Argentina, sentenza storica contro gli aguzzini della dittatura

Una folla esultante e commossa, abbracci, lacrime e cori fuori dal tribunale di Buenos Aires mercoledì 29 novembre, mentre sul maxischermo venivano trasmesse le immagini del processo per 789 casi di rapimenti, torture e omicidi avvenuti durante la dittatura militare che insanguinò l’Argentina tra il 1976 e il 1983Dopo cinque anni di udienze e oltre 800 testimonianze, compresa quella dello stesso Papa Francesco nel 2010 quando era ancora l’arcivescovo della capitale argentina, nell’aula del tribunale piena di sopravvissuti, parenti e amici delle vittime, finalmente si è arrivati alla lettura (durata quasi quattro ore) della sentenza: 48 condanne, di cui 29 ergastoli, le altre a pene comprese fra otto e 25 anni, sei assoluzioni. Questo processo è il terzo tenuto per i crimini commessi all’Esma, la Escuela meccanica della Marina trasformata in un centro di tortura, nella quale vennero detenute oltre cinquemila persone e la maggior parte di esse morì. Perseguire i colpevoli dei crimini della dittatura è stato di nuovo possibile da quando, nel 2005, sono state abolite le leggi di impunità nazionale, che per anni erano riuscite a bloccare i processi contro i genocidi, delle quali fu responsabile l’allora presidente Carlos Menem.

La dura lotta per la giustizia

Il lungo percorso verso la verità era iniziato nel 1985 con il timido tentativo del governo Alfonsìn di ricercare tra i ranghi militari le responsabilità della morte e della scomparsa di oltre trentamila oppositori del regime. Numeri agghiaccianti, in linea con il progetto del generale e dittatore Videla che amava ripetere: “Prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi”. La ricerca della giustizia fu interrotta da una marcia indietro dello stesso presidente Alfonsìn che archiviò la valanga di processi aperti contro i militari. Venne impedita l’apertura di nuovi procedimenti giudiziari e gli autori materiali di torture e omicidi furono scagionati grazie all’indulto del 1989. Si è dovuto attendere l’avvicendarsi di altri cinque governi prima dell’arrivo di Néstor Kirchner e sua moglie Cristina, succedutagli alla presidenza argentina fino al 2015, per riconoscere le morti delle vittime del regime una questione di Stato e riaprire i processi. Lo stesso Kirchner si definì durante una assemblea delle Nazione Unite come figlio delle Madri di Piazza di Maggio, l’associazione formata dalle madri dei desaparecidos che da oltre quarant’anni lotta perché le 30.000 vittime della “guerra sporca” perpetrata dai militari ottengano la giustizia che finora è stata loro negata. Tra i condannati all’ergastolo, Jorge Eduardo Acosta detto “la tigre”, ex capitano di fregata ed ex capo di intelligence e della task force dell’Esma, l’ex capitano di corvetta Ricardo Miguel Cavallo, estradato dalla Spagna nel 2008 e l’ex capitano della Marina e agente di intelligence Alfredo Astiz, noto come “Angelo biondo” o “Angelo della morte”, usato come infiltrato nei gruppi di attivisti, comprese, nel 1977, le madri di Plaza de Mayo. Tre fondatrici dell’associazione, tra cui Esther Ballestrino, amica di Papa Francesco, due monache francesi e altri sette attivisti vennero rapiti e uccisi. Astiz e Acosta erano già stati condannati all’ergastolo nel 2011 per altri capi di imputazione e non si sono mai dichiarati pentiti né hanno mai rivelato la fine di migliaia di desaparecidos.

