Perché l’Arabia Saudita vuole isolare il Qatar?

Il 5 giugno, l’Arabia Saudita , l’Egitto , gli Emirati arabi uniti , Bahrein e Yemen hanno sospeso le relazioni diplomatiche con il Qatar accusandolo di sostenere il “terrorismo”

La lista di richieste dell’Arabia Saudita trasmesse al Qatar si possono sintetizzare nell’obbligo di “allinearsi con gli stati arabi e del Golfo, militarmente, politicamente, o socialmente ed economicamente, così come in materia finanziaria”.  Su indicazione di Riyadh, Bahrain, Emirati Arabi Uniti ed Egitto hanno tagliato tutti i legami, commerciali e diplomatici, con il Qatar realizzando di fatto un embargo. Le tredici richieste, o meglio imposizioni, suonano molto come un ultimatum, visto i 10 giorni di tempo concessi perché queste vengano esaudite. Nell’elenco troviamo l’obbligo di chiudere l’emittente al-Jazeera, ridimensionare i legami con l’Iran, rimuovere le truppe miliari turche dal suolo del Qatar, chiudere i rapporti con i Fratelli Musulmani, Hamas, Hezbollah, Al-Qaeda e presentarsi a controlli di conformità mensili.

Si sta delineando un ulteriore aggravamento del già complicato quadro mediorientale e mentre l’Europa è cauta nelle posizioni da prendere, l’amministrazione statunitense tenta di contenere le dichiarazioni del loro presidente. “Per noi, ognuno di questi Paesi è un partner importante” riferisce l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. “Il Regno Unito invita gli Stati del Golfo a trovare un via negoziale e bloccare l’embargo e le restrizioni che stanno avendo un impatto sulla vita quotidiana dei popoli della regione” le fa eco il Ministro degli Esteri Boris Johnson. Il presidente Trump si è preso invece il merito dell’embargo saudita e ha descritto il Qatar come un rifugio per il terrorismo. Il suo Dipartimento di Stato, per voce di Rex Tillerson, è dovuto correre ai ripari ed ha due volte criticato l’azione dell’Arabia Saudita e messo in discussione le sue vere motivazioni, anche forse nel tentativo di tutelare la più grande base statunitense del Medio Oriente localizzata proprio in Qatar. Il Qatar a sua volta risponde con il loro ambasciatore alle Nazioni Unite: “le accuse di sostenere il terrorismo sono il pretesto per sabotare il nostro rapporto con il mondo, con l’Occidente, infangare la nostra reputazione utilizzando la carta di terrorismo”.

Nel frattempo la Turchia, l’Iran e l’Oman stanno inviando derrate alimentari al Qatar. Doha condivide con Teheran l’enorme giacimento di gas naturale South Pars che non poco fastidio da al mercato del petrolio saudita. La Turchia ha offerto anche il proprio sostegno militare, forse per sdebitarsi per l’aiuto delle forze speciali qatarine durante il golpe dello scorso luglio contro il presidente Erdogan. Il leader di Ankara ha anche respinto le accuse che vedono il Qatar sostenere il terrorismo, affermando che Doha è invece sempre stato uno strenuo oppositore di terroristi dell’Isis.

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Ma cosa sta succedendo in Medio Oriente e quale lettura dare a questi ultimi avvenimenti. Il Qatar è isolato, ma non è solo. Questa crisi, infatti, evidenzia come il mondo islamico non sia solo diviso nei due blocchi contrapposti delle mezzalune sciite e sunnite, ma che all’interno della maggioranza sunnita ci siano almeno due grosse fazioni in lotta fra loro. Come già sappiamo l’Iran degli ayatollah è il punto di riferimento dell’Islam sciita, mentre l’Arabia Saudita lo è di quello sunnita. L’Islam è una religione che, per sua stessa costituzione, fonde politica e religione, tuttavia anche le frange più radicali si esprimono in maniera differente.

