“Dal mare li videro arrivare
i miei fratelli piumati
Erano gli uomini barbuti
della profezia attesa
si udì la voce del monarca
dicendo che il dio era arrivato
e gli aprimmo le porte
per timore dell’ignoto
………..
e quando ci rendemmo conto
già tutto era finito
in questo errore consegnammo
la grandezza del passato
e in questo errore restammo
schiavi per 300 anni”.
(“La maledizione della Malinche” di Amparo Ochoa)
Nel XVI° secolo, quando gli europei arrivarono in Argentina, l’attuale territorio era abitato da varie popolazioni amerindie distribuite in tre ecoregioni, con caratteristiche ben differenziate: nel nord-est andino si erano stanziate comunità agroartigianali imparentate con la civiltà andina, una parte delle quali apparteneva all’impero incaico; nel quadrante nord-est si erano stabilite comunità tupì-guaranì: nella pampa e in Patagonia erano presenti culture nomadi, di origini diverse e appartenenti a diverse famiglie linguistiche.
Durante la conquista europea queste comunità subirono destini diversi. Sia le culture pampeane che quelle che abitavano il Gran Chaco resistettero alla conquista spagnola e alla posteriore acculturazione e non soffrirono mai la dominazione diretta, a differenza delle popolazioni dei territori del nord-ovest in cui la colonizzazione spagnola stabilì i suoi principali centri abitati e produttivi e che furono protagoniste di guerre e insurrezioni contro gli Spagnoli. Nel nord-est, presso i popoli guaranì, si stabilirono le missioni gesuitiche che diedero vita a forme originali di società indigeno-cristiane autonome rispetto alla monarchia spagnola. Queste comunità fronteggiarono le armate congiunte di Spagnoli e Portoghesi ma vennero nel 1767 sconfitte e disciolte dalla Corona Spagnola.
Tutte le nazioni indigene furono vittime del collasso demografico che colpì tutti i popoli originari americani e che fu in buon parte conseguenza delle malattie portate dagli Europei. Si stima che la popolazione originaria prima dell’arrivo degli Spagnoli in Argentina, nelle valli più fertili del Nord-est, comprendesse circa 2 milioni di individui e in numero minore sulle rive dei grandi fiumi mentre il resto del vasto territorio avesse una densità demografica inferiore a 1 abitante per chilometro quadrato, cifre che oscillano fra i 300 mila e il milione e mezzo di abitanti in totale.
Il rapporto fra popolazioni originarie con gli Spagnoli prima e con lo Stato Nazionale dopo, è stato caratterizzato dalla sottomissione militare, dal genocidio, dall’espulsione dai loro territori, dalla repressione culturale e linguistica, dalla distruzione del loro sistema di organizzazione sociale e dall’espropriazione delle risorse naturali.
Dopo l’indipendenza del 1816 e la costituzione della Repubblica Argentina nel 1826, ebbe luogo un processo di conquista dei territori occupati dai popoli originari, soprattutto quelli che non avevano subito una dominazione diretta da parte dell’impero spagnolo, come la pampa, la Patagonia e il Gran Chaco.
Queste guerre contro l’indio, ebbero il punto più alto nella cosiddetta Conquista del Deserto nel 1880 che vide la sconfitta dei popoli mapuche e ranquel e permise all’Argentina di controllare effettivamente ancor più vasti territori.
Il progetto del nuovo stato, dalla seconda metà del XIX° secolo alle prime decadi del XX° secolo contemplava un programma economico di esportazione agraria e sul piano ideologico un progetto basato sui principi di “ordine e progresso” che comprendeva la migrazione europea ma escludeva le popolazioni originarie secondo una prospettiva monoideologica, monoculturale e monolingue.
Anche in epoche successive alla dominazione, molti sono stati i reponsabili di questo processo di sterminio e di invisibilizzazione dei popoli originari, come l’oligarchia argentina, l’immigrazione e la colonizzazione, la corona britannica, i latifondiari, le industrie multinazionali, i parchi nazionali, le istituzioni statali e la Chiesa. La repressione e la dominazione socio-politica furono accompagnate fin dall’inizio dall’interdizione dell’uso delle lingue originarie e dall’imposizione dello spagnolo.
