La battaglia contro le dipendenze: il lavoro dell’Associazione Primavera Onlus

Abbiamo incontrato Giovanni Oliva, presidente pro-tempore dell’Associazione Primavera ONLUS, nata nel 1980 ad Alghero, cittadina del nord ovest della Sardegna per farci raccontare il loro impegno, che si focalizza sulla riabilitazione di persone che hanno dipendenze da sostanze stupefacenti e alcol. La grande forza di volontà dei suoi membri ha portato a perfezionare, anno dopo anno, il percorso di riabilitazione, collaborando con professionisti qualificati ed esperti in vari settori, quali l’agricoltura, l’apicoltura, la falegnameria, l’edilizia, il giardinaggio, la cucina e così via.

L’obiettivo è quello di ottenere per gli ospiti della Comunità il pieno recupero dell’autonomia individuale e il “miglioramento delle relazioni in ambito familiare e sociale” attraverso la “promozione di opportunità di crescita e valorizzazione della persona”, come afferma egli stesso. L’associazione soffre oggi di una perdita economica dovuta ai costi per il mantenimento delle strutture e del personale secondo gli standard della Sanità Pubblica, troppo alti rispetto alle “rette” degli ospiti che dovrebbero essere pagate dall’ASL, la quale però porta in Comunità sempre meno persone, rispetto a quelle che le strutture possono ospitare.

Dalla nascita ad oggi: la forza di Padre Giacomo

“Agli inizi degli anni Ottanta non erano ancora presenti servizi socio-sanitari pubblici che offrissero l’opportunità di curare persone con problemi di dipendenza che volessero ritrovare la propria autonomia, né un aiuto alle loro famiglie, spesso coinvolte in situazioni drammatiche. Un gruppo di volontari, seguendo l’esempio di altre iniziative avviate in Italia, ha deciso di rimboccarsi le maniche, coordinandosi con la Comunità dei Padri Gesuiti, in particolare con Padre Giacomo Pittalis, unendo le forze per creare l’Associazione Primavera. In quasi quarant’anni di attività abbiamo ospitato oltre 2000 persone nelle nostre strutture.”

Il presidente dell’Associazione chiarisce che il loro scopo è sempre stato quello di creare una Comunità in cui si potesse portare avanti un programma di recupero ben strutturato; hanno cercato di migliorarlo, anno dopo anno, e oggi si articola in tre momenti terapeutici fondamentali: la psicoterapia, la socioterapia e l’ergoterapia (dunque attraverso il lavoro). Quest’ultima fase è molto importante perché permette alla persona di acquisire una buona formazione professionale e ogni settimana l’ospite cambia settore di lavoro per conoscere tutti quelli che la struttura offre, per poi decidere in quale specializzarsi.

In tutti questi anni, quanto è stato fondamentale l’aiuto di Padre Pittalis?

Sebbene l’Associazione Primavera sia aconfessionale, come scritto nel nostro statuto, Padre Giacomo ha avuto un ruolo molto importante all’interno dell’Associazione, ha una forza tale da riuscire a far avvicinare al nostro progetto tante persone e dunque organizzare moltissime iniziative. Ha profuso senza risparmio le sue energie in tutte le nostre attività, in particolare in quelle di costruzione, gestione e ampliamento delle diverse Comunità nate successivamente in molte altre cittadine della provincia di Sassari, come Ittiri e Sorso. È stato inoltre presidente dell’Associazione per più di 35 anni.”

La crisi non ci ferma

La collaborazione con l’ASL è ogni anno più stretta, chiediamo dunque come si delineino oggi i rapporti tra l’Associazione e l’Azienda Sanitaria.

“Fin dall’inizio è stato avviato un buon rapporto con le istituzioni, tra le quale le amministrazioni dei Comuni, in cui abbiamo aperto le varie sedi, e i servizi della Sanità Pubblica, in particolare i Servizi per le Dipendenze e l’UEPE, ossia l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna. Con questi enti abbiamo sempre cooperato, seppur con qualche difficoltà e limitazioni iniziali, ma con sempre in mente l’obiettivo di offrire un servizio gratuito a tutti gli ospiti della Comunità, grazie ai contributi ricevuti in particolare dall’Azienda Sanitaria.

Quest’ultima ha progressivamente dettato le condizioni della nostra attività e, sebbene lo scopo sia quello di garantire un servizio di qualità, l’ASL non copre tutti i costi che queste attività prevedono, mettendoci in difficoltà. Se dunque da una parte siamo tenuti a rispondere a requisiti quantitativi e qualitativi stabilita dall’Azienda Sanitaria, soprattutto in merito alle strutture e al personale, quest’ultima ha ridotto anno dopo anno le spese per il nostro settore, non promuovendo più l’inserimento in comunità di chi è dipendente da droghe e alcol, ma inviando solo chi lo richiede appositamente.