Fra le varie fazioni sunnite il wahhabismo è una corrente ultraradicale dell’Islam penetrata nella società saudita che oggi assume il ruolo predominante nei dettami religiosi di tutto l’Islam sunnita. Sul piano dottrinale, il Califfato dell’ISIS, proclamato da al Baghdadi, non si differenzia infatti dal wahhabismo saudita. Anche i Talebani, gli studenti coranici afghani e pakistani, vengono generalmente associati alla scuola indiana Deobandi, un movimento conservatore puritano d’ispirazione wahabita-saudita. Anche i Salafiti, l’altra forte corrente purista dell’Islam sunnita, inizialmente più moderata, sta progressivamente adottando una visione più radicale, simile ai wahhabiti, rivendicando l’applicazione letterale della Sharia.

Fuori dal coro, e probabilmente l’asse dirompente del mondo sunnita, sono i Fratelli Musulmani che, dalla loro nascita nei primi del ‘900, hanno cercato di promuovere un’islamizzazione dal basso con l’obiettivo di raggiungere il potere in Egitto con ideologie estreme. Anche se sono un movimento islamico radicale si riconducono ad una strategia più pragmatica con attività prevalentemente politica. La loro posizione, piuttosto che seguire un ideologia definita, varia a seconda della situazione del Paese. Sono stati “collaborazionisti” in Kuwait e Giordania , per un’opposizione pacifica in Egitto e per un’opposizione armata in LibanoLibia e Siria .Non si esprimono in una netta separazione fra sciiti e sunniti ed appoggiano i movimenti nazionalisti locali come il partito Akp del presidente turco, ma anche il movimento di resistenza palestinese Hamas e i libanesi Jamaa Islamiya. In Egitto, nei primi mesi del 2014, circa 1200 sostenitori e dirigenti del movimento sono stati condannati a morte perché i Fratelli Musulmani sono, oggi, fuorilegge in quanto considerati un’organizzazione terroristica in Bahrain, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, mentre godono di cospicui finanziamenti e protezione più o meno esplicita da parte dei governi di Turchia e Qatar.

Si cominciano quindi a delineare i blocchi contrapposti del mondo sunnita con Turchia e Qatar, di impostazione sunnita pragmatica aperta anche all’Islam sciita, forse vicini alla filosofia dei mussulmani dell’Oman in opposizione ai Paesi sunniti wahhabiti radicali – Egitto, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti – convinti di essere portatori dell’unica verità.

Questa forma di islamismo politico “sopra le righe” dei Fratelli Mussulmani è diventata quindi la spina nel fianco delle monarchie wahhabite del Golfo. In questa guerra fratricida islamica l’obiettivo di adesso è eliminare chi appoggia i Fratelli Musulmani e chi ha un approccio più aperto con l’Iran e con i gruppi sciiti, Qatar e Turchia in primis. Il primo passo è dunque la totale sottomissione del Qatar al volere dell’Arabia Saudita e la sua espulsione dal Consiglio di Cooperazione del Golfo. Il secondo probabilmente sarà ridurre l’ingerenza geopolitica della Turchia.

Ma i conti vengono fatti ancora una volta senza l’oste. il Qatar è cresciuto soprattutto finanziariamente ed ha realizzato una strategia economica e di immagine molto efficace per pianificare il momento in cui il paese non sarà dipendente da riserve di gas. Oggi è una sorta di porto franco dove si possono combinare affari milionari in relativa tranquillità. Il fondo sovrano dell’Emirato gestisce oltre 300 miliardi di dollari. Il Qatar possiede Al Jazeera, il Paris Saint-Germain, Harrods, grosse fette della banca Barclays, della London Stock Exchange, dell’aeroporto di Heathrow e come dice il Times, “più di Londra della stessa Regina”. Sono di sua proprietà 35 miglia lungo costa Smeralda, la Valentino Fashion Group, che comprende marchi di moda Valentino e Missoni, nonché i mondiali di calcio del 2022.

Il Qatar ha creato una rete che difficilmente potrà essere intaccata. Forse per competere con questo l’Arabia Saudita ha stipulato il faraonico accordo economico decennale con gli Stati Uniti, per un valore di circa 400 miliardi di dollari, finalizzato all’acquisto di forniture militari statunitensi ad alto potenziale tecnologico. In ogni caso tutti gli elementi mostrano il tentativo dei sauditi di assumere la leadership politica, economica e militare del Medio Oriente, prima che il petrolio esca di scena, ma il Qatar non sarà un avversario facile.

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