Reinserimento sociale come sinonimo di rinascita

“L’occupazione produce salute mentale e per questo è fondamentale che, negli istituti penitenziari, venga offerta la possibilità di professionalizzarsi con corsi di formazione, laboratori e opportunità lavorative in modo che, chi sconta la pena, possa strutturare fiducia in se stesso, negli altri, nelle istituzioni e nello Stato” afferma Adelia Lucattini, psichiatra all’ASL di Roma 1.

Le nuove “idee da coltivare” per il futuro dei detenuti di Velletri

Un esempio concreto di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti con valorizzazione dell’attività agricola risale a qualche mese fa, aprile 2018, con l’inizio della collaborazione di CAPOL (Centro Assaggiatori Produzione di Olivicole Latina) al Progetto “Idee da coltivare” proposto dall’Istituto Tecnico Agrario “Cesare Battisti” al quale hanno partecipato alcuni studenti della Casa Circondariale di Velletri (RM).

Con i due incontri pomeridiani (26 aprile- 7 maggio 2018) si sono poste le basi teoriche e pratiche per il riconoscimento di un olio extra-vergine di oliva di qualità e il suo rapporto con la salute.

Il laboratorio di CAPOL, entrato per la prima volta nelle aule di un istituto penitenziario, è stato inserito come un corso integrativo per il conseguimento del diploma in Perito Tecnico Agrario.

Gli organizzatori del progetto dichiarano – “L’iniziativa del CAPOL ha completato il percorso didattico proposto con “Idee da Coltivare”, col quale il “Cesare Battisti” ha voluto trasmettere ai frequentanti competenze e conoscenze utili per il loro reinserimento sociale e lavorativo, ma anche per la valorizzazione dell’attività agricola della Casa Circondariale, la quale dispone, tra l’altro, di un uliveto dalle potenzialità produttive non trascurabili.”

Una iniziativa che permetterà sicuramente alle persone detenute di esprimere al meglio le loro capacità e conoscenze acquisite grazie agli incontri effettuati per potersi inserire nel mondo del lavoro con ciò che hanno potuto comprendere e apprendere.

Gli scopi dei progetti per il reinserimento sociale dei detenuti

“La legge Smuraglia sull’introduzione del lavoro in carcere (22 giugno 2000, n.193 – “Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti) – spiega Adelia Lucattini – “vuole precisare sostanzialmente che il lavoro è inteso come “riabilitazione sociale” e non come forma di coercizione o di lavoro forzato, cosa che potrebbe addirittura risultare controproducente ai fini del reinserimento sociale dei detenuti”.

Gli scopi di questi progetti mirano a riportare una persona che ha vissuto l’esperienza del carcere verso una vita più dignitosa grazie alla promozione di attività, laboratori, corsi di formazione e opportunità lavorative.

Tutte le iniziative promosse all’interno del carcere porteranno verso una maggiore responsabilizzazione del detenuto che riceverà degli introiti che rappresenteranno sostanzialmente una concessione accordata dalla Stato.

 

La legge è “corretta” nei confronti dei detenuti?

Come stabilito dalla Legge n° 354 del 1975 dell’Ordinamento Penitenziario e del Lavoro all’art. 20 comma 1 “negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine, possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la regione.”

Il detenuto, durante il suo percorso, sarà supportato da operatori pubblici e del privato sociale che coordineranno gli interventi e cercheranno di limitare la possibilità che il soggetto lasci il suo cammino incompleto.

È necessario sottolineare, inoltre, che i percorsi sono uno diverso dall’altro. Non esiste una prassi standardizzata ma per ognuno viene previsto un percorso ad hoc. In una affermazione di Andrea Orlando, Ministro della Giustizia dal 2014 al 2018, egli puntualizza che “è necessario passare da un carcere di tipo fordista che per casi diversi prevede trattamenti uguali, ad un carcere che invece individualizzi il trattamento e offra opportunità concrete di reinserimento.”

Per il reinserimento lavorativo il soggetto dovrà iscriversi, come prevede la Legge 56/87 n° 16 per l’Assunzione presso Enti Locali, alle liste di collocamento.

Le strutture che aiuteranno il soggetto all’integrazione lavorativa saranno le ASL con accanto le strutture a loro affiliate. I servizi come SIL (Servizi per l’Integrazione Lavorativa), NIL (Nuclei per l’Inserimento Lavorativo), UOIL (Unità Operativa Integrazione Lavorativa) in raccordo con gli Uffici Educatori degli Istituti penitenziari e con il CSSA (Centro Servizio Sociale Adulti) del Ministero di Grazia e Giustizia, stabiliscono dei contatti con le aziende all’esterno e andranno a formulare dei progetti e fornire il necessario supporto alla persona e all’impresa stessa che si assumerà il compito di formare e occupare questa persona per dare nuova vita e nuova dignità.