Negli ultimi anni è cambiata anche la tipologia dei nostri ospiti: spesso si tratta di casi davvero problematici, persone che hanno già fatto altri programmi di recupero in comunità e hanno avuto delle ricadute. Spesso soffrono anche di patologie fisiche o psichiatriche. Noi in ogni caso ce la mettiamo tutta, anche se ogni anno la collaborazione con la ASL diventa sempre più problematica ed è difficile anche svolgere attività lavorative come la falegnameria, che oggi non è più in funzione, per noi molto importante. Sono momenti di terapia, ma anche di formazione professionale, che potranno aiutare il membro della Comunità una volta concluso il percorso di riabilitazione”.

Quanto è importante la Comunità nel futuro reinserimento nella società della persona e nelle attività lavorative?

“La comunità è al centro di tutto il nostro progetto. Non si tratta semplicemente di un “contenitore”, non sono le mura della residenza che accoglie gli ospiti e in cui si svolge il programma terapeutico o l’azienda agricola in cui questi lavorano. La comunità sono le persone che insieme vivono e cooperano per raggiungere gli obiettivi che insieme si sono poste, essa è vita di relazione, che si “rende vera” affrontando i problemi di ogni giorno insieme, non nella solitudine della propria stanza. La comunità è l’esperienza dell’incontro e il superamento dell’egocentrismo. Tutto questo è essenziale per la buona riuscita del nostro progetto.”

Lei crede che un simile progetto possa essere pensato come un’altra opzione rispetto al carcere?

“Il nostro programma di riabilitazione è già considerato dall’ordinamento italiano una possibile misura alternativa al carcere per persone che hanno compiuto reati connessi alla propria dipendenza da sostanze psicotrope o da alcol e per questo siamo in costante contatto con l’UEPE e con i magistrati di sorveglianza che hanno il potere di accogliere l’istanza dei carcerati che chiedono di scontare la loro pena in una Comunità Terapeutica. Tra i nostri ospiti abbiamo persone che godono di questa possibilità.”

Un’altra struttura, che abbiamo già avuto modo di conoscere, è quella creata dalla Comunità Papa GIovanni XXIII a Vasto, in provincia di Chieti, che ha proprio l’obiettivo di portare avanti un programma di detenzione alternativo al carcere. Quest’ultima non ospita persone dipendenti da alcol o droghe, accolte invece in altre comunità terapeutiche già attive sul territorio, la quale è invece dedicata ai detenuti “comuni”

Personalmente sono molto favorevole al concetto di alternativa al carcere. Sono certo tra l’altro che anche solo un breve periodo passato in comunità piuttosto che in una fredda cella, sia decisivo per la persona, anche quando sia inizialmente poco motivata, sono convinto che l’esperienza comunitaria e il lavoro siano fondamentali per chi rientra a far parte della società”.

La promozione di progetti come questo, deve essere prima di tutto portata avanti dai Comuni italiani, verso la creazione di una rete nazionale di strutture che offrano percorsi di “reintegrazione” nella società, insieme ai percorsi riabilitativi individuali.

È infine fondamentale il supporto della società verso simili progetti, portato avanti soprattutto dai volontari, che ogni giorno lottano per dare una seconda opportunità effettiva, a persone non più “imprigionate” nel vortice delle dipendenze e della solitudine, le quali possono riprendere in mano le proprie vite, tornare ad essere parte integrante della società attraverso il lavoro e che possano finalmente riprendersi la propria dignità di uomini e donne.

Cristina Piga

Nata a Sassari il 30 giugno del 1995, studentessa in Scienze politiche, Relazioni internazionali e Diritti Umani. Scrive fin da piccola racconti e poesie. Fa le sue prime fotografie con una vecchia analogica, senza mai più smettere di catturare attimi. Ama la cucina e la cultura orientale. Scopre Social News in ambito accademico e ne diventa lettrice, per poi fare domanda come tirocinante. I diritti umani sono espressione dell’uomo in quanto tale. Considerarli come un “concetto”, da cui possono derivare centinaia di interpretazioni e definizioni, non basta per renderli concreti ed effettivi per ogni essere umano. Lo studio dei diritti umani è essenziale per capire tutte le “facce” dei diritti umani e per difenderli nel modo più efficace possibile. 

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