Diritto di voto e studenti fuori sede: due concetti inconciliabili?

La politica sembra non prendere in considerazione il grave deficit democratico che coinvolge centinaia di migliaia di studenti universitari fuori sede, per i quali la scelta di studiare in un’università che si trova in una regione diversa da quella in cui hanno la residenza, sembra trasformarsi (a causa della mancanza di una legge in merito) in una decisione che limita fortemente, e in alcuni casi esclude, la possibilità di tornare al proprio comune per votare e, dunque, di beneficiare di un diritto sancito dalla Costituzione, il quale, lo ricordiamo, è anche un dovere civico.

Il tabù politico che danneggia quattrocentomila voci

In un clima di perenne campagna elettorale, la questione del diritto di voto per studenti e lavoratori fuori sede è, ancora oggi, un tabù per la politica italiana. Il problema coinvolge più di quattrocentomila studenti e un milione e mezzo di “pendolari a lungo raggio”, come riporta Il Sole 24 Ore in un articolo del 26 febbraio di quest’anno, proprio a ridosso delle elezioni del 4 marzo.

Gli spostamenti verso altre città o regioni italiane, da parte degli studenti universitari, sono stati analizzati dall’ISTAT nel rapporto “Studenti e bacini universitari”, in cui “si osservano dei flussi del Sud verso il Nord ma non il contrario” e si evidenzia che “gli studenti provenienti dal Sud e dalle Isole alimentano il 9,8 per cento del bacino di utenza del Nord-Ovest, il 10,6 per cento del bacino del Nord-Est e il 19,9 per cento del bacino del Centro”, in riferimento ai dati raccolti per l’anno accademico 2014-2015.

Le regioni che presentano un flusso importante di studenti universitari fuori sede, che scelgono di studiare in una regione diversa da quella in cui hanno la propria residenza, sono Puglia, Sicilia e Campania, con numeri che superano i 50mila per gli studenti pugliesi. I dati forniti dall’Università degli Studi di Milano confermano questa tendenza anche per l’anno accademico 2015-2016, secondo cui gli iscritti provenienti da altre regioni raggiungono circa il 16% e il 17% nell’anno accademico 2017-2018. Le percentuali, invece, salgono al 21% per gli iscritti fuori sede all’Università degli Studi di Torino.

Riduzioni tariffarie…ma non per tutti

I numeri appena presentati ci consentono di osservare la mancanza di una procedura differenziata che sia efficace nel permettere a questa categoria di beneficiare di un diritto sancito dalla stessa Costituzione, all’articolo 48, secondo il quale “il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.

Il ritorno al comune di residenza per la votazione è tutt’altro che semplice, che fa emergere due grandi ostacoli: il costo e il tempo, evidenziati anche dal movimento #iovotofuorisede, fin dall’anno della sua fondazione, nel 2008. Il movimento nasce dall’iniziativa di un gruppo di studenti fuori sede (nello specifico siciliani) iscritti all’Università di Torino. Esprimere il proprio voto alle elezioni politiche avrebbe richiesto 40 ore di viaggio totali e un costo esorbitante, nonostante la riduzione tariffaria prevista dalla legge; così viene riportato sul sito web del movimento:

“Ma la frustrazione si trasforma in rabbia vera e propria quando interviene Hélène e ci spiega che in Francia il problema non esiste neanche: alle ultime politiche lei ha potuto votare tranquillamente delegando la madre ad esprimere la sua preferenza.
Così veniamo a sapere che in Francia il voto per delega è utilizzato regolarmente da tempo.
Ancora una volta l’Italia è indietro, eppure la soluzione al problema esiste, è semplice e viene applicata con successo in molti altri paesi europei.”

Dopo dieci anni nulla è cambiato, nonostante le numerose iniziative del movimento, e anche per chi beneficia della continuità territoriale, la circolare n. 13/2018 del Ministero dell’Interno specifica che la riduzione tariffaria per il ritorno al proprio comune di residenza “non si aggiunge ad altre agevolazioni già in vigore e non si applica a voli in codeshare (acquisto di posti a sedere da parte di un compagnia aerea sul volo operato da un’altra: il volo presenta i codici di entrambe, ossia, posti a sedere offerti dalla compagnia che opera effettivamente il volo e da quella che ha acquistato i posti a sedere ponendo il proprio “codice”) e a quelli in continuità territoriale (es. Sardegna)”.

Chi, dunque, beneficia della continuità territoriale, non ha diritto, nella sostanza, all’ulteriore riduzione tariffaria e al costo del biglietto aereo si aggiunge il costo del trasferimento verso le uniche due città in cui è possibile beneficiarne, ossia Milano e Roma. L’alternativa potrebbe essere il viaggio in nave, per cui sono previste riduzioni tariffarie, ma anche in questo caso si somma il costo del trasferimento verso Genova, Livorno o Civitavecchia.

