Il ruolo delle ONG nel Mar Mediterraneo

Il 15 dicembre 2016 il Financial Times veniva in possesso di un rapporto riservato di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, che segnalava alcuni possibili legami tra i trafficanti di esseri umani e le navi delle organizzazioni umanitarie. Subito dopo il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, in un’intervista a Die Welt, accusava le Ong di essere un fattore di attrazione per i migranti in fuga dalla Libia.

L’eco mediatica di tali dichiarazioni risultava perfetta per una propaganda populista e nazionalista delle “forze” che da tempo si oppongono alle politiche di integrazione verso i flussi migratori e stimolano la disgregazione europea. Progressivamente, nei mesi a seguire, si è arrivati alla situazione attuale in cui i sospetti verso le organizzazioni umanitarie e la demonizzazione delle Organizzazioni Non Governative hanno preso il sopravvento.

L’escalation delle polemiche e delle accuse reciproche nelle ultime settimane può essere riassunto in queste dichiarazioni: Frontex in un rapporto scrive che le operazioni in prossimità della costa “inducono i trafficanti a una pianificazione e agiscono da pull factor, aggravando le difficoltà legate al controllo delle frontiere e al salvataggio in mare”. D’altro canto le ONG accusano Frontex di ignorare le richieste di soccorso fatte dai migranti con i telefoni satellitari, violando le leggi internazionali e il diritto del mare che obbliga a intervenire in caso di emergenza. Per le autorità italiane e internazionali i gommoni carichi di migranti in pericolo devono essere aiutati, ma questa posizione non sembra condivisa da Frontex. Giuristi come Fulvio Vassallo Paleologo e Dario Belluccio hanno spiegato che nei soccorsi in mare deve essere applicata la convenzione di Amburgo secondo cui lo sbarco delle persone soccorse deve avvenire in un porto vicino ma anche sicuro, anche dal punto di vista dei diritti garantiti alle persone soccorse.

Vengono messe in forte discussione le inchieste del Blogger Luca Donadel, riprese e strumentalizzate dalla politica come “prova” degli illeciti delle ONG. Su questo argomento prende posizione anche il comandante della capitaneria di porto, l’ammiraglio Vincenzo Melone, che assolve le organizzazioni non governative. La Guardia Costiera libica e il Csm si schierano invece a fianco del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che, ribadendo i suoi dubbi sui legami tra alcune ong e i trafficanti di esseri umani in mare, ha chiesto maggiori strumenti di investigazione per poter far partire le indagini contro gli scafisti. In ogni caso, alla fine, Frontex conferma che il 40 per cento dei salvataggi in mare negli ultimi mesi del 2016 è stato permesso dalle navi delle organizzazioni non governative.

Lo scontro mediatico e politico e la strumentalizzazione del dramma risultano purtroppo evidenti. Di certo il controllo del flusso migratorio in questo contesto storico è una priorità, sia per questioni di economia e politiche europee che di sicurezza per i cittadini. Il giro d’affari complessivo della criminalità organizzata che si è “tuffata” in questo business è di 60 milioni di dollari l’anno. L’esodo forzato avviene dai 15 conflitti armati del centro africa, particolarmente gravi in Sudan e nella Repubblica Centrafricana. Ma viene facilitato dalla persistenza della crisi siriana e libica. Senza dei governi stabili in queste ultime due regioni è facile che possano prendere il sopravvento organizzazioni criminali finalizzate a lucrare sulla tratta dei rifugiati e che queste possano incentivare con ogni mezzo il tentativo della traversata per aumentare il loro guadagno indipendentemente dai rischi a cui questa gente viene posta.

L’Unione Europea e i Governi dei Paesi che hanno sbocco nel mar Mediterraneo hanno preso negli anni differenti provvedimenti per garantire sia la salute dei migranti ma anche per contrastare gli scafisti e la sicurezza degli europei. Obiettivi difficilmente conciliabili tutti insieme e che, per questo motivo, hanno visto il susseguisrsi di continue modifiche per necessità strategiche ed economiche.

