Dal Lesbo a Ventimiglia, dove per i migranti c’è solo freddo dell’inverno

A Lesbo, Samo e Chio, isole greche del Mar Egeo, i centri di accoglienza per migranti sono al collasso. La lunga burocrazia greca e l’inasprirsi dei rapporti tra l’Unione Europea e la Turchia hanno portato alla completa disapplicazione dell’accordo stipulato tra le stesse lo scorso anno, secondo il quale qualsiasi richiedente asilo arrivato via mare in Grecia avrebbe dovuto essere trasferito in Turchia per attendere lì l’esito della sua richiesta d’asilo. Il risultato è stato che molti dei richiedenti asilo arrivati sulle isole in questi mesi, da Siria, Afghanistan e Iraq, sono stati costretti a restarci, e a trovare una sistemazione di fortuna al di fuori dei campi ufficiali, in tende estive poco adatte alle piogge e alle basse temperature invernali.

ANTHI PAZIANOU/AFP/Getty Images

Il problema della sostenibilità è grave, poiché le isole ospitano quasi 11mila migranti a fronte di una capienza di 3924 posti nei centri di accoglienza ufficiali, e gli sbarchi non accennano a diminuire. Scarseggiano docce e servizi igienici, acqua, riscaldamento e ripari appropriati, e con l’arrivo dell’inverno la situazione non può che peggiorare. Danika, coordinatrice di Medici Senza Frontiere a Lesbo, ha spiegato che “Lo stato psicologico di alcuni migranti è scioccante: nelle nostre cliniche di salute mentale riceviamo in media 10 pazienti al giorno che soffrono di stress psicologico acuto, molti di loro hanno tentato il suicidio o l’autolesionismo. La situazione sulle isole era già terribile, ora va oltre la disperazione”.

20 associazioni per i diritti umani hanno scritto una lettera al governo greco esortandolo a sospendere la “politica di confinamento” sulle isole, e a spostare i migranti sulla terraferma, dove esistono migliori strutture per l’accoglienza. Le sole 2000 persone trasferite sulla terraferma dal governo greco il mese scorso, spiegano le associazioni, non sono abbastanza, perché ce ne sono altre migliaia che vivono in condizioni inaccettabili. Anche secondo Emilie Rouvroi, capo-missione di Medici Senza Frontiere in Grecia, “è giunta l’ora di mettere fine alla politica di confinamento sulle isole e consentire a queste persone di andare lì dove i loro bisogni di protezione possano essere soddisfatti con umanità”. Caritas Grecia ha cercato di sensibilizzare quante più persone possibile tramite i social lanciando persino l’hashtag #opentheislands.

Purtroppo la burocrazia greca sembra non funzionare come dovrebbe. I richiedenti asilo considerati vulnerabili o che sono in grado di dimostrare di avere parenti in Europa possono fare richiesta di trasferimento nei centri della Grecia continentale, ma prima che la richiesta venga valutata passano mesi, e nel frattempo sono costretti a continuare vivere nelle stesse condizioni degli altri. Samar Elmonazed, una ragazza di 20 anni che vive insieme a sua figlia di 11 mesi in una tenda sull’isola di Samo, ha raccontato al Wall Street Journal di avere avuto un recente un aborto spontaneo, a causa del quale ha perso la possibilità, data alle donne incinte, di essere trasferite sulla terraferma.

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A sperare di raggiungere l’Europa continentale, per ragioni affettive piuttosto che umanitarie, non sono soltanto i rifugiati di Lesbo, Samo e Chio, lo sono anche quelli che risiedono a Ventimiglia e Valsusa, in Italia. In queste località le condizioni di vita dei richiedenti asilo non sono critiche come per coloro che risiedono nelle isole greche, ma sono comunque molto difficili. A Ventimiglia 500 richiedenti asilo vivono nel centro di transito gestito dalla Croce Rossa, ma per altri 200, la migliore delle sistemazioni è stata accamparsi alla bell’e meglio lungo il greto del fiume Roya, fuori dal sistema di accoglienza ufficiale. Di questi, 1 su 3 è un minore non accompagnato e molte sono le madri con figli piccoli che, spiegano a Repubblica Chiara Romagno di Oxfam e Simone Alterisio di Diaconia Valdese, “si trovano a vivere in una totale assenza di diritti e servizi essenziali. Una condizione non lontana da quella infernale della loro provenienza. A loro ogni giorno rivolgiamo tutti i nostri sforzi, distribuendo coperte, scarpe, cappelli per affrontare il freddo della notte”. Sul Roya le condizioni igieniche sono scarse e la situazione è in procinto di peggiorare con l’arrivo dell’inverno. Solo qualche giorno fa delle intense precipitazioni hanno provocato la piena del fiume, mettendo in serio pericolo la vita di molti di loro.

