Robinù: un docufilm disorientante

Michele Santoro ha scelto la strada cinematografica per raccontare il fenomeno dei bambini soldato in Italia. Il taglio è pessimista: accenti cupi negano la speranza

Susanna De Ciechi

Robinù è il film che racconta dei bambini soldato di Napoli presentato nella sezione Cinema nel Giardino della 73^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e restato in programmazione a Milano per soli due giorni, il 6 e il 7 dicembre. L’impatto con Robinù è forte, disorientante. Il docu-film di Michele Santoro costringe a guardare in faccia, senza alcuna mediazione, una realtà tanto vera quanto insopportabile per chi sta, invece, e per sua fortuna, dalla parte delle persone che conducono una vita “regolare”.

Santoro ci mostra quella parte di Napoli popolata e dominata da giovanissimi boss, iniziati alle armi poco più che bambini, assuefatti alle sostanze, incapaci di parlare italiano e di esprimere un pensiero che esca dal circolo della violenza. Non conoscono, non sanno, sono ciechi rispetto all’altra parte del mondo. Per loro conta solo fare soldi e spenderli subito. Non c’è spazio neppure per immaginare un progetto di vita diverso. “Se vai in galera per vent’anni, esci e hai tutta la vita davanti”. Ma quale vita? Tra i ragazzi dei vicoli fa da collante il ricordo di Emanuele, giovane boss ucciso a diciannove anni e mitizzato da tutti. Spicca, poi, Michele: dal carcere continua a sorridere esibendo una faccia d’angelo; in apparenza non teme la prospettiva dei sedici anni da scontare. Segue il monologo di un altro ragazzo sul mito del kalashnikov: spara trentatré colpi ed è come uno scudo, rende invincibili. E’ bellissimo imbracciarlo: è come “tenere tra le braccia Belen”.

Le donne, compagne e madri, si arrangiano come possono, adeguandosi ad un presente immutabile.
Tutti sono abbandonati a se stessi. Nessuno interviene. Tutt’al più, c’è chi osserva a distanza.
I ragazzi sono prigionieri di un mondo chiuso all’interno di una porzione di città, una manciata di strade e di vicoli fatiscenti che non concedono scampo. Sono folli, violenti, le menti lavate dalla droga. Cercano di sopravvivere in qualche modo finché non verrà il loro tempo. Uccidere ed essere uccisi fa parte della loro normalità.
Sanno di non avere speranza? La maggior parte non si interroga, non ci pensa, non sa. In questo contesto non esiste alcuna possibilità di redimersi o di operare una scelta diversa. L’unica alternativa è emigrare e tagliare i ponti per sempre con la famiglia e con gli amici. Questa è la scelta del fratello di Michele: per non subire le ritorsioni dei nemici della sua famiglia, trova una via di scampo andando a fare il pizzaiolo a Parigi. Anche lì, però, le cose non sono facili. Forse per un caso, l’incontro con la troupe avviene nel corso di una manifestazione osteggiata dalla polizia francese. Con Robinù,invece, Santoro presenta una Napoli in cui le forze dell’ordine restano sullo sfondo.
La camorra cambia, chi nasce nel crocevia di strade regno dei tanti baby-boss non ha scampo, non conosce alternative.

“Non conoscono,
non sanno,
sono ciechi rispetto
all’altra parte del mondo.
Per loro conta solo
fare soldi
e spenderli subito.”

Del resto, nessuno ne offre. In questa parte di Napoli, la vita non concede altro. Come altri film che documentano contesti fuori portata, Robinù dovrebbe avere una programmazione in grado di garantire un’ampia visibilità nelle sale e dovrebbe essere visto con attenzione dalle istituzioni, da chi decide e legifera, spesso avendo una conoscenza superficiale dell’argomento di cui dibatte. Di sicuro, questi docu-film, e certi libri che raccontano verità scomode, richiedono una lettura attenta e impegnata. Quasi sempre, invece, vengono dimenticati nell’indifferenza generale.

Trama del film Robinù

«Tu queste cose le devi fare ora. Perché così, se vai in galera per vent’anni, esci e hai tutta la vita davanti». È questa la concezione del mondo di quei soldati bambini che a 15 anni imparano a sparare, a 20 sono killer consumati e a 30, spesso, non ci arrivano nemmeno. Negli ultimi due anni, a Napoli, bande di adolescenti si combattono a colpi di kalashnikov, in una guerra dimenticata arrivata a contare oltre 60 morti. La chiamano “paranza dei bambini”: giovani ribelli riusciti ad imporre una nuova legge di camorra per il controllo del mercato della droga. Una paranza che da Forcella si insinua nei Decumani e scende giù fino ai Tribunali e a Porta Capuana: il ventre molle di Napoli, la periferia nel centro, tra turisti che di giorno riempiono le strade e gente che di notte si rintana nei bassi trasformati in nuove piazze di spaccio, il vero carburante capace di far girare a mille il motore della mattanza.

Susanna De Ciechi, Scrittrice e ghostwriter

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