24 Julio del 2014/ SANTIAGO
Agrupaciones de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Ejecutados Políticos caminaron en silencio alrededor de La Moneda con la fotografía de cada uno de los 119 víctimas desaparecidas en la Operación Colomboh
FOTO: JUAN GONZALEZ/ AGENCIAUNO

 

I voli della morte

La sentenza del 29 novembre inoltre include per la prima volta condanne per i voli della morte, metodo di sterminio durante i quali i militari gettarono in mare vive e sedate quattromila persone per farne scomparire i corpi. A rendere possibile le condanne è stato il ritrovamento, in uno degli aerei utilizzati, del brogliaccio nel quale era stata riportata tutta l’attività del velivolo: il nome del comandante, la data, l’itinerario, la durata dei voli. Dati che non vennero mai distrutti dai militari, complici il diffuso senso di impunità e un certo delirio di onnipotenza. Venne richiesto l’arresto per tre piloti: Mario Daniel Errù, Alejandro D’Agostino e Enrique de Saint Georges. Ai primi due è stato comminato l’ergastolo, l’ultimo è morto prima della sentenza, così come Julio Verna, ex medico che anestetizzava col Pentotal gli oppositori prima di farli salire sugli aerei, denudarli e gettarli nell’Atlantico.

La dittatura e la Chiesa, rapporti ancora non chiari

Se lo Stato argentino ha iniziato il percorso contro l’impunità dei carnefici, lo stesso non si può dire di altre istituzioni: “La Chiesa cattolica in Argentina ha avuto parroci e suore perseguitati dal regime, alcuni anche scomparsi, ma anche molti membri delle gerarchie che hanno appoggiato la dittatura militare e sono stati complici nell’individuare i dissidenti e perseguitarli. Nessuno ha chiesto perdono”, afferma Taty Almeida, attivista argentina per i diritti umani e membro delle Madri di Piazza di Maggio, mamma di Alejandro, rapito e scomparso nel 1975. I dubbi sulla connivenza della Chiesa con il regime non sono mai stati dissipati da Giovanni Paolo II né da Benedetto XVI, i quali si son sempre rifiutati di incontrare le Madri dei desaparecidos. Una inversione di tendenza si può forse auspicare da Papa Francesco, che il 4 dicembre ha incontrato in Vaticano Taty Almeida e ha autorizzato il gruppo di appoggio in Italia alla sua organizzazione a sedersi in prima fila alla messa del 16 ottobre, in piazza San Pietro. Una svolta importante, che però non è ancora stata accompagnata dalla tanto attesa richiesta di scuse e dunque ammissione delle responsabilità ecclesiastiche, né dall’ordine all’episcopato argentino di aprire gli archivi della Chiesa.

Le colpe dei padri

Alla lotta per la giustizia contribuisce anche Historias Desobedientes, un collettivo formato dai figli di militari colpevoli della repressione durante la dittatura che chiedono di processare i padri ancora a piede libero. Il codice penale argentino vieta ai figli di testimoniare contro il proprio padre, così il collettivo ha presentato al Congresso un disegno di legge per poter cambiare le norme e rompere questo patto del silenzio. Cresciuti come testimoni di quello che col tempo avrebbero capito essere un atroce terrorismo di Stato, ora sfilano di fianco ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime, spesso a costo di venire “esiliati” dalle famiglie per aver deciso di dire ad alta voce “mio padre era un genocida” e cercare di espiare il senso di colpa per i terribili crimini commessi dai loro padri.

 

Irene Cosul Cuffaro

rene Cosul Cuffaro nasce a Padova nel 1992. Fin da piccola è chiaro che la sua caratteristica più grande è la curiosità, che la spinge sempre a leggere, informarsi e discutere. Laureata in scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani, studia un anno presso l’Università di Siviglia grazie al progetto Erasmus e lavora a Granada, prima di laurearsi al corso di laurea magistrale Studi Europei. Amante dei viaggi e sempre alla scoperta di posti e culture nuove, si interessa principalmente alla storia, alle tematiche di genere, all’attualità. I diritti umani sono per lei, oltre a oggetto di studio, un elemento inviolabile di ogni essere umano, un tema di dibattito appassionante e stimolante. 

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