I richiedenti asilo di Ventimiglia percepiscono la città semplicemente come un punto di partenza verso la Francia, verso il ricongiungimento con la famiglia o con i propri cari. Ci provano in tutti i modi, a varcare il confine: a piedi, spesso di notte, incamminandosi lungo un valico montano già ribattezzato “sentiero della morte” (per la sua pericolosità), lungo i cavalcavia dell’autostrada o i binari della ferrovia, addirittura saltando sui treni. Nonostante gli sforzi, i fortunati che riescono a raggiungere la Francia vengono respinti dalla gendarmeria, obbligati dalla normativa europea a tornare nel Paese nel quale sono arrivati e hanno impresso le proprie impronte digitali. Ciò che desta più clamore è il fatto che i minorenni, che avrebbero diritto di chiedere asilo in qualunque Stato membro dell’Unione Europea, vengono respinti al pari di coloro che il diritto non ce l’hanno.

Anche in Valsusa sono moltissimi i richiedenti asilo che tentano di varcare i monti per raggiungere la Francia mettendo a repentaglio la loro vita. Qualche giorno fa 12 di loro sono stati salvati a 2000 metri di quota, privi di equipaggiamento e di abiti adeguati per affrontare un simile percorso. I volontari che operano sul posto hanno collocato dei cartelli illustrativi a Bardonecchia e Oulx, i due comuni  diventati il punto di partenza per la traversata, con un messaggio in arabo, francese e inglese, ammonendo sulla pericolosità delle montagne d’inverno.

cartello migranti pericolo

 

Lesbo, Samo e Chio, Ventimiglia e Valsusa sono realtà accomunate non solo dalle difficili condizioni cui sono costretti a vivere i richiedenti asilo, sono crocevia verso condizioni (umanitarie o affettive) migliori, che però al momento risultano irraggiungibili, per via di burocrazie nazionali poco pronte a garantire beni essenziali per tutti, per una normativa europea poco attenta alle loro esigenze emotive, e poco equa nei confronti degli Stati membri. Il fulcro della Convenzione di Dublino, che regola l’accoglienza dei richiedenti asilo in Europa, è che la domanda d’asilo debba essere obbligatoriamente presentata nel Paese europeo d’approdo. Questo, oltre a comportare problemi gestionali per gli Stati che accolgono il numero più elevato di richiedenti asilo, con conseguenti (poco tollerabili) carenze su strutture e beni di prima necessità messi a disposizione, ha ripercussioni anche sul piano emotivo di persone che, in fuga da guerre o carestie, cercano di ricongiungersi con parenti che in Europa ci sono già.

Fortunatamente, dopo molto tempo, sembra esserci la volontà politica di modificare alcuni punti principali della Convenzione di Dublino in questo senso.

Qualche settimana fa il Parlamento Europeo ha approvato la proposta della Commissione che prevede la modifica, tra le altre cose, della competenza riguardo all’esame della domanda d’asilo, che non sarà più affidata soltanto alla geografia (al primo Stato d’approdo), bensì ai legami familiari, e in mancanza di essi a delle quote ripartite tra gli Stati. Gianfranco Schiavone, esperto della normativa europea dell’asilo, ha spiegato a Internazionale che “Il richiedente quando arriverà in Europa saprà che è irrilevante il punto di ingresso, non è detto che resterà nel primo paese d’arrivo, e in questo modo non si creeranno quei fenomeni di fuga che hanno caratterizzato la storia dei flussi migratori degli ultimi vent’anni in Europa”.

Premesso che tale proposta dovrà passare al vaglio del Consiglio Europeo, se dovesse essere definitivamente approvata, costituirebbe finalmente un enorme passo in avanti non solo verso gli Stati che più di altri devono oggi gestire un’accoglienza numerosa, ma anche verso i richiedenti asilo e alla loro dignità. La speranza è che i “cancelli chiusi” delle isole greche di Lesbo, Samo e Chio, di Ventimiglia e della Valsusa possano finalmente essere aperti verso il resto dell’Europa, e che le terribili vicende in atto in queste località possano presto diventare lontani ricordi.

Andrea Dalla Libera

Andrea Dalla Libera, nato a Venezia nel 1993. Studio Scienze politiche, Relazioni internazionali, Diritti umani all'Università degli studi di Padova. Amo lo sport e la natura. Mi piace scrivere, e seguo con curiosità ciò che accade nel mondo. Coniugare queste passioni su Social News è una sfida davvero entusiasmante! Scrivere di diritti umani significa per me scrivere di dignità, libertà e progresso umano. 

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