Modalità di voto differenziate: quali sono e come funzionano

Una delle modalità prospettate per il voto ai fuori sede è il cosiddetto early vote, attraverso il quale gli elettori possono votare in un giorno che sia antecedente a quello previsto per le elezioni; questa scelta, inoltre, può essere espressa da remoto, attraverso il voto per corrispondenza o di persona, in un seggio elettorale designato precedentemente.

La proposta di introdurre questa modalità di voto alternativa, da parte del coordinatore del movimento #iovotofuorisede, Stefano La Barbera, è stata “bocciata dal Viminale che ha motivato adducendo, tra le altre cose, rischi di brogli e manomissioni”.

Altro metodo già previsto e ben collaudato in altri Paesi dell’Unione europea è l’absentee ballot. In alcuni Stati questo termine non corrisponde al voto per corrispondenza, per delega o attraverso internet, ma unicamente al voto in un seggio elettorale differente da quello ufficiale.

Le modalità più diffuse nel resto d’Europa sono, dunque, il voto per corrispondenza, attraverso internet e il proxy vote (voto per delega). Quest’ultima modalità non può essere presa in considerazione all’interno di una eventuale e futura strategia politica nazionale che garantisca il voto anche ai fuori sede, poiché viene esplicitamente vietata dall’articolo 48 della Costituzione, che non permette alcun tipo di delega nell’espressione del proprio voto, il quale è segreto e personale.

Alcuni esempi dai nostri vicini europei

In Germania, i cittadini non hanno l’obbligo di fornire una motivazione specifica per poter esercitare il proprio diritto di voto attraverso il metodo del voto per corrispondenza, anche quando si è temporaneamente all’estero. I cittadini devono iscriversi alla municipalità in cui hanno la residenza principale per poter ricevere la tessera elettorale, alla quale vengono allegati automaticamente i documenti necessari al voto per corrispondenza e “in alternativa una tessera elettorale può essere utilizzata per votare in qualsiasi altro seggio elettorale del distretto della circoscrizione elettorale”, così come riporta il Federal Returning Officer.

Altro esempio riguarda i Paesi Bassi, come riporta l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), in cui i cittadini possono esprimere il proprio voto via proxy oppure, per i cittadini residenti all’estero, per e-mail e anche in questo caso non è necessario specificare le ragioni di questa scelta.

In Polonia, gli elettori che non possono votare al proprio seggio devono munirsi degli Absentee Voting Certificates (AVCs) e di un codice elettorale (election code) con cui si può votare per delega e per corrispondenza.

Nel rapporto OSCE si rileva inoltre che non è stato rilevato alcun problema in merito alla qualità dei registri di voto, che è “affidabile, completo e garantito”.

Il gioco…vale la candela

La presenza di rischi che possano intaccare l’unicità, la segretezza e la libertà del voto certamente riguarda le modalità differenziate presentate, in particolare quelle che coinvolgono le tecnologie (ad esempio via e-mail), ma si tratta di rischi da cui l’attuale modalità in vigore in Italia non è esente. È necessario, dunque, considerare anche i rischi e formulare una legge in grado di garantire il diritto ai cittadini di votare e allo stesso tempo di tutelare quegli elementi fondamentali (voto personale ed eguale, libero e segreto), che caratterizzano il voto, così come scritto nella Costituzione.

Si considera, infine, che la questione va a intaccare e ostacolare il diritto di voto di un numero non indifferente di giovani italiani, i quali, nella sostanza, si astengono dal voto, ma non certamente per loro volontà. Il diritto a muoversi liberamente all’interno del territorio nazionale, e dunque, la possibilità concreta di scegliere il corso universitario più adatto, non possono essere sinonimo di rinuncia a un diritto e dovere civico, che la Costituzione difende.

Cristina Piga

Nata a Sassari il 30 giugno del 1995, studentessa in Scienze politiche, Relazioni internazionali e Diritti Umani. Scrive fin da piccola racconti e poesie. Fa le sue prime fotografie con una vecchia analogica, senza mai più smettere di catturare attimi. Ama la cucina e la cultura orientale. Scopre Social News in ambito accademico e ne diventa lettrice, per poi fare domanda come tirocinante. I diritti umani sono espressione dell’uomo in quanto tale. Considerarli come un “concetto”, da cui possono derivare centinaia di interpretazioni e definizioni, non basta per renderli concreti ed effettivi per ogni essere umano. Lo studio dei diritti umani è essenziale per capire tutte le “facce” dei diritti umani e per difenderli nel modo più efficace possibile. 

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