1969 – 1978: la politica estera di Aldo Moro ai tempi del terrorismo internazionale

L’Unione Sovietica mira ad indebolire l’Europa occidentale con una manovra per linee esterne, tentando di separare politicamente da essa il Medio Oriente e l’Africa del Nord. In questo stato di cose si rafforzano i segni di un progressivo disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa. E’ umano che il popolo americano cominci ad essere stanco di vedere schierati alla difesa dell’Europa occidentale i figli di coloro che la liberarono. Ciò pone, tuttavia, problemi di sicurezza interna e anche di obiettivo politico che noi europei dobbiamo prepararci ad affrontare al più presto.” Questo appunto inedito di Aldo Moro risalente al marzo del 1970 è stato ritrovato nell’archivio di Stato dall’ Avvocato e scrittore Valerio Cutonilli, autore, insieme al Giudice Rosario Priore, di un interessante libro sulla strage di Bologna e sui rapporti tra lo Stato italiano e le organizzazioni terroristiche palestinesi.

La nota, ignorata per oltre 40 anni, si rivela particolarmente significativa se si esamina il contesto in cui è stata vergata e, più ancora, se si comprende la lucida analisi che connota la visione dello Statista sugli equilibri geopolitici dei decenni successivi e sulla stabilità interna di un’Italia ancora provata dalla strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969 e che si preparava ad affrontare un importante vertice con la Germania, a sostegno della Ostpolitik per l’apertura con i paesi dell’Est.

Tale visione, da qualcuno definita “eretica”, si rivelerà profetica alla luce degli avvenimenti degli anni seguenti.

L’allora Ministro degli Esteri Moro, autore di questa annotazione, sapeva bene quale fosse la situazione internazionale tra la fine degli anni sessanta ed il decennio successivo. Gli Stati Uniti erano impegnati nella guerra del Vietnam con ingenti forze militari e risorse. Questa concentrazione di fondi ed energie verso il sud est asiatico aveva portato l’Amministrazione statunitense a rivedere le proprie priorità a svantaggio della tradizionale centralità dell’Europa nella propria pianificazione. Sebbene questo spostamento verso l’estremo oriente della politica estera di Washington fosse stato oggetto di appositi negoziati con la controparte sovietica, i fatti successivi hanno dimostrato che il Cremlino ha approfittato di questa situazione per agire contro l’Europa occidentale ed i suoi alleati. Questo processo sarebbe avvenuto non attraverso un conflitto frontale con la NATO, ma ricorrendo ad una guerra non convenzionale attuata da organizzazioni terroristiche supportate dai Servizi segreti del blocco orientale.

Verso il Lodo Moro: il terrorismo palestinese

In quegli anni faceva la sua comparsa in Europa il fenomeno terroristico dei gruppi palestinesi. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e Settembre Nero sono i nomi delle maggiori formazioni operanti in quegli anni, sebbene la galassia delle unità terroristiche arabe fosse molto più vasta. Sono molti i fatti salienti, tra il 1969 e il 1973, che hanno visto come epicentro l’aeroporto di Roma – Fiumicino e che avrebbero portato il nostro Paese ad imboccare la strada dell’accordo con questi gruppi, ad iniziare dal dirottamento su Damasco di un aereo della TWA in volo da Los Angeles a Tel Aviv (con scalo a Roma) compiuto il 29 agosto 1969 dalla più famosa terrorista dell’organizzazione palestinese, Leila Khaled, cui è seguito l’attentato del 16 giugno 1972 messo in atto con un mangianastri imbottito di tritolo dotato di un timer regalato da due giovani arabi a delle ragazze israeliane conosciute poco prima. Nonostante la deflagrazione dell’ordigno nella stiva durante il volo, l’aereo, non avendo riportato danni, atterrava a Tel Aviv. Il 4 aprile 1974 a Ostia, fuori Roma, due membri dell’organizzazione palestinese venivano fermati e arrestati per detenzione di alcuni missili Strela di costruzione sovietica – facilmente trasportabili – da usare contro un aereo della compagnia di bandiera israeliana El Al durante le fasi di decollo o atterraggio. Il 17 dicembre 1973 a Fiumicino, cinque terroristi lanciavano delle bombe incendiarie all’interno di un aereo della statunitense Pan Am uccidendo trenta passeggeri tra cui quattro italiani. Il gruppo terroristico, poi, prendeva possesso di un velivolo della Lufthansa (la compagnia di bandiera tedesca) costringendo il pilota a decollare. Dopo aver fatto scalo per il rifornimento di carburante ad Atene, il velivolo veniva fatto atterrare a Kuwait City dove, una volta liberati gli ostaggi, le Autorità provvedevano ad arrestare i terroristi, rilasciati, in seguito e posti a disposizione  dell’organizzazione terroristica palestinese. Anche i siti industriali sono stati oggetto di attentati da parte di tali organizzazioni arabe come occorso il 3 agosto del 1972 all’oleodotto di Trieste (in concomitanza con un simile attacco avvenuto in quegli anni in Olanda).  