A tutto ciò si deve anche la mancanza di dati statistici che riconoscessero la presenza di popoli originari sul territorio.
Questo processo si è protratto fino al 1968, anno del Censimento Nazionale Indigeno, svolto nelle scuole, che prese in considerazione solo gli indigeni che vivevano in comunità rurali e che non fu mai completato. L’altro censimento del 2001 è stato invalidato dalle organizzazioni indigene per il modo in cui si è svolto, con una scarsa diffusione e informazione presso le varie comunità e per l’ancora più scarsa formazione dei censori.
A tutto ciò va aggiunto che queste popolazioni, dopo essere state espulse dalle terre d’origine, furono spinte verso le zone meno fertili e verso le frontiere, durante tutto il XX° secolo.
Le popolazioni originarie oggi
I dati raccolti dall’ ultimo censimento sulla popolazione (2004-2005) riporta la presenza di 30 popolazioni indigene, di cui fanno parte 955 032 individui che rappresentano approssimatamente il 2,38% della popolazione totale di 39.671.131 persone. Sono 940 363 coloro che si autoriconoscono appartenenti a un popolo originario, oltre ai discendenti di prima generazione.
Si ritiene, comunque, che quasi il 60% della popolazione argentina vanti almeno un antenato indigena, benché nella maggior parte dei casi si sia ormai persa la memoria di tale appartenenza.
L’articolo 75, comma 17 della Costituzione Nazionale afferma i seguenti diritti:
“Riconoscere la preesistenza etnica e culturale dei popoli indigeni argentini. Garantire il rispetto della loro identità e il diritto a un’educazione bilingue e interculturale; riconoscere la personalità giuridica delle loro comunità, e il possesso delle proprietà comunitarie delle terre che occupano tradizionalmente; e regolamentarne la consegna di altre idonee e sufficienti allo sviluppo umano; nessuna di esse sarà alienabile, trasmissibile, né suscettibile di aggravi o sequestri. Assicurare la loro partecipazione alla gestione delle risorse naturali e a ulteriori interessi che li riguardino. Le provincie possono esercitare questi poteri in concomitanza”.
Malgrado l’esistenza di leggi che dovrebbero tutelare i diritti delle popolazioni originarie, purtroppo finora scarsamente applicate, il Comitato dell’ONU sulla Discriminazione Razziale ha messo in evidenza che attualmente in Argentina le popolazioni indigene (e afrodiscendenti) continuano ad essere vittima di discriminazione, che le loro comunità mancano tuttora di servizi di prima necessità e che hanno difficoltà all’accesso di acqua potabile.
Una delle cause principali risulta essere a tutt’oggi “la mancanza di titolarietà delle loro terre e le attività delle imprese che sfruttano le risorse naturali”. Un altro aspetto che desta seria preoccupazione è il fenomeno della denutrizione, delle malattie e della mortalità infantile. A questa si affianca la riduzione oltre che delle spese sanitarie anche di quelle per l’educazione e la cultura.
Ma un aspetto ancor più preoccupante è il reiterato vassallaggio del governo nei confronti delle imprese multinazionali per lo sfruttamento delle risorse idriche, minerarie, energetiche, agropecuarie nei territori indigeni.
“Ci resta il maleficio
di offrire allo straniero
la nostra fede la nostra cultura
il nostro pane il nostro denaro
Oggi continuiamo a scambiare
oro per perle di vetro
e diamo le nostre ricchezze
per i loro specchi luccicanti
oggi in pieno XX° secolo
continuano ad arrivare bianchi
e apriamo loro la casa
e li chiamiamo amici”.
I popoli originari, le loro organizzazioni, i difensori dei loro diritti subiscono ancora rappresaglie, intimidazioni, minacce e le loro azioni di protesta vengono criminalizzate e considerate spesso terroristiche.