Progetti a favore del detenuto sul posto di lavoro

Sono prettamente i tirocini i mezzi utilizzati per poter seguire il detenuto sul posto di lavoro. Possono essere di diverso tipo: formativo non retribuito, stage di uno o due mesi oppure uno stage che va da un minimo di un mese a un massimo di dodici per cui un soggetto può apprendere nuove competenze lavorative che può spendere sul campo.

Un altro mezzo impiegato è la “Borsa Lavoro” che ha il compito di costruire il rapporto di lavoro al termine del percorso di reinserimento sociale e di formare il detenuto all’interno di aziende private o cooperative sociali. Dura dai tre ai dodici mesi e a seconda del soggetto preso in considerazione e dalla complessità della sua situazione.

Infine l’Agenzia di Solidarietà per il Lavoro facilita i contatti e avvia collaborazioni con i Servizi territoriali e gli operatori del Ministero della Giustizia.

Le conseguenze dell’inattività

Rimanere fermi su se stessi e immobili è un vero punto a sfavore per il soggetto che si trova in carcere. Non dà la possibilità di migliorarsi, di rimettersi in gioco, di poter riflettere sul proprio passato e riuscire a concentrasi per un futuro migliore e più giusto.

L’inattività – spiega l’autrice Antonia Cancrini de “Il dolore dell’analista. Dolore psichico e metodo psicoanalitico” – può portare a una cronicizzazione dei modi di pensare, delle qualità relazionali e stili di vita che, se non sono corretti, porteranno il soggetto a ripetere gli stessi comportamenti appena scontata la pena. Avere un’occupazione e svolgere attività durante il periodo in carcere permette di evitare una cronicizzazione del disturbo anti- sociale che ha portato l’individuo a compiere il reato o reati per cui è stato condannato”.

Citando la Costituzione italiana all’articolo 4 “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”

Inutile dire che, non solo per la società italiana, ma anche in quelle di tutto il mondo, il lavoro riveste un ruolo fondamentale. Il lavoro non è solamente intenso come percezione di denaro ma nasconde in sé numerosi benefici che molto spesso vengono sottovalutati dall’individuo.

Il lavoro ha una funzione sociale, grazie all’interazione con altre persone e colleghi, oltre a quella psicologica ma anche formativa per cui una persona si può realizzare personalmente, cercando di modificare la sua vita e non rimanendo sempre fermo su se stesso ma tentando di ridefinire il proprio status e la sua identità.

Un percorso che “sfocia” in un cambiamento

I percorsi citati molto spesso risultano essere lunghi e laceranti, il detenuto potrebbe sconfortarsi e non riuscire ad uscirne. È un cammino tortuoso. Il detenuto, però, non è solo, anzi, è sempre sostenuto da strutture ed enti che lo incoraggiano verso un cambiamento, ad una sorta di “modifica” della propria esistenza che lo porta ad una realizzazione grazie alla ricerca di un impiego e alla socializzazione con nuove persone.

Come afferma la psichiatra Adelia Lucattini “È un processo che inizia all’interno del carcere ma si pone l’obiettivo di poter continuare anche fuori. Perché è nella continuità che avvengono, si consolidano e si stabilizzano tutti i cambiamenti.”

Melissa Guidolin

Sono Melissa Guidolin e ho 21 anni. Sono diplomata in "Tecnico dei Servizi Sociali" all'istituto "G.A. Remondini" di Bassano del Grappa. Frequento tutt'ora "Scienze Politiche,Relazioni Internazionali e Diritti Umani" all'Università degli Studi di Padova. Da sempre sono appassionata di bambini, anziani e persone con disabilità e ne difendo fermamente i loro diritti. Per me, i diritti umani potrebbero essere associati alla parola libertà e la loro garanzia è possibile specialmente in sistemi democratici. Sarebbe giusto che in tutti i paesi del mondo ci fosse l'opportunità per le persone di usufruire dei diritti di cui sono titolari ma che per svariati motivi, soprattutto politici, non possono godere fino in fondo. Questa esperienza a SocialNews sono sicura migliorerà molto il mio modo di scrivere. Tratterò sicuramente temi che mi appassionano e per cui studio, cercando di ampliare le mie conoscenze in merito all'attività di ricerca. 

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