L’occhio invisibile di ISTAR

In tutto il mondo volano migliaia di apparecchi volanti a controllo remoto delle più disparate dimensioni. In questi ultimi anni si è assistito ad un vero e proprio incremento della produzione e vendita di questi velivoli, da quelli giocatolo che vediamo nei negozi a vere e proprie macchine in grado di sorvegliare ampie porzioni di territorio o di compiere attacchi mirati con le armi più sofisticate. Stiamo parlando dei droni o UAS (Unmanned Aircraft System) come vengono indicati nel gergo tecnico.

 

A fully armed MQ-9 Reaper taxis down an Afghanistan runway Nov. 4. The Reaper has flown 49 combat sorties since it first began operating in Afghanistan Sept. 25. It completed its first combat strike Oct. 27, when it fired a Hellfire missile over Deh Rawod, Afghanistan. (U.S. Air Force photo/Staff Sgt. Brian Ferguson)

La parola drone affonda le sue origini sia nel mondo naturale, in riferimento al fuco, l’ape maschio, che ricopre un ruolo che può essere considerato secondario (e sacrificabile) all’interno dell’alveare  (un possibile collegamento quindi al carattere marginale dei droni rispetto agli aerei con pilota a bordo) sia nel campo musicale come nota o un accordo continuo di accompagnamento all’interno di una composizione, come il ronzio costante delle eliche dell’UAS.

L’idea è semplice. Un apparecchio (grande o piccolo che sia) in grado di volare controllato, da terra, da un operatore e con il quale è possibile svolgere ogni tipo di attività.

Predator e Reaper: l’impiego militare dei droni

Nell’ambito militare si distinguono due categorie di droni. Quelli impiegati per la ricognizione e quelli utilizzati per l’attacco al suolo. Una sigla inglese riassume bene la tipologia di missioni di ricognizione: ISR ovvero Intelligence, Surveillance, Reconnaissance. Le missioni comprendono il monitoraggio costante delle mosse dell’avversario, la segnalazione tempestiva alle truppe amiche a terra di eventuali minacce (come la presenza di eventuali terroristi impegnati a sistemare un ordigno esplosivo sulle strade percorse dai convogli militari) o altre tipologie di operazioni (non armate) attraverso speciali sistemi coperti da segreto militare. I droni da ricognizione, maggiormente impiegati in tutto il mondo sono i General Atomic RQ-1 Predator e Northrop Grumman Global Hawk, quest’ultimo con un’apertura alare di quaranta metri,  cui si aggiungono quelli di costruzione israeliana e adesso quelli di costruzione cinese esportati e impiegati, in modo massiccio, dai paesi del Golfo nel teatro libico e yemenita.  

A fianco di questa grande categoria di UAS, si aggiungono quelli in grado di condurre anche missioni di attacco (oltre che di ricognizione, acquisizione bersagli e sorveglianza – ISTAR: Intelligence, Surveillance, Target – Acquisition and Reconnaisance) sia contro edifici sia contro terroristi/insurgents. Il General Atomic MQ-9A Reaper è la versione armata del Predator e rappresenta la piattaforma maggiormente utilizzata dalle maggiori forze aeree mondiali.  

Le bombe e i missili, da questi impiegati, sono a guida laser, di precisione, per ridurre danni collaterali. Nonostante le precauzioni e la tecnologia impiegata, le vittime e gli errori da parte della catena chiamata a identificare un certo soggetto, edifico o veicolo come obiettivo da eliminare, continuano a essere una costante in tutte le operazioni di guerra.

A maintenance Airman inspects an MQ-9 Reaper in Afghanistan Sept. 31. Capable of striking enemy targets with on-board weapons, the Reaper has conducted close air support and intelligence, surveillance and reconnaissance missions. (Courtesy photo)

Una guerra lontana

Come detto, il pilotaggio di questi velivoli è a controllo remoto e avviene attraverso collegamento satellitare tra la postazione attraverso cui l’equipaggio provvede a pilotare e a gestire i sistemi o le armi del drone e l’area in cui L’UAS vola effettivamente. I droni come i citati Predator o Reaper, versione armata del primo, che volano in Medio oriente sono pilotati da personale basato sulla base aerea di Creech nel deserto del Nevada. Qui si provvede anche alla formazione e all’addestramento degli equipaggi destinati ai droni, non solo statunitensi ma anche delle nazioni alleate che hanno in dotazione questi velivoli.

L’equipaggio standard che prende parte ad una missione di un Predator comprende un Ufficiale con brevetto di pilota militare, conseguito dopo l’iter standard su aerei con pilota a bordo, che provvede al pilotaggio del velivolo, un operatore addetto ai sensori, come le telecamere a infrarossi in grado di operare in tutte le condizioni e altro personale, dislocato presso i Comandi alleati, orientato al trattamento e all’analisi dei dati, ricevuti in tempo reale nel corso della missione di ricognizione del drone, come i Mission Intelligence Coordinators e i Senior Intelligence Coordinators. Infine, gli Authorising Officers hanno il compito di autorizzare, dopo ulteriore via libera da parte della catena di Comando, l’uso delle armi di cui il drone è dotato.

