ha bocciato la proposta di legge per un aborto sicuro, legale e gratuito.

Dopo sedici ore di discussione l’illusione di decine di migliaia di persone favorevoli alla legge, con al collo pañuelos (fazzoletti) verdi, è svanita. Sotto gli ombrelli usati per ripararsi dalla pioggia incessante e dal clima rigido che hanno accompagnato quella che poteva essere una giornata storica per il Paese sudamericano si sono strette migliaia di donne alle quali ancora una volta non è stata riconosciuta la piena proprietà del loro corpo.

Dall’altra parte, separati appositamente per evitare gli scontri, i fazzoletti azzurri (gli antiabortisti) hanno potuto gioire: una donna che interrompe la propria gravidanza clandestinamente potrà ancora essere denunciata e condannata al carcere (sempre se non muore prima).

La lunga lotta per il cambiamento

A regolamentare la possibilità di abortire resta dunque la normativa risalente al 1921 che autorizza l’interruzione di gravidanza solo in caso di stupro o di grave pericolo di salute della gestante.

La nuova proposta di legge prevedeva un aborto sicuro, legale e gratuito entro la quattordicesima settimana (terzo mese) e oltre questo termine in caso di stupro, gravi malformazioni fetali e pericolo di vita della donna.

La campagna (simboleggiata dai fazzoletti verdi) unisce varie realtà femministe e ha preso forma nel 2005. Da allora sono state presentate sette proposte di legge, nessuna presa in considerazione fino a quando il Presidente Mauricio Macri, sebbene conservatore e contrario alla proposta, ha invitato il Congresso a discuterne, dichiarando che in caso di approvazione parlamentare, non avrebbe posto alcun veto.

La proposta era stata approvata dalla Camera il 14 giugno, con un margine tuttavia esiguo: dopo sedici ore di discussione le votazioni si erano concluse con 129 voti a favore, 125 contrari e un’ astensione. Un vantaggio minimo, ma che aveva comunque acceso le speranze di chi lotta da anni per porre fine alla piaga dell’aborto clandestino.

Quasi nessuno nel Paese è rimasto al margine della questione, prendendo posizione in questo dibattito sulla vita, la morte, lo Stato, la donna e la salute pubblica. Entrambi i fronti hanno fatto sentire la propria voce.

Lo scorso 25 marzo cortei di anti abortisti sono scesi nelle piazze di tante città argentine, e sabato 4 agosto centinaia di migliaia di fazzoletti azzurri si sono riversati nell’Avenida 9 de Julio, a Buenos Aires. Tutti i settori della Chiesa Cattolica hanno fatto sentire, ancora una volta, il proprio peso sulla decisione.

Dall’altro lato, a favore del cambiamento, è giunto un appoggio globale: la legge, se approvata, avrebbe reso l’Argentina il terzo paese latinoamericano (dopo Cuba e Uruguay) con una legislazione favorevole all’aborto, in un momento in cui tale dibattito è al centro della discussione pubblica in molti paesi del continente.

Le organizzazioni per la difesa dei diritti delle donne avevano organizzato manifestazioni nelle principali capitali latinoamericane, ma anche in alcune città spagnole, così come a Londra, Berlino, Parigi, Sidney e New  York. Ci sono stati appelli ed esortazioni pubbliche da parte di legislatori di paesi come l’Irlanda, che recentemente grazie a un referendum ha introdotto l’aborto libero nella propria legislazione.

La versione Argentina del canale musicale MTV si è colorata per l’occasione di verde, condividendo nei social l’hashtag “VamosLasPibas” (“Forza ragazze”) e il New York Times di martedì precedente al voto ha dedicato la sua ultima pagina a un provocatorio appello di Amnesty International raffigurante un appendiabiti, simbolo associato alla pratica dell’aborto clandestino, con la scritta “Adios”, ricordando ai senatori argentini che “il mondo li stava guardando”. Solidarietà alle donne argentine è arrivata anche dalle combattenti YPJ del Rojava, la brigata femminile dell’Unità di Protezione Popolare del Kurdistan siriano.

Una sconfitta preannunciata

I 72 senatori della Camera Alta di Buenos Aires si dividono in trenta donne e quarantadue uomini. Tra le senatrici, quattordici hanno votato a favore dell’entrata in vigore della nuova legge, quattordici contro, una non era presente e una si è astenuta. Tra i colleghi invece, i favorevoli alla depenalizzazione dell’aborto erano solo diciassette, contro i ventiquattro contrari. La débâcle era stata ampiamente prevista da analisti e media sin da molte ore prima del voto. A pesare sul risultato hanno concorso diversi fattori, tra i quali, al primo posto, l’influenza religiosa nel Paese. In Argentina infatti il peso dei gruppi conservatori non si è mai ridotto, con il 70% della popolazione che si dichiara cattolico e un recente aumento degli adepti a vari gruppi evangelisti.