Il Lodo Moro

Di fronte alla portata degli attentati i Paesi europei decisero di entrare in contatto con le formazioni per stringere speciali accordi affinché il proprio territorio fosse escluso da ulteriori attacchi. L’Italia, presumibilmente nel 1972/1973, attraverso il Ministero degli Affari Esteri, allora retto da Aldo Moro, stringeva un patto – passato alla storia come il Lodo Moro – che concedeva piena libertà alle organizzazioni palestinesi di muoversi nel nostro territorio e ad utilizzarlo come base logistica per azioni in tutta Europa. La controparte avrebbe assicurato che in Italia non ci sarebbero stati altri attentati, ad esclusione delle sedi e dei siti americani ed israeliani presenti nel territorio della penisola. Probabilmente l’autore materiale dell’accordo e’ stato il Servizio segreto italiano: prima il SID, il Servizio informazioni Difesa (organo d’intelligence italiano dal 1965 al 1977) e poi il SISMIServizio Informazioni Sicurezza Militare (a partire dal 1978) nella figura del Colonnello Stefano Giovannone, responsabile del centro del Servizio a Beirut, in Libano. L’agente infatti per tutto il periodo di durata del Lodo, aveva provveduto a mantenere i contatti tra Roma e il Medio Oriente sia con le organizzazioni terroristiche sia con gli altri Paesi, in particolare Giordania e Libano, che mal tolleravano la  massiccia presenza di organizzazioni palestinesi nel proprio territorio.

L’assenza di azioni terroristiche in Italia suggerisce che nel corso degli anni settanta l’accordo tra le parti sia stato sostanzialmente rispettato. Come hanno dimostrato diversi eventi, i terroristi scoperti e arrestati in procinto di progettare attentati nel nostro Paese sono stati liberati e riportati alle loro basi palestinesi anche attraverso la Libia di Mu’ammar Gheddafi, da sempre Padre Protettore di tali organizzazioni, cui forniva campi di addestramento e significativo supporto.

Da Ortona a Bologna: la violazione del Lodo

Nel novembre del 1979 ad Ortona, piccola cittadina abruzzese, i Carabinieri sequestrarono dei missili Strela (lo stesso modello usato dai due arabi a Ostia nel 1974) ad alcuni rappresentanti romani di Autonomia Operaia, movimento della sinistra extraparlamentare e rivoluzionaria in aperta opposizione al Partito Comunista Italiano di quel periodo. Indagando sulla provenienza delle armi, le Autorità Giudiziarie arrestavano a Bologna Abu Anzeh Saleh, ufficialmente studente fuori corso presso l’Ateneo ma, in verità,  membro, in qualità di responsabile della rete logistica in Italia, del gruppo terroristico FPLP e della formazione tedesca Separat di Carlos lo Sciacallo, nome di battaglia di Ilich Ramirez Sanchez, famoso rivoluzionario venezuelano marxista – leninista e filo arabo, autore, con i suoi gruppi, di numerosi attentati in tutta Europa. Fin da subito le poche persone a conoscenza dell’accordo stretto da Moro si rendevano conto che l’arresto di Saleh avrebbe potuto essere considerato dalle formazioni palestinesi come una violazione del Lodo, con le inevitabili conseguenze che ciò avrebbe comportato. Attraverso le informazioni raccolte dal Colonnello Giovannone, cominciavano ad arrivare a Roma i primi segnali d’allarme circa la volontà di compiere un’azione punitiva nei confronti dell’Italia da parte dell’ala più oltranzista dell’organizzazione palestinese. Col passare dei mesi, con la condanna di Saleh, dal Medio Oriente giungeva la notizia che l’eventuale attacco contro il nostro Paese sarebbe avvenuto per mano di elementi esterni al FPLP.