La missione militare umanitaria “Mare Nostrum” aveva l’intento di potenziare il controllo dei flussi migratori e la salvaguardia della vita dei migranti in mare e l’arresto dei trafficanti di esseri umani e la distruzione dei mezzi di trasporto degli scafisti. Il costo dell’operazione era di 9,3 milioni di euro al mese e su risorse aggiuntive dell’Unione Europea per quasi 2 milioni di euro (dal fondo Ue per le frontiere esterne per le attività di emergenza).

La decisa opposizione politica a “Mare Nostrum” ha costretto però a passare, a gennaio 2015, all’operazione Triton con un costo minore (2,9 milioni al mese). Rispetto alla precedente questa puntava a sorvegliare le frontiere marittime esterne dell’Unione europea e a contrastare l’immigrazione irregolare e le attività dei trafficanti di esseri umani, con un’area operativa più limitata: entro le 30 miglia dalle coste italiana e maltese. L’eccessiva lontananza delle navi di controllo dalle coste libiche non ha permesso adeguatamente il servizio di soccorso. Con il passaggio da Mare Nostrum a Triton non sono quindi diminuiti gli sbarchi ma i morti in mare sono aumentati. Dopo l’ennesima strage al largo delle coste libiche nell’aprile 2015, il Consiglio d’Europa ha bocciato Triton definendola “non all’altezza”.

L’Unione europea ha quindi lanciato l’operazione Sophia, ufficialmente denominata “European Union Naval Force Mediterranean” e conosciuta anche con l’acronimo EUNAVFOR Med, costo 12 milioni di euro l’anno. Le navi delle diverse marine militari europee hanno quindi collaborato con l’agenzia europea Frontex e le Organizzazioni Umanitarie e Non Governative specializzate nel settore che potevano avere maggiore possibilità di movimento e di avvicinamento alle coste africane. L’operazione è stata prorogata fino a luglio 2017.

Tutti gli operatori delle Ong assicurano di essere coordinati dalla centrale operativa della guardia costiera di Roma e di ricevere indicazioni precise sul porto di sbarco direttamente dal ministero dell’interno. In fondo il compito delle ONG, nell’operazione Sophia, è di coordinarsi con la Marina Militare in cui l’organizzazione umanitaria è deputata al salvataggio dei profughi mentre la marina all’arresto degli scafisti e al sequestro delle imbarcazioni. Se ci sono ONG che non applicano le strategie previste ed autorizzate sarà necessario indagarne il perchè questo avviene e quindi prendere i provvedimenti secondo ordine della magistratura.

In tutta questa situazione quello che dovrebbe essere evidenziato è come il flusso dei migranti stia diventando il più efficace sistema di destabilizzazione politica dell’Europa e continua ad essere un dramma per migliaia di persone che continueranno ad essere la merce per l’arricchimento di persone senza scrupoli. Da ottobre 2013 sono più di 13mila gli uomini, donne e bambini ormai sepolti nel “mare nostrum” che di azzurro ormai non può più avere nulla. Questa gravissima criticità, come altre legate alle forze energetiche e finanziarie o di sicurezza interna, devono essere di stimolo ad una riforma dei trattati europei per raggiungere una forma confederata di governo maggiormente centralizzato in una Unione Europea veramente unita.

Ma non solo, è incredibile che nessuno ponga l’accento sul come viene generato il flusso di migranti, di come le guerre, da cui scappano queste povere persone, siano il prodotto della vendita degli armamenti occidentali, di cui l’Italia non ha un ruolo da gregario: le esportazioni italiane di armi nel 2016 hanno raggiunto 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell’85,7% del 2015. E’ vero che a fare la parte del leone in questo mercato sono Stati Uniti, Russia e Cina, ma è altrettanto vero che quando si vuole guarire da una malattia bisogna in primis eliminare la causa scatenante, spesso i rimedi, più o meno efficaci, non risolvono mai il problema.

  2 comments for “Il ruolo delle ONG nel Mar Mediterraneo

Rispondi