I crimini contro l’umanità in Burundi

Da più di due anni il presidente illegittimamente in carica in Burundi,  Pierre Nkurunziza, sta instaurando un regime di terrore nei confronti degli oppositori politici e di persone innocenti al solo scopo di mantenere il controllo sul Paese. Sono moltissime le violenze, le torture e le esecuzioni extragiudiziarie che tuttora si stanno consumando in questo piccolo Stato africano. Il mese scorso una Commissione d’Inchiesta dell’ONU ha reso pubbliche le indagini sui crimini contro l’umanità che, dal 2015, il regime di Nkurunziza sta perpetrando nei confronti della sua stessa popolazione. I rifugiati all’estero del Burundi sono moltissimi e secondo un recente rapporto di Amnesty International rischiano il rimpatrio. Gli Stati che li ospitano, infatti, delusi dell’insufficiente finanziamento del programma dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, sembrano voler venire incontro alle richieste di rimpatrio formulate nei loro confronti da parte di Nkurunziza.

2015: l’inizio della fine per il Burundi

Quando il 26 aprile del 2015 il presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza, annunciò di voler correre per il suo terzo mandato consecutivo, violando il vincolo costituzionale dei due mandati, le opposizioni parlamentari e la popolazione insorsero, organizzando una serie di manifestazioni di piazza soprattutto nella capitale, Bujumbura. La reazione di Nkurunziza e del suo partito, il CNDD – FDD (Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia – Forze per la Difesa della Democrazia), fu spietata. Le forze di polizia nazionale e i servizi di intelligence cominciarono a torturare non solo gli oppositori politici e i cittadini che prendevano parte alle manifestazioni, ma anche semplici giornalisti e attivisti per i diritti umani.

L’escalation di violenze da parte di quello che ormai si stava per configurare come un vero e proprio regime dittatoriale si acuì a maggio, un mese prima delle elezioni previste per il 21 luglio, quando un fallito colpo di Stato organizzato da alcuni generali dell’esercito ai danni di Nkurunziza diede finalmente a costui il pretesto per intensificare la morsa repressiva, e mettere a tacere chiunque osasse opporsi al suo terzo mandato presidenziale.

Il 21 luglio, Nkurunziza trionfò a delle elezioni “farsa”, considerate le intimidazioni, le violenze, le esecuzioni, l’invito delle opposizioni a boicottare i seggi, e la scarsa attendibilità dell’esito in sé. Da quel momento il Paese cadde in una crisi che ancora oggi risulta ben lontana dall’essere superata.

burundi president

 

ONU: in Burundi crimini contro l’umanità

Lo scorso 4 settembre, la Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi ha reso pubblico un rapporto relativo ai crimini contro l’umanità commessi da Nkurunziza e il suo regime a partire da aprile 2015 ad oggi. Tali crimini si inseriscono in un contesto di gravi violazioni dei diritti umani, e comprendono esecuzioni extragiudiziali, arresti e detenzioni arbitrarie, violenze sessuali, torture, trattamenti crudeli, inumani o degradanti, sparizioni forzate. Gli autori dei crimini commessi sarebbero funzionari, anche di alto livello, delle forze di polizia nazionale, dei servizi di sicurezza nazionale, dell’esercito, o membri della lega giovanile del CNDD – FDD, il partito al potere, conosciuti come gli Imbonerakure.

Le conclusioni presentate dai commissari sono il risultato di diversi mesi di indagini e interviste che hanno coinvolto circa 500 testimoni, compresi sia cittadini del Burundi che oggi vivono all’estero come rifugiati, sia alcuni che sono rimasti in Burundi mettendo a repentaglio la loro stessa vita. Fatsah Ouguergouz, presidente della Commissione d’Inchiesta ha specificato come le testimonianze raccolte siano estremamente attendibili e ha aggiunto che le informazioni che continuano ad arrivare alla Commissione, “affidabili, credibili e costanti”, confermano che tali violazioni siano ancora oggi in atto nel Paese.

Le autorità del Burundi, che fa anche parte del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), hanno respinto i ripetuti tentativi della Commissione d’Inchiesta di instaurare un dialogo e di chiedere informazioni al governo quando, circa un anno fa hanno deciso di smettere di collaborare con l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite (OHCHR).

