La censura 2.0 in Turchia

Turchia, le autorità censurano Wikipedia. L’accusa da parte del governo nei confronti dell’enciclopedia digitale è quella di condurre una “campagna diffamatoria” nei confronti del Paese. La Wikimedia Foundation presenta ricorso al Tribunale di Ankara, ma viene respinto.

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Il caso: l’enciclopedia online bloccata in Turchia

Dal 29 aprile la Turchia ha deciso di bloccare il sito di Wikipedia, l’enciclopedia gratuita online. La notizia arriva da Turkey blocks, l’organizzazione indipendente che si occupa del monitoraggio della trasparenza digitale e Internet nel Paese. A coloro che tentano di entrare nel portale di Wikipedia utilizzando un server turco, appare la schermata di avviso “errore di connessione”. Secondo quanto riportato da Turkey Blocks “la perdita dell’accesso è coerente con i filtri per Internet usati per censurare i contenuti in Turchia”. L’oscuramento del sito sarebbe avvenuto in seguito al rifiuto da parte dei gestori di rimuovere i due contenuti che manifestano l’inclusione del Paese sotto le voci: “Paesi stranieri coinvolti nel conflitto in Siria” e “Stati che hanno fornito sostegno al terrorismo jihadista”.

Successivamente, la Wikimedia Foundation ha presentato un appello, sulla base di una violazione della libertà di espressione, sostenendo che i contenuti contestati sono ascrivibili a sole due pagine. Tutto questo non giustificherebbe, dunque, la chiusura dell’intero sito.

La corte di Ankara, tuttavia, ha respinto tale appello, in quanto “non è possibile intendere la libertà di espressione in senso assoluto”. Essa può subire limitazioni “in base a casi particolari in cui si impone moderazione”. É necessario, pertanto, ricordare che dal 22 luglio 2016 è in vigore in Turchia lo stato di emergenza, attraverso il quale è stato possibile sospendere la Convenzione europea per i diritti umani.

Sono diversi gli osservatori, locali e internazionali, per la libertà di espressione e i diritti umani, che denunciano tale fatto come “un altro passo verso la chiusura di internet”, e non solo. Sì, perché l’oscuramento di Wikipedia non rappresenta il primo caso di censura in Turchia. La legge turca n. 5651, emanata nel 2007 e successivamente rafforzata nel 2014, consente al governo di censurare siti web senza interpellare un giudice per ragioni di “sicurezza nazionale, ripristino dell’ordine pubblico e prevenzione dei crimini”. Anche Facebook, Twitter, WhatsApp, Skype, YouTube sono stati bloccati diverse volte durante eventi politici o in concomitanza di attentati terroristici. I reporter attualmente in carcere sarebbero più di 153. Inoltre, secondo i dati del World Press Freedom index, la Turchia si colloca al 155esimo posto per la libertà di informazione sui 180 paesi presi in considerazione.

Libertà di espressione 2.0

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Fonte: articolotre.com

L’organizzazione americana non governativa Freedom House, che promuove attività di ricerca ed advocacy su diverse tematiche come libertà politiche, diritti umani, democrazia, ha analizzato la libertà di navigare in rete. I dati raccolti sono stati pubblicati nel report “Silencing the Messenger: Communication Apps Under Pressure”.

Dal report risulta così che la posizione della Turchia è scivolata pericolosamente nella sezione dei Paesi in cui l’accesso ad Internet non è libero. Perché internet è così importante? Internet, come lo conosciamo oggi, è presente dal 1970, eppure il suo uso attuale è senza precedenti. Secondo l’International Telecommunication Union il numero di utenti Internet è arrivato a 3,4 miliardi nel 2016. Si ritiene, ormai, che Internet sia uno dei più potenti strumenti del 21° secolo. La rete offre un mezzo fondamentale attraverso il quale è possibile aumentare l’accesso alle informazioni e facilitare la partecipazione attiva dei cittadini. Inoltre, è indiscusso il suo utilizzo come strumento educativo, in quanto fornisce l’accesso ad un’ampia fonte di conoscenza. Dai suoi benefici educativi si contribuisce all’aumento del capitale umano degli Stati.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, l’accesso a Internet rientra a tutti gli effetti nella dimensione dei diritti umani. Secondo Frank La Rue, il relatore speciale che ha scritto il documento “Sulla protezione e la promozione del diritto alla libertà di espressione e opinione”, internet è diventato un mezzo fondamentale che permette agli individui di esercitare il proprio diritto alla libertà di opinione e di espressione. Tale diritto è garantito dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, redatti con lungimiranza proprio per includere i futuri sviluppi tecnologici.

La Turchia vista dall’estero

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È ormai evidente che il clima in Turchia si sta facendo sempre più cupo. Nel mirino di Erdoğan non ci sono solo più giornalisti, personalità illustri della cultura turca, ma tutti coloro che esprimono il proprio dissenso. È sufficiente un Tweet contro il governo per finire in carcere per mesi. Tutti possono diventare nemici del Paese: curdi, giornalisti di opposizione al governo, professori, ecologisti. L’accusa è sempre la stessa: “terrorista o amico di terroristi”. La stessa accusa che aveva coinvolto Can Dündar nel 2015, giornalista del quotidiano laico e indipendente Cumhuriyet, per aver mostrato che i servizi segreti turchi avevano fornito armi agli estremisti islamici in Siria. Dopo il fallito tentato golpe aveva dichiarato di voler avviare una nuova iniziativa editoriale dalla Germania, paese in cui vive in esilio. Nel febbraio scorso ha lanciato il sito di informazione Özgürüz (libero) sulla Turchia, come dichiarato nell’intervista de L’Espresso. L’obiettivo del sito era quello di proseguire, insieme ad altri giornalisti turchi “a spasso”, ciò che stavano cercando di fare in Turchia, ove però avevano le mani legate. Ma non appena è andato in rete “l’autorità dell’informazione e comunicazione turca ha deciso di bloccarlo, ancor prima che fosse stato attivato nella versione turca”, ha dichiarato Dündar.

È evidente che la situazione post-referendum sia peggiorata drammaticamente, come raccontato in un precedente articolo di SocialNews. L’esito referendario ha evidenziato, nonostante la vittoria del fronte Evet (Sì), una perdita di consenso. Le città si sono schierate con il fronte dell’Hayır (No). Inoltre, il 10% degli elettori dell’AKP, Adalet ve Kalkınma Partisi, il partito di Erdoğan, ha votato contro il Sultano.

Sicuramente ne è uscito più debole, ma proprio per questo è più probabile che perduri sulla scia della censura e tenga un pugno di ferro. La stabilità e la sicurezza interna sono, così, destinate a peggiorare.

 

Jessica Genova

Jessica Genova

Nata a Genova nel 1991. Si laurea in Filosofia e successivamente prosegue i suoi studi all’Università di Padova in Human Rights and Multi-level Governance. È Capo Dipartimento Diritti Umani di U.P.K.L., associazione che promuove l’insegnamento dei diritti umani attraverso lo sport, e membro osservatore della Commissioe HEPA. Interessata alle politiche e pratiche in materia di Diritto dei Rifugiati trascorre un periodo di due mesi al confine turco-siriano, collaborando con ASAM, Association for Solidarity with Asylum Seekers and Migrants. Al rientro entra a far parte del gruppo regionale sul fenomeno migratorio di Croce Rossa Italiana, ove svolge anche attività di volontariato. Hobbies e passioni sono da sempre viaggi e scrittura. Scrive per La Chiave di Sophia e Social News, approfondendo così le tematiche di Diritti Umani e Geopolitica. I diritti umani sono per lei una sfida e una speranza. 

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