Crisi umanitarie: Sud Sudan, Yemen, Nigeria

Da qualche anno in Italia sono frequenti slogan contro i migranti. Il più famoso di tutti è sicuramente “aiutiamoli a casa loro”. Matteo Salvini, vice presidente del Consiglio dei Ministri nonché Ministro degli Interni, ne ha fatto lo slogan principale della sua ultima campagna elettorale e, grazie anche alla sua politica anti-migranti, ha trasformato la Lega da partito che aveva influenza solo al nord, a un partito decisivo a livello nazionale. Nelle elezioni del 2013 la Lega Nord aveva ricevuto la esigua percentuale del 4,8 mentre nelle elezioni dello scorso marzo la Lega (che per ricevere anche i voti delle regioni meridionali si è scordata il suo passato secessionista e ha tolto il sostantivo Nord) ha ottenuto il 17,3% dei voti.

La paura del diverso e le fake news hanno fatto la loro parte nell’influenzare le scelte politiche degli italiani. Bisognerebbe a questo punto fare un passo indietro, chiedersi da cosa queste persone fuggono e perché. Ecco perciò alcune tra le più gravi crisi umanitarie presenti oggi in Medio Oriente e in Africa. Gli stessi paesi da cui provengono la maggior parte dei migranti che attraversano il Mediterraneo.

Sud Sudan: una guerra che sembra giunta al termine

Questa regione ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan con un referendum nel 2011. Fin dalla nascita del Sudan si era innescata una guerra civile tra la popolazione del nord (di origine araba e religione musulmana) e quella del sud (soprattutto di etnia Dinka o Nuer, di confessione cristiana o animista). Nel 2010 Salva Kiir, di etnia Dinka, era stato eletto come presidente della regione autonoma del Sud Sudan e Riek Machar, appartenente al gruppo etnico Nuer, ne era il vicepresidente. Dopo l’indipendenza entrambi i leader continuarono a mantenere le loro cariche.

Dopo un iniziale ottimismo economico dovuto alle risorse petrolifere il Paese si è trovato a fare i conti con una povertà diffusa, ed è in questo contesto che iniziarono gli scontri. Nel 2013 il presidente Salva Kiir incolpò Machar di aver tentato un colpo di stato, questo innescò una guerra etnica durata 5 anni.

Secondo L’UNICEF la situazione è disastrosa: il 60% della popolazione non sa quando avverrà il prossimo pasto e alcune aree del Paese sono a un passo dalla carestia. Si stima che la percentuale dei bambini-soldato sia cresciuta del 3700%, passando da 500 a 19000. Dall’inizio della guerra civile sono più di 2,5 milioni le persone che sono fuggite dal Sud Sudan. Tra questi sarebbero oltre un milione i bambini. Henrietta H. Fore, Direttore generale dell’UNICEF, ha dichiarato Mentre il Sud Sudan compie sette anni –  dalla sua indipendenza – una guerra apparentemente senza fine continua a devastare la vita di milioni di bambini”.

Il 27 giugno, dopo numerosi incontri avvenuti nella capitale Khartoum, si è arrivati finalmente ad un accordo per il cessate il fuoco tra il presidente Kiir e il leader dei ribelli Machar. La tregua è stata fortemente incoraggiata dall’ONU che ha indicato la fine di giugno come termine ultimo per raggiungere un accordo politico valido per non incorrere in eventuali sanzioni.

L’accordo prevede il cessate il fuoco entro le 72 ore dalla firma, la creazione di corridoi umanitari ed elezioni entro 3 anni. La situazione tuttavia non è ancora stabile.

Lo scorso 13 luglio il Consiglio di sicurezza ha votato e approvato la risoluzione presentata dagli Stati Uniti che prevede l’embargo sulle armi. Questa misura era chiesta da molto tempo dalle organizzazioni di società civile del Sud Sudan, ma non era mai stata approvata a causa dei veti posti dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza.

Yemen: secondo l’ONU la più grave crisi umanitaria in questo momento

La guerra che ha distrutto lo Yemen è iniziata nel marzo 2015. Sono due gli schieramenti che lottano per il potere.

Il primo sono le forze dell’ex presidente Rabbo Mansour Hadi. Fu costretto a dimettersi dopo che gli Houthi avevano preso il controllo del palazzo presidenziale. Nonostante Hadi sia stato deposto nel gennaio del 2015, è riconosciuto ancor oggi come legittimo presidente dalla Comunità internazionale. L’ex primo ministro è sostenuto dalla coalizione araba sunnita guidata dall’Arabia Saudita.