Alla luce della situazione drammatica che stanno attraversando il Burundi e la sua popolazione, la Commissione ha concluso il rapporto con la formale richiesta alle autorità burundesi di porre immediatamente fine alle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dai funzionari statali e dagli Imbonerakure. Ha sollecitato, inoltre, la Corte Penale Internazionale ad avviare quanto prima un’inchiesta sui crimini commessi nel paese e ha auspicato l’intervento dell’Unione Africa al fine di trovare una soluzione di lungo periodo alla crisi. Il Burundi, infatti,  a partire dal 27 ottobre 2017 si ritirerà ufficialmente dalla giurisdizione della Corte Penale Internazionale, ma fino ad allora questa avrà ancora la facoltà di esprimersi sui crimini del regime.

Due settimane dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite, l’ufficio ONU a Bujumbura è stato attaccato da sei miliziani armati che sono entrati nell’edificio a scopo intimidatorio.

burundi commissione d'inchiesta ONU

A rischio i rifugiati del Burundi

Il 29 settembre 2017 Amnesty International ha diffuso i risultati delle sue ricerche sui rifugiati del Burundi all’estero. Sono circa 400.000, dall’inizio della crisi nel 2015, la maggior parte dei quali ospitati in Tanzania, Uganda, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. Il governo di Bujumbura, negli ultimi tempi, si è fatto sempre più pressante nel pretendere il loro ritorno in patria, e alcuni governi, tra cui quello della Tanzania e dell’Uganda, sarebbero intenzionati a collaborare con Bujumbura poiché delusi dell’insufficiente finanziamento del programma dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (solo il 6 per cento di quanto necessario). Rachel Nicholson, ricercatrice di Amnesty International sul Burundi ha affermato che “mentre il governo del Burundi dice che nel Paese va tutto bene e sollecita i rifugiati a rientrare, altri burundesi continuano a fuggire a causa della repressione e dell’insicurezza”. Le forze di sicurezza e gli Imbonerakure, sempre più militarizzati, continuano a torturare e uccidere chi è sospettato di parteggiare per l’opposizione.

I ricercatori di Amnesty International, inoltre, nel corso di due visite in Tanzania nel giugno 2016 e in Uganda nel luglio 2017, hanno raccolto 129 testimonianze di rifugiati del Burundi, intervistandoli sui motivi della fuga e sul timore di ritornare. Molti di essi hanno parlato della repressione portata avanti da Imbonerakure, forze di polizia, servizi di sicurezza ed esercito, riferendo di uccisioni, pestaggi, minacce di violenza sessuale, torture in carcere ed estorsione di denaro.

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Quali soluzioni per la crisi?

Sebbene il Burundi si trovi in una situazione economica gravissima, anche a causa delle innumerevoli sanzioni ricevute dalla Comunità Internazionale nel corso di questi anni, il suo regime continua a rimanere saldo grazie agli aiuti di Paesi apertamente schierati a suo favore, come Cina, Russia, Egitto e Turchia. Per quanto importanti, a poco potranno valere gli appelli al dialogo, e difficilmente si potrà uscire da questa crisi, fino a quando vi saranno Paesi che, per interessi geopolitici, continueranno a soprassedere a gravi violazioni dei diritti umani. L’auspicio è che, grazie all’inchiesta dell’ONU, che ha portato sotto i riflettori internazionali i crimini del regime di Nkurunziza e ha chiamato ad intervenire la Corte Penale Internazionale, e grazie al rinnovato mandato della Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi, anche i finanziatori del regime possano in qualche modo accantonare le loro pretese sulla regione. L’Unione Africana (UA), inoltre, deve fare di più. L’art. 4 del suo atto costitutivo afferma che essa ha il “diritto di intervenire in uno Stato membro in conseguenza di circostanze gravi come: crimini di guerra, genocidi e crimini contro l’umanità” e che “ il rispetto dei principi democratici, dei diritti umani, dello Stato di diritto e del buon governo” sono alcuni dei suoi principi fondamentali. Ad oggi, però, l’Unione Africana non ha fatto abbastanza in questa crisi per dimostrare la dedizione verso questi stessi principi, ed è di vitale importanza che invece si sforzi, anche attraverso prese di posizione “forti”, al fine di farli rispettare.





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