Il 2 agosto 1980 una bomba nascosta dentro una valigia nella sala d’aspetto della stazione di Bologna esplodeva causando ottanta vittime e il ferimento di circa duecento persone.

Per circa trent’anni o più si è voluto associare questa strage alla matrice neofascista nell’ambito della strategia della tensione, tuttavia altri punti di vista, ancorché controversi ed in parte smentiti, porterebbero a puntare il dito contro quel Carlos a capo del gruppo Separat di cui anche lo stesso Saleh faceva parte.  

La spinta dall’est del terrorismo europeo

Le formazioni eversive di estrema sinistra presenti in tutta Europa negli anni settanta e ottanta erano le francesi Action Directe, le tedesche RAF o Rote Armee Fraktion – conosciute anche come Banda Baader – Meinhof dal nome dei due capi storici – e  le italiane Brigate Rosse. Questo sistema eversivo europeo occidentale, in coordinamento con quello medio orientale, nella sua fase più matura, era gestito dall’Unione Sovietica. I Servizi segreti di Mosca, quelli cecoslovacchi (Stb) e della Germania orientale (Stasi e Hva) hanno contribuito a supportare il terrorismo rosso di quegli anni. Fin dai primo dopoguerra, la Cecoslovacchia si è sempre dimostrata in prima linea per quanto riguarda le attività clandestine comuniste in occidente.

Per approfondire quest’ultimo aspetto è necessario far riferimento a diverse fonti tra cui l’archivio Mitrochin, (il voluminoso dossier sui documenti top secret del kgb che l’ex archivista del Servizio sovietico Vasilij Nikitič Mitrochin ha portato in occidente nei primi anni novanta contribuendo a svelare la fitta rete di legami tra il blocco orientale e l’occidente durante la guerra fredda) ed il libro di Antonio SelvaticiChi spiava i terroristi? KGB, STASI – BR, RAF. I documenti negli archivi dei servizi segreti dell’Europa <<comunista>>” Ed. Pendragon, 2010, i quali trattano in modo approfondito le dinamiche con cui gli organi di intelligence d’oltrecortina aiutavano i terroristi. I campi erano stati creati dal Kgb nel 1953 per addestrare anche il personale dell’apparato militare clandestino in seno al PCI, composto soprattutto da ex Partigiani comunisti fuggiti dall’Italia in quanto colpevoli, durante la guerra, di crimini e per questo motivo ricercati dalle Autorità, alle attività di sabotaggio, guerriglia, intercettazione, all’uso delle armi interrate dal Kgb nel nostro Paese (che si aggiungevano a quelle utilizzate dalle formazioni rosse durante l’ultimo biennio della Seconda Guerra Mondiale e mai restituite agli alleati alla fine del conflitto) e alle comunicazioni radio cifrate.

Karlovy Vary è il nome della località nell’ex Cecoslovacchia in cui sorgeva il campo d’addestramento gestito, a differenza di quello che si potrebbe pensare, non dai Servizi segreti di Praga ma dal Gru, l’organo di intelligence militare di Mosca. La presenza degli 007 sovietici in questi campi potrebbe confermare la tesi secondo cui la stagione degli attentati degli anni settanta e ottanta non fosse solo una manovra politica ma una vera e propria guerra contro l’occidente, combattuta con strumenti ben lontani dal concetto tradizionale di conflitto.

Nel 1974, dopo l’arresto, da parte dei Carabinieri di Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco delle BR ma completamente slegati ed autonomi dalle trame politiche di Mosca e Praga, il Servizio segreto cecoslovacco incrementò la propria presenza a fianco del movimento eversivo.