Il Papa, due giorni dopo la votazione favorevole alla legge della Camera lo scorso giugno, aveva definito l’aborto “un omicidio di infanti”, paragonandolo a “ciò che facevano i nazisti per la purezza della razza”, mentre i vescovi e i sacerdoti argentini negli ultimi mesi non hanno risparmiato condanne alla proposta di legge durante le prediche domenicali e in occasione di importanti celebrazioni.

Nella cattedrale della capitale, durante il voto al Senato,  è stata celebrata una “Messa per la vita” presieduta dal cardinale Mario Poli, arcivescovo della città.

La Chiesa nel Paese sudamericano non gode solo di una enorme influenza sociale e culturale, ma anche politica. Nonostante la libertà di scelta lasciata dal Presidente Macrì non stupisce dunque che altre figure istituzionali abbiano espresso il loro dissenso alla legge, come la governatrice della provincia di Buenos Aires, la popolarissima María Eugenia Vidal.

Tra i senatori che hanno votato a favore c’è stata Cristina Fernandez de Kirchner, presidente della Repubblica argentina dal 2007 al 2015, dichiaratasi inizialmente contraria ma convinta “dalle migliaia di ragazze riversatesi per la strada”.

Sfavorevole alla possibilità di cambiamento, inoltre, è stato anche il sistema di rappresentatività del Senato, composto da un numero fisso di tre senatori per provincia. Con questa ripartizione i conservatori risultano avvantaggiati, essendo il Nord del Paese una roccaforte della Chiesa Cattolica e dei conservatori.

Cosa accadrà adesso?

L’articolo 81 della Costituzione prevede che un progetto non approvato da una delle due Camere non possa essere ripresentato nelle sessioni dello stesso anno. Ciò significa che prima del mese di agosto del 2019 non si potrà tornare a discutere al Congresso di interruzione volontaria di gravidanza.

Quello che gli argentini possono e devono fare è però riflettere su una realtà inoppugnabile. Non legalizzare l’aborto, significa solamente che le donne continueranno a farlo illegalmente. E come per ogni servizio non offerto dallo Stato, le donne dei ceti sociali più svantaggiati saranno quelle che rischieranno maggiormente la vita: solo quelle che se lo potranno permettere infatti si rivolgeranno a dei medici per un aborto chirurgico, le altre si affideranno a farmaci come il Misoprostol o a metodi rudimentali.

Secondo i dati di Human Rights Watch sono 500 mila gli aborti clandestini in Argentina ogni anno.

Nel 2014 (ultimo anno di cui sono disponibili dati ufficiali) sono state 47 mila le donne ricoverate per complicazioni post aborto, e nel 2016 il 17% delle 245 morti registrate di donne incinte era da imputare a un aborto clandestino.

Dopo il voto del 9 aprile sono scoppiati violenti scontri nella capitale, con lancio di pietre da parte di alcuni attivisti  pro-choice e qualche incendio di cassonetti, ai quali sono seguiti lanci di lacrimogeni da parte della polizia e alcuni arresti.

Lo scenario della conquista di uno dei diritti fondamentali delle donne, quello dell’autodeterminazione del proprio corpo, si è momentaneamente spento in Argentina, ma resta acceso nell’altro gigante sudamericano, il Brasile, dove pochi giorni fa si sono concluse le udienze pubbliche convocate dalla Corte Suprema Federale sulla proposta di legge che vuole legalizzare l’aborto, ora consentito solo nei casi di stupro, pericolo per la madre o anencefalia fetale. Anche qui la Chiesa si è schierata con forza contro il progetto.

I fazzoletti verdi, lo stesso colore della speranza che non muore nelle donne argentine e sudamericane, hanno già annunciato che la lotta continua, promettendo di trasformare quest’onda in uno tsunami.

Irene Cosul Cuffaro

rene Cosul Cuffaro nasce a Padova nel 1992. Fin da piccola è chiaro che la sua caratteristica più grande è la curiosità, che la spinge sempre a leggere, informarsi e discutere. Laureata in scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani, studia un anno presso l’Università di Siviglia grazie al progetto Erasmus e lavora a Granada, prima di laurearsi al corso di laurea magistrale Studi Europei. Amante dei viaggi e sempre alla scoperta di posti e culture nuove, si interessa principalmente alla storia, alle tematiche di genere, all’attualità. I diritti umani sono per lei, oltre a oggetto di studio, un elemento inviolabile di ogni essere umano, un tema di dibattito appassionante e stimolante. 

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