Gli altri protagonisti di questa interminabile guerra sono, appunto, gli Houthi. Un gruppo armato sciita, che secondo la coalizione araba riceve forniture di armi e altri tipi di aiuti, come formazione e sostegno finanziario, dall’Iran. lo stato persiano, dal canto suo, respinge le accuse.

Secondo Al-Jazeera, media arabo, sono morte più di 10.000 persone dall’inizio del conflitto e circa l’80% della popolazione necessita di aiuti umanitari.

Inoltre, a causa dei combattimenti, sono stati distrutti i sistemi idrici e fognari, rendendo il Paese un ambiente fertile per la diffusione di malattie tra cui il del colera. Questa infezione ha colpito oltre 1,1 milioni di persone e causato 2.200 vittime. E il virus continua a diffondersi nella popolazione a causa delle scarse condizioni igieniche, dell’acqua sporca e della malnutrizione.

L’attacco avvenuto il 24 luglio ai danni di una struttura idrica di vitale importanza per la provincia settentrionale di Sa’ada, roccaforte degli Houthi, non fa che peggiorare la situazione.

Geert Cappelaere, Direttore regionale dell’UNICEF per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha dichiarato che l’impianto è stato preso di mira per ben tre volte, e più della metà della struttura è danneggiata. Circa 10.500 persone, a causa di questi attacchi, non posso più accedere all’acqua potabile e sicura aumentando il rischio di malattie come il colera.

Dopo il tentativo della Coalizione Araba di conquistare il porto e l’aeroporto di Hodeida avvenuto nel mese di giugno, Martin Griffiths, inviato dell’ONU in Yemen, è riuscito ad avere colloqui con i leader dei due schieramenti. Al termine di questi due giorni aveva dichiarato che da entrambe le parti c’era un forte desiderio di pace. Tuttavia nonostante questa dichiarazione gli attacchi non sono cessati.

Il 26 luglio un drone senza pilota ha attaccato l‘aeroporto internazionale di Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti. Il raid è stato rivendicato dagli Houthi attraverso l’agenzia di stampa Saba, collegata ai ribelli.

Nigeria: 9 anni di guerra civile

Fin dal 2009 lo stato nigeriano è impegnato nello scontro contro i miliziani di Boko Haram, un’organizzazione terrorista jihadista, e il suo alleato noto come Stato Islamico dell’Africa occidentale. L’esercito nazionale si è spinto a combattere questo gruppo terrorista fino in Camerun, Ciad e Niger, supportato dagli alleati statunitensi, inglesi e francesi.

L’esercito nel combattere Boko Haram tuttavia si è lasciato alle spalle numerosi crimini contro l’umanità e gravi crimini di guerra, come stupri e violenze, attacchi contro civili e torture. Il tutto documentato in un rapporto di Amnesty International.

L’organizzazione di Boko Haram è anch‘essa responsabile di numerosi attentati. Azioni dirette a destabilizzare la sicurezza del Paese al fine di riuscire a conquistare la regione del nord-est per poi creare uno stato islamico. Generalmente per compiere questi atti terroristici vengono utilizzati donne e bambini rapiti e costretti a diventare kamikaze. Anche i miliziani jiadisti si sono macchiati di crimini simili a quelli dell’esercito nazionale, perpetrando violenze, stupri e sequestri.   

Secondo l’ONU la guerra civile ha provocato oltre 10 milioni di sfollati, la distruzione di infrastrutture di base, strutture sanitarie e educative, case private e beni agricoli. Non solo in Nigeria nord-orientale ma anche in Ciad, Niger e Camerun.

A questo va a sommarsi la carenza di acqua e cibo causata dai cambiamenti climatici.

Amina Mohammed, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha affermato: “I paesi fragili rischiano di rimanere bloccati in un ciclo di conflitti e disastri climatici. Laddove la resilienza è erosa, le comunità possono essere esposte allo sfruttamento”.

Le crisi umanitarie sono una delle tante spiegazioni alle numerose migrazioni di questi ultimi anni. Scappare, percorrere migliaia di chilometri e affrontare il mare è perciò una reazione naturale quando le case sono state distrutte, le famiglie uccise dalla guerra e mangiare diventa un’eventualità e non una certezza.

L’odio si combatte con la cultura e con l’informazione.

Jenny Bizzotto

Mi chiamo Jenny Bizzotto e sono nata a Bassano del Grappa il 20 giugno 1994. Ho frequentato il liceo sociale G.B. Brocchi, attualmente sto frequentando la facoltà di Scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani all’Università di Padova. Per me i diritti umani sono qualcosa di profondamente legato al progresso della civiltà, più essa si sviluppa più i diritti devono essere garantiti e si devono sviluppare. Scrivere per SocialNews mi permette di approfondire temi legati alla geopolitica e ai diritti umani e di condividere le informazioni con altre persone. 

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