A 40 anni dalla legge 194: l’Italia degli obiettori

Gli antiabortisti irlandesi ammettono la sconfitta: l’Irlanda ha votato a favore della legalizzazione dell’aborto in occasione dello storico referendum di venerdì 25 maggio 2018. Il 66% degli aventi diritto ha votato per l’abrogazione di una delle leggi più restrittive al mondo in tema di interruzione di gravidanza (che equiparava la vita del feto a quella della madre rendendo praticamente impossibile l’aborto) contro il restante 34% che desiderava mantenere il divieto. L’affluenza alle urne è stata una delle maggiori registrate in Irlanda per un referendum, simile a quella avuta nel 2015 per la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Il premier Leo Varadkar (leader del  Fine Gael), primo tra i sostenitori per l’abrogazione dell’ottavo emendamento (il quale rese incostituzionale l’aborto), parla della portata storica di questo referendum, e promette una nuova legge entro l’anno. Il governo pensa ad una norma che permetta di abortire entro le 12 settimane di gravidanza (e tra le 12 e le 24 settimane in caso di circostanze eccezionali).

L’Italia, dal canto suo, nonostante la legislazione permissiva che disciplina l’interruzione di gravidanza, non manca di un dibattito acceso in materia.

L’IVG (interruzione volontaria della gravidanza) è regolata nel nostro paese dalla legge 194 del 22 maggio 1978, confermata dai referendum del 1981. Tale legge riconosce formalmente il diritto all’aborto a tutte le donne entro 90 giorni dal concepimento, qualora vi sia “un serio pericolo per la salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato  di salute, o alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” (art.4), e dopo i 90 giorni nel caso in cui presentino complicazioni e patologie che mettano a grave rischio la salute della donna o quella del feto.

Come si procede all’IVG?

Attraverso il metodo chirurgico: l’IVG chirurgica (o per aspirazione) si esegue obbligatoriamente in una struttura ospedaliera, pubblica o privata; dura circa 15 minuti, può essere eseguita in anestesia locale o generale e la maggior parte delle volte ha bisogno solamente di qualche ora di ricovero.

Oltre al conosciuto metodo chirurgico dal 2009 anche in Italia è possibile interrompere volontariamente una gravidanza con il metodo farmacologico grazie all’immissione in commercio del mifepristone o RU486. Tale principio attivo (il mifepristone) è in grado di indurre chimicamente il distacco del feto dall’utero materno facendo espellere dal corpo il feto in questione. Alla paziente vengono somministrate due pillole a distanza di 48 ore. Per portare a termine il procedimento è stabilito un ricovero di almeno tre giorni in una struttura ospedaliera.

Secondo la relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194, in Italia solo il 15% delle IVG avviene con la RU486 in quanto le strutture ospedaliere delle regioni italiane incontrano serie difficoltà organizzative in merito ai ricoveri delle pazienti. Al contrario, negli altri paesi in cui si fa uso della RU486, tale procedura viene espletata in condizioni di assoluta sicurezza in regime ambulatoriale o domiciliare.

La legge 194, oltre a prevedere diritti per le donne, riconosce ai medici e al personale sanitario italiano il diritto all’obiezione di coscienza, ovvero la possibilità di non effettuare la pratica quando essa sia in contrasto con scelte etiche e morali. Il 70% dei ginecologi italiani sono obiettori; le questioni di coscienza sono legate tuttavia non tanto all’etica quanto a motivazioni professionali (la maggior parte dei medici preferisce svolgere procedure meno routinarie, che possano conferire maggiore soddisfazione professionale). Una percentuale, quella degli obiettori, molto alta e non distribuita uniformemente sul territorio italiano, con situazioni surreali in Molise (97%), Basilicata (88%), Puglia (86%), Abruzzo e Sicilia (85%), provincia di Bolzano (84%), Campania (82%). Al contrario le regioni con percentuali di obiettori più basse sono: Valle d’Aosta (18%), Emilia Romagna (48%), Friuli Venezia Giulia (51%) e Sardegna (56%) dati del Ministero della Salute. Le donne che riscontrano maggiori difficoltà sono quelle che devono intervenire con un aborto terapeutico (il quale può essere praticato fino al sesto mese di gravidanza a causa di un problema di salute della gestante o di una malformazione del feto) e dato che la comunità cattolica è particolarmente ostile verso tale argomento, sembra quasi che alle volte si faccia di tutto per far raggiungere alle donne il tetto temporale per non poter più svolgere l’IVG. Questo scenario, accompagnato alla situazione di stress per la donna, rende ancora più acuta la sofferenza causata da questa esperienza.

La Corte di Cassazione, in merito alla scelta di far valere il diritto di obiezione di coscienza ‘esclude che questo possa riferirsi anche all’assistenza antecedente e conseguente all’intervento, riconoscendo al medico obiettore il diritto di rifiutare di determinare l’aborto (chirurgicamente o farmacologicamente), ma non di omettere di prestare assistenza prima o dopo’ in quanto deve ‘assicurare la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell’intervento di interruzione di gravidanza’.

Beatrice Brignone e Giuseppe Civati, deputati di Alternativa libera-Possibile, nel febbraio 2016 hanno proposto una modifica alla legge 194/78  per un “migliore bilanciamento tra il legittimo esercizio dell’obiezione di coscienza e l’altrettanto legittimo ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza” chiedendo che almeno il 50 % del personale sanitario e ausiliario degli enti ospedalieri e delle case di cura autorizzate non sia obiettore di coscienza. Inoltre l’11 aprile 2016 il Comitato europeo dei diritti sociali, organismo del Consiglio d’Europa, ha condannato l’Italia per violazione del diritto alla salute delle donne che vogliono abortire, riconoscendo che esse incontrano ‘notevoli difficoltà’ ad accedere ai servizi d’interruzione di gravidanza soprattutto per l’alto numero di medici obiettori di coscienza.

In conclusione possiamo osservare quale dato positivo il drastico calo degli aborti dal 1982 (anno del picco massimo) ad oggi. Nel 2016, secondo una relazione presentata dal Ministero della Salute al Parlamento sull’attuazione della legge 194/78, il numero di IVG riferito dalle regioni è stato pari a 84.926, dato indiscutibilmente ridotto rispetto ai 234.801 del 1982.

Riassumendo, a distanza di 40 anni dalla legalizzazione dell’aborto, quello italiano è uno scenario contraddittorio e davvero poco confortante che vede una crescita spropositata del numero dei medici obiettori di coscienza e contemporaneamente un calo delle IVG.

In Italia il diritto all’aborto viene quindi certamente riconosciuto, contestata è invece l’effettività della sua applicazione.

Alexandra Elena Bressan

Nata a Bucarest (RO) il 30 settembre 1995, residente a Padova, frequento l’università di Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani. Nonostante l’italiano non sia la mia lingua madre ho sempre amato scrivere e da bambina desideravo fare la giornalista o l’inviata speciale. Crescendo mi sono sempre più dedicata e interessata al volontariato e al campo dei diritti umani. Quando ho avuto la possibilità di svolgere uno stage per la testata giornalistica SocialNews ho pensato fosse l’occasione adeguata per creare un buon connubio tra i miei interessi passati e quelli attuali. Mi aspetto di imparare molto da questa esperienza, entrare a contatto direttamente con temi attuali e di grande valore, quali sono i diritti umani. 

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