Un rifugiato in famiglia, l’esperienza di Refugees Welcome Italia

L’accoglienza, prima o poi, finisce, e una volta che i rifugiati si trovano con i documenti in mano, e devono uscire dal centro di accoglimento, a nessuno interessa niente del loro futuro in strada”. Maria Cristina Visioli, segretaria nazionale di Refugees Welcome Italia, commenta così, con grande amarezza, lo stato del sistema ufficiale di accoglienza dei richiedenti asilo. Costretti a vivere l’attesa e l’incertezza del riconoscimento della protezione internazionale in grandi centri isolati dalla città, essi sono impossibilitati a conoscere il territorio e a socializzare con la popolazione locale. Una volta ottenuto lo status di rifugiato o altra forma di protezione internazionale, lasciano il centro senza aver sviluppato un’adeguata rete sociale di sostegno, senza aver trovato una sistemazione appropriata in cui vivere, e senza aver avviato un percorso di inserimento nel mercato del lavoro.

Refugees Welcome International è un network europeo di associazioni, nato a Berlino nel 2014, che cerca di arrivare dove i sistemi di accoglienza nazionali non arrivano, promuovendo l’ospitalità temporanea in famiglia di un rifugiato come nuovo e genuino modello di accoglienza. Essa mette in contatto ospitante e rifugiato, li fa conoscere, e li accompagna con una metodologia rigorosa e puntuale ad un convivenza della durata di 5 mesi, il tempo necessario affinché il rifugiato possa ambientarsi, conoscere il contesto sociale e culturale del Paese ospitante, e avviare un “progetto di autonomia”. L’obiettivo fondamentale, infatti, è fare in modo che il rifugiato possa rimettersi al più presto in gioco, creando più agevolmente una rete di rapporti sociali, migliorando la conoscenza della lingua del Paese ospitante, ri-attivando risorse umane e professionali, investendo in un proprio progetto di vita, come riprendere a studiare, trovare un lavoro, o frequentare un corso di formazione professionale. Secondo Refugees Welcome vivere con delle persone del luogo è il modo migliore per entrare a far parte di una comunità, specie per chi, in fuga da guerre o carestie, ha dovuto sopportare sofferenze fisiche e psicologiche spesso atroci.

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L’accoglienza si fa in famiglia

Refugees Welcome Italia è solo una delle 12 associazioni apartitiche e apolitiche di cui è costituito il network europeo. Riconosciuta come onlus, essa è attiva dall’11 dicembre del 2015, e ha nuclei operativi in 15 regioni italiane. Maria Cristina Visioli, oltre ad essere segretaria nazionale è anche coordinatrice del gruppo di attivisti di Bologna, e racconta a Social News come la forte volontà di estendere i gruppi di attivisti in tutte le regioni sia mitigata soprattutto da esigenze metodologiche rigorose, che coinvolgono anche la fase di formazione degli attivisti. “Ci teniamo molto che le cose siano fatte sempre su un livello professionale. Formare delle persone che poi possano seguire l’accoglienza con i nostri standard è una cosa che richiede l’intervento di uno o più formatori. Le persone all’interno di Refugees Welcome che possano seguire la formazione degli attivisti sono due-tre, di conseguenza andiamo avanti piano piano. Nonostante siano moltissimi coloro che ci contattano per diventare volontari, purtroppo non riusciamo ad accontentare tutti perché ci teniamo a fare le cose con la massima serietà”.

Lo stesso rigore impiegato nella formazione dei volontari è presente anche nella metodologia che Refugees Welcome adotta per accompagnare famiglia e rifugiato alla temporanea convivenza. La prassi segue 10 fasi:

  1. iscrizione al sito
  2. intervista telefonica con l’ospitante
  3. formazione dell’ospitante
  4. visita a casa dell’ospitante
  5. abbinamento tra ospitante e rifugiato
  6. incontro tra ospitante e rifugiato
  7. inizio della convivenza
  8. progetto di autonomia per il rifugiato
  9. crowdfunding
  10. fine della convivenza.

La conoscenza approfondita del rifugiato che poi andrà a convivere con la famiglia, nel senso più largo del termine (coppie, single, chiunque metta a disposizione una camera da letto e le proprie attenzioni), è un ulteriore punto imprescindibile per Refugees Welcome. “Spesso sono gli operatori delle cooperative che ci segnalano i rifugiati più di altri idonei ad una convivenza in famiglia, perché hanno conosciuto la loro storia, sanno che si sono comportati bene, e magari hanno già imparato un po’ di italiano” spiega Maria Cristina, “noi, comunque, sia per i rifugiati che ci vengono segnalati, sia per coloro che spontaneamente ci contattano tramite il sito, famiglie comprese, procediamo sempre ad un’approfondita conoscenza prima di procedere nel percorso”. La non idoneità delle famiglie desiderose di ospitare un rifugiato, ad esempio, ha un tasso molto elevato poiché “una cosa è registrarsi sul sito, magari dopo aver visto un documentario strappalacrime, un’altra è trovarsi di fronte alla situazione concreta. Anche l’eccessivo maternage della famiglia non va bene, perché si scontra con l’obiettivo principale della convivenza, che è il raggiungimento dell’indipendenza del rifugiato. Purtroppo non tutte le famiglie che, generosamente, esprimono la volontà di ospitare possono sempre essere accontentate”.

