Diete vegetariane, vegane e ambiente: è tutto rose e fiori?

L’impatto ambientale dell’industria dei cibi animali è tristemente noto da tempo, ma l’attenzione verso l’impatto ambientale di diete alternative, come quelle vegetariane, si è accentuata solo di recente, in maniera direttamente proporzionale alla loro diffusione. Il confronto tra queste e le diete che contemplano la carne appare impietosamente a favore delle prime, però, come spesso accade, non è tutto oro quel che luccica. Recenti ricerche infatti, gettano nuova luce sulle diete a base di verdure e ridimensionano soprattutto la dieta vegana che, in quanto ad efficienza nutrizionale e ambientale, non sarebbe la panacea di tutti i mali”.


dieta vegetariana e vegana

I vantaggi delle diete vegetariane

Studi autorevoli condotti a partire dagli anni 2000 mostrano come i vantaggi sull’impatto ambientale delle diete vegetariane (latto-ovo vegetariana, latto-vegetariana e vegana) siano cospicui, e interessino soprattutto l’energia utilizzata, la terra, le risorse idriche, l’uso di fertilizzanti e le emissioni di gas serra.

Nel 2003, i ricercatori della Cornell University di New York osservarono come la produzione degli alimenti destinati ad una dieta latto-ovo vegetariana richiedesse meno energia, meno terra e meno risorse idriche rispetto a quelli destinati ad una dieta basata sul consumo di carne. Ad analoghe conclusioni sono giunti, nel 2009, i ricercatori della Loma Linda University, i quali hanno specificato che “una dieta a base di carne richiede 2,5 volte più energia primaria, 2,9 volte più acqua, 13 volte più fertilizzanti e 1,4 volte più fitofarmaci rispetto ad una dieta latto-ovo-vegetariana”.

Sul tema del consumo idrico, già nel 1987 John Robbins evidenziava  nel suo libro “Diet for a New America” come la razione giornaliera di cibo per una persona che segua una dieta vegana necessiti solo di 1100 litri d’acqua, a fronte dei 4500 litri necessari per una dieta latto-ovo vegetariana ed i ben 15100 litri necessari per una dieta a base di carne. Lo Stockholm International Water Institute (SIWI), nel 2012 ha sottolineato che se si continueranno a seguire le diete a base di carne comunemente utilizzate nei Paesi occidentali, in futuro la disponibilità d’acqua per produrre cibo per sempre più persone potrebbe non essere sufficiente. La soluzione, secondo il SIWI, sarebbe quella di un cambiamento nelle abitudini alimentari dei Paesi occidentali, i quali dovrebbero ridurre il consumo di carne e orientarsi verso diete vegetariane. Un report dell’Institute for Water Education (UNESCO-IHE) ha stimato che una dieta vegetariana può ridurre l’impronta idrica addirittura del 58%.

Sul tema delle emissioni di gas serra, l’Institute for Ecological Economy Research di Berlino nel 2008 ha rilevato che, rispetto ad una dieta vegana, una dieta latto ovo-vegetariana ha un impatto 4 volte superiore, e una dieta a base di cibi animali ha un impatto di circa 7,5 volte superiore.

 

ambiente dieta vegetariana

Fonte: FoodWatch

 

Nel 2006, un gruppo di ricercatori italiani si era spinto anche oltre, indagando tutti i possibili impatti ambientali derivanti da queste diete, scoprendo che, rispetto ad una dieta vegana, la dieta latto ovo-vegetariana ha un impatto 1,8 volte superiore, e una dieta a base di cibi animali ben 2,7 volte superiore.

 

Ma è tutto oro quello che luccica?

Alla luce degli scenari dipinti sembra che le diete vegetariane, in quanto ad impatto ambientale, abbiano la meglio nei confronti delle diete a base di carne, ma studi più recenti, che hannoanalizzato in maniera più approfondita variabili come le “calorie assunte” e lo “sfruttamento dei terreni”, hanno fatto emergere considerazioni interessanti.

Uno studio del 2015 pubblicato sulla rivista Environment Systems and Decisions ha analizzato l’impronta sull’energia, sul consumo idrico e sulle emissioni di gas serra di tre diversi tipi di dieta, in rapporto alla variabile “calorie assunte”. È emerso che, a parità di calorie assunte, alcuni prodotti vegetali possono avere un impatto ambientale superiore rispetto ad alcuni prodotti animali. Paul Fischbeck, scienziato del team di ricerca, ha spiegato che “molte delle comuni verdure richiedono più risorse per caloria di quanto si possa immaginare. Melanzane, sedano e cetrioli non se la cavano bene se comparati al maiale o al pollo” e ha aggiunto che “mangiare lattuga è tre volte peggio che mangiare pancetta, se consideriamo le emissioni di gas serra”. Se dunque, in generale, l’impatto ambientale delle diete vegetariane è meno invasivo rispetto a diete che comprendono il consumo di carne, non si può dire lo stesso se si confrontano alcuni prodotti specifici dell’una e dell’altra dieta. Un frutto esotico come l’avocado in Cile, ad esempio, con l’aumento di domanda estera degli ultimi anni, sta generando una crisi idrica di dimensioni enormi.

Una ricerca condotta dalla Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University, pubblicata nel 2016 sulla rivista Elementa, si è spinta oltre rispetto agli studi precedenti. Ha esaminato la sostenibilità di dieci diverse diete, includendo nel paniere delle variabili non solo le “calorie assunte” ma anche lo “sfruttamento dei terreni”, arrivando a stimare quante persone potrebbero essere sfamate con ogni dieta. Tali diete, spiega la ricerca, sfruttano i terreni in maniera diversa, poiché tipi diversi di cibo richiedono tipi diversi di terra per essere prodotti. In particolare la dieta vegana avrebbe il grosso deficit di essere l’unica a non utilizzare colture perenni (che interessano buona parte del grano e del fieno usati per nutrire il bestiame), e per tale motivo vanifica la possibilità di produrre più cibo: essa nutrirebbe meno persone di due delle diete vegetariane e di due delle quattro diete onnivore analizzate.

 

Come sottolineato dalla stessa ricerca, una riduzione del consumo di carne è necessario per rendere più produttivi i terreni agricoli, ma l’eliminazione totale di prodotti di origine animale non è la soluzione più eco-sostenibile per l’umanità.

 

Carne, una variabile non trascurabile

Nonostante la mole di studi sull’impatto ambientale delle diete vegetariane ad oggi raggiunta, non si è comunque ancora approdati ad una teoria onnicomprensiva e globale del fenomeno. Spesso gli studi si limitano a studiare specifiche aree del mondo, o si concentrano su un’analisi settoriale, che magari tralascia alcuni fattori: parliamo di studi e previsioni tutt’altro che semplici.

Alla luce di quanto considerato, pare che la strada da percorrere per essere più eco-sostenibili, sia quella di limitare il più possibile il consumo di carne, senza se e senza ma, evitando però di eccedere in fanatismi scientificamente poco giustificati. È tuttavia doveroso sottolineare che esiste una variabile certamente non trattabile alla stregua di un dato empirico, ma che al contempo assume un valore non meno trascurabile: la variabile dell’etica, verso gli animali e/o verso i lavoratori dell’industria alimentare, a seconda delle differenti sensibilità: una variabile che, in qualsiasi considerazione sull’impronta ambientale delle diete, non dovrebbe mai essere trascurata.

 

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