Danger drones zone: le zone di guerra

Her Majesty’s drones

La Gran Bretagna impiega dal 2007 circa dieci UAS rischierati a Kandahar, Afghanistan, il principale aeroporto della coalizione per le operazioni contro gli insurgents. In un’area isolata della base lo skyline di antenne e parabole indica il sito in cui è insediato il distaccamento operativo del 39° Squadron,  sotto il quale è inquadrata la Reaper Force. A differenza di quello che si può pensare, il volo è gestito, congiuntamente, sia dal personale rischierato nel paese asiatico sia da quello basato negli Stati Uniti. Le fasi di messa in moto, rullaggio, decollo e atterraggio vengono effettuate dai piloti distaccati a Kandahar mentre le operazioni di ricognizione e attacco sono condotte dagli equipaggi in Nevada. In caso di interruzione del segnale, il sistema di controllo è stato concepito in maniera tale che il drone sia in grado di dirigersi verso la base aerea più vicina.  

Impatto psicologico delle missioni con i droni

Una missione per la raccolta di dati intelligence circa gli spostamenti e le abitudini di un certo soggetto identificato come possibile obiettivo può durare mesi. Il drone ogni giorno monitora anche per dodici ore di seguito una certa area in cui il target opera. Solo dopo la raccolta di tali dati i Comandi possono approvare l’impiego di armi contro l’obiettivo. Questa tipologia di missioni ha causato non pochi problemi, soprattutto di natura psicologica, tra gli equipaggi. Uno studio approfondito è stato condotto dal Dottor Peter Lee, Ufficiale medico della Royal Air Force, l’aviazione del Regno Unito, dotata di droni Reaper armati. La ricerca del Dottor Lee, come riportato sul mensile AirForce Monthly (n.355 Ottobre 2017), ha riguardato tutto il personale coinvolto in una missione. La categoria maggiormente colpita è quella dei piloti chiamati ad effettuare le sortite. Molti sono gli elementi riconosciuti come fattori di stress. In primis i turni, che comprendono sei giorni operativi e tre di riposo oltre ad altre attività condotte dagli Ufficiali con incarichi di comando o dagli istruttori. Come possibile soluzione è stata introdotta, nel 2016, la Reaper Harmony Initiative che comprende un giorno obbligatorio destinato alle attività d’ufficio o per svolgere incarichi tali da poter garantire l’adeguata progressione di carriera nella Forza Armata.

Il monitoraggio costante di un certo soggetto, identificato come possibile obiettivo, instaura, qualche volta, un legame intimamente familiare tra l’equipaggio e le persone da sorvegliare. Non ultimo, in caso di attacco mediante missili, la velocità ridotta del drone rispetto ad altre piattaforme molto più veloci, porta l’equipaggio ad assistere a tutte le fasi di lancio, di impatto del razzo ed a alle conseguenze dell’attacco. Nel lungo periodo questa routine ha comportato significativi livelli di stress post-traumatico tra i piloti.

Vantaggi e svantaggi dei droni

A livello di pianificazione militare si prendono in considerazione tutti gli aspetti che riguardano l’impiego dei velivoli a controllo remoto. Se da una parte il ricorso ai droni ha avuto esiti positivi, come riportato dai militari che, oggetto di fuoco nemico, sono stati salvati dall’intervento degli UAS, dall’altra presenta limitazioni dal punto di vista tattico, come la già citata velocità ridotta che impedisce all’UAS di intervenire tempestivamente in un’area posta a grande distanza dalla base di partenza. Gli stessi piloti di jet aggiungono che i propri velivoli permettono non solo la tempestività delle operazioni in appoggio alle truppe a terra ma anche di garantire la presenza fisica del pilota alla luce della teoria secondo cui solo chi è sopra l’obiettivo con il proprio aereo è in grado di rendersi conto della situazione effettiva. La sensazione – del tutto umana – di essere presente in tutto e per tutto all’azione fa la differenza tra chi c’è e chi invece assiste dietro ad una console a migliaia di chilometri dal teatro operativo.

Gli scenari futuri: zero kills

In uno scenario di guerra le operazioni aeree con equipaggio comportano la presenza di uomini e mezzi in allerta pronti a recuperare eventuali piloti abbattuti. Operazioni di questo tipo, cominciate con il conflitto in Corea del 1950, si sono evolute nel corso degli anni grazie all’avvento di nuove tattiche e tecnologie. Ciò nonostante il rischio di abbattimento e perdite anche tra gli aerosoccoritori rimane elevato. L’impiego di piattaforme a pilotaggio remoto riduce drasticamente la possibilità di avere equipaggi dispersi a causa del fuoco nemico. Il vantaggio, per gli Stati, inoltre, è duplice dal momento che si riduce il rischio di perdite non solo umane ma anche finanziarie considerati i notevoli costi necessari per la formazione di un pilota militare.

Come riporta il Telegraph, il Ministero della Difesa inglese ha predetto che dal 2030 tutte le operazioni fino ad ora compiute da aerei pilotati saranno intraprese da velivoli a controllo remoto e che un terzo della Royal Air Force sarà basata sugli UAS. Il prossimo anno entrerà in servizio il tanto discusso F-35 il quale sarà l’ultimo caccia bombardiere a volare con il pilota a bordo. Il futuro per gli inglesi – e forse per il mondo intero –  è già nel presente.

 

Enrico Malgarotto

Enrico Malgarotto nato il 19/01/93 a Venezia, ho conseguito la maturità classica e la laurea in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani presso l’Università di Padova. Da sempre ho maturato vivo interesse per l’aviazione, la storia e le relazioni internazionali, perfezionato poi con il percorso di studi. Su SocialNews desidero condividere esperienze e conoscenze, con l’opportunità di approfondire la tematica dei diritti umani, che considero come il fondamento del vivere civile, da altre prospettive. 

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