Il supporto da parte dei volontari di Refugees Welcome nei confronti della famiglia e dell’ospitato, comunque, non viene mai meno, sia durante la convivenza, sia nel caso in cui un rifugiato venuto in contatto con l’associazione non abbia avuto la fortuna di aver trovato una famiglia disposta ad accoglierlo. In quest’ultimo caso “il rifugiato non viene mai lasciato da solo”, ci tiene a precisare Maria Cristina, “cerchiamo sempre di trovare una soluzione grazie ad agganci con altre realtà associative, e grazie a dei progetti che possano coinvolgere i ragazzi”.

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Le storie di convivenza che i rifugiati, le famiglie, e gli stessi volontari vivono grazie a Refugees Welcome sono belle e peculiari. “Tutte le accoglienze che abbiamo realizzato, ovviamente, le abbiamo vissute positivamente, con emozioni anche forti. Se pensiamo a una delle prime esperienze” ricorda la segretaria e coordinatrice del gruppo di Bologna, “a noi attivisti non può che far sorridere una signora catanese di quasi 90 anni, che da tempo ospita un rifugiato di quasi 20 anni, una donna veramente in gamba, carinissima ed esilarante. Vivono da soli loro due, però hanno una delle classiche famiglie siciliane allargate in cui questo ragazzo si sente molto incluso”. Capita spesso che l’abbinamento tra ospitante e ospitato interessi una persona anziana disposta ad ospitare un giovane rifugiato, così come capita spesso che siano famiglie con più di un bambino ad offrirsi di ospitare, in quel caso la motivazione della famiglia è anche educativa nei confronti dei figli.

Maria Cristina è essa stessa impegnata in una convivenza che coinvolge più di un rifugiato, la storia di uno di loro è estremamente toccante: “c’è stato un periodo in cui io e mio marito siamo arrivati ad ospitare anche tre ragazzi contemporaneamente. Adesso ospitiamo un rifugiato del Mali che è quà già da un anno e mezzo e che fa una vita piuttosto indipendente, avendo un suo lavoro e i suoi giri, e da un mese stiamo accogliendo un ragazzo siriano che purtroppo ha una storia atroce alle spalle. Gli hanno sparato, l’hanno incarcerato, l’hanno torturato, si è ammalato, l’hanno respinto in Germania e rispedito in Italia con ancora una gamba sanguinante, ne ha passate letteralmente di tutti i colori. Siamo felicissimi di averlo e lui è una persona fantastica, ma mai e poi mai avrei potuto affidarlo ad una famiglia diversa dalla mia, si tratta di un caso veramente particolare. Siamo in attesa di sapere se può entrare a far parte di un progetto per vulnerabili e poi valuteremo se non sia il caso di tenerlo in famiglia”.

Attualmente in Italia i rifugiati che convivono in famiglia grazie all’intervento di Refugees Welcome sono circa 50, niente a che vedere con i circa 500 della Germania e dei moltissimi che, nonostante i suoi problemi, riesce ad ospitare la Grecia. “Questo a testimonianza che non è una questione di soldi”, chiarisce Maria Cristina. L’auspicio è che molte più persone, in Italia, possano offrire ospitalità tramite il supporto di Refugees Welcome. “Se c’è un messaggio che vogliamo lanciare a tutti coloro che volessero iniziare una convivenza con un rifugiato è cercare di considerare quello che questa esperienza può dare, non togliere in termini economici o di tempo o di chissà cosa. Cerchiamo di lanciare un messaggio diverso rispetto a quelli che stanno lanciando ovunque gruppi veramente pericolosi, un messaggio che non sia soltanto anti, ma anche pro qualcosa o qualcuno. Se c’è una cosa che posso testimoniare in prima persona è proprio il fatto che da esperienze di questo tipo è molto più quello che si riceve che non quello che si dà. Mi rendo conto che non tutti hanno gli spazi e la possibilità di fare questo, ma si può fare dell’attivismo con Refugees Welcome anche con piccole cose, come invitare una volta a pranzo o a cena un ragazzo, dedicandogli delle attenzioni specifiche, non facendolo sentire uno dei tanti, veramente chiunque può contribuire”.

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