I vertici del PCI erano a conoscenza di questi legami “pericolosi” tra est e ovest al punto che il segretario del partito Enrico Berlinguer inviava, nel 1975, una delegazione a Praga guidata da Salvatore Cacciapuoti, in qualità di responsabile agli affari internazionali del PC, per conoscere quanti e chi fossero gli italiani addestrati in Cecoslovacchia. Dalle Autorità slave solo silenzio (probabilmente dovuto alla volontà di non trattare l’argomento con elementi esterni o perché, come effettivamente è stato, i Servizi cecoslovacchi non avevano alcuna autorità su questi campi) e una vaga promessa di inviare a Roma una relazione in merito. L’invio della delegazione è dovuto al fatto che il PCI, soprattutto a partire dal 1974, cominciava a considerare la questione terrorismo rosso con molta preoccupazione, soprattutto perché era a conoscenza che elementi interni al partito continuavano a collaborare alle attività clandestine comuniste d’oltrecortina e che l’unica soluzione per contribuire a fermare l’ondata eversiva che stava colpendo l’Italia (e forse anche per scongiurare eventuali situazioni di imbarazzo politico) era collaborare con le Forze dell’Ordine, in particolare con la Sezione antiterrorismo dei Carabinieri guidati dal Generale Carlo Alberto dalla Chiesa.

Contatti tra le Brigate Rosse e l’FPLP

Le Brigate Rosse godevano anche del supporto delle formazioni palestinesi, le quali mettevano a disposizione dei terroristi italiani i campi di addestramento del Libano, Yemen, Siria e Iraq mentre, come in una sorta di scambio, le BR custodivano le armi che i terroristi arabi portavano in Italia per colpire gli obiettivi israeliani e statunitensi presenti nel nostro Paese. Questi contatti erano avvenuti durante gli anni settanta proprio quando, come già detto, i Servizi segreti italiani stringevano con il Fronte Popolare di Liberazione delle Palestina (FPLP) di George Habbash il Lodo Moro. Come riportato dalla Stampa, citando le carte della Commissione parlamentare d’Inchiesta sul caso Moro, già a partire dal 1976 i Vertici del FPLP cominciavano una rivoluzione all’interno delle varie sigle arabe a causa delle diverse vedute circa la richiesta di Mosca di por fine ai dirottamenti aerei e cominciavano a diffidare delle BR. Inoltre i vertici arabi volevano mantenere, a tutti i costi, la parola data al Governo Italiano attraverso il Lodo risparmiando la penisola da ogni tipo di attacco. Il già citato Colonnello Giovannone, il capo centro del SID/SISMI in Libano, veniva informato dal suo omologo palestinese circa i piani eversivi delle BR in Italia. L’ultima nota inviata a Roma dall’Ufficiale del Servizio risaliva al 18 febbraio 1978 e diceva:”[…] Mio abituale interlocutore rappresentante <<FPLP>> Habbash, incontrato stamattina, ha vivamente consigliatomi non allontanarmi da Beirut, in considerazione eventualità di dovermi urgentemente contattare per informazioni riguardanti operazione terroristica di notevole portata programmata asseritamente da terroristi europei che potrebbe coinvolgere nostro Paese se dovesse essere definito progetto congiunto discusso giorni scorsi in Europa da rappresentanti organizzazione estremista. Alle mie reiterate insistenze per avere maggiori dettagli, interlocutore ha assicuratomi che <<FPLP>> opererà in attuazione confermati impegni miranti escludere nostro Paese da piani terroristi del genere, soggiungendo che mi fornirà soltanto se necessario, elementi per eventuale adozione adeguate misure da parte delle nostre Autorità.”

A distanza di circa un mese dalla ricezione di questo telegramma da parte del governo italiano, l’Onorevole Aldo Moro veniva rapito dalle Brigate Rosse. Con la morte dello statista si concludeva quello che può essere definito “Il decennio di Aldo Moro”, iniziato nel 1969 in qualità di Ministro degli Esteri e terminato nel 1978 da presidente della Democrazia Cristiana con il suo assassinio.

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