Rifugiati imprenditori, l’autoimpiego è l’unica fonte di reddito

“Mi piace creare, non dipendere”. Sono queste le parole di Soma Mokan, un venticinquenne del Mali attualmente in Italia come rifugiato. Dopo essere fuggito dal suo paese, ha trascorso un breve periodo in Algeria, per arrivare poi in Libia. Con lo scoppio della guerra civile, ha deciso di affrontare la lunga traversata verso l’Italia.

Nel 2011 è sbarcato, quindi, a Lampedusa. Dall’Isola è stato però presto trasferito a Trento, in un centro di accoglienza. È proprio in questa città che si è trasformato in imprenditore: è riuscito ad aprire un’attività di vendita di prodotti artigianali e alimentari provenienti dall’Africa.

Al termine del percorso di accoglienza, infatti, aveva preso parte ad un progetto, assieme ad un altro rifugiato divenuto poi suo socio in affari, ad un progetto finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati (FER), diretto al sostegno di programmi e azioni collegate all’integrazione di richiedenti asilo, il cui soggiorno sia di natura stabile.

Il progetto per far nascere l’impresa

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Si chiama RE-LAB: START UP YOUR BUSINESS, si è svolto dal 2012 al 2014 ed è stato gestito dal Ministero dell’Interno in partenariato con altri enti. Ne era responsabile era l’International Training Centre, un’agenzia che fa capo all’ILO, International Labour Office. Gli altri partners sono stati Micro Progress Onlus, associazione che si occupa di microcredito, microfinanza e avvio all’impresa; Associazione Microfinanza e Sviluppo Onlus e il Comune di Venezia. La prima si è occupata del progetto nella zona di Roma e del Sud Italia, gli altri due invece a Mestre e Trento. Un ruolo importante è stato quello svolto dal CIR, Consiglio Italiano per i Rifugiati, che si è occupato della diffusione del progetto.

L’obiettivo era trasformare in imprenditori i titolari di protezione internazionale, dopo un accurato periodo di formazione. Il percorso, come spiegato dai responsabili, è stato suddiviso in 5 fasi principali.

  1. Accurata selezione dei partecipanti al percorso formativo: la scelta è ricaduta su quelle persone che già avevano elaborato un progetto d’impresa e contraddistinte da una forte vocazione imprenditoriale
  2.   Percorso formativo: sviluppo graduale della loro idea imprenditoriale ed individuazione di cosa effettivamente si intenda per “avere buone capacità imprenditoriali”
  3.   Fase di tutoraggio: assistenza al dettagliare il progetto d’impresa, approfondimento tramite indagini di mercato, controllo della realizzabilità del progetto
  4. Selezione dei migliori progetti costruiti nel corso del percorso formativo
  5.     Assistenza tecnica per l’avvio dell’impresa e supporto nella fase iniziale.

Dei 341 rifugiati che hanno partecipato al progetto, 98 hanno concluso il percorso formativo creando 54 progetti d’impresa. Tra questi ne sono stati selezionati 14, finanziati con diecimila euro e accompagnati all’avvio d’impresa.

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A chi è rivolto il progetto?

RE-LAB ha dimostrato come sia possibile la creazione di un’azienda anche da parte di persone che hanno affrontato un grande trauma sul piano sociale e personale.

Sono coloro che detengono lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria.

Il rifugiato e il protetto sussidiario ottengono asilo in italia. Se ritornassero nel loro Paese di origine, o in quello in cui avevano residenza, infatti sarebbero a rischio di subire persecuzioni.

Il progetto ha voluto dare rilievo ai titoli di studio e alle capacità di ciascuna di queste persone, i quali quasi mai vengono riconosciuti nel nuovo contesto in cui ottengono protezione. Il loro passato – spiega Giampietro Pizzo, vicepresidente dell’Associazione Microfinanza Onlus – viene spesso annullato e si finisce per perdere grandi risorse umane e competenze professionali.

Ad esempio, tramite RE-LAB, un ragazzo originario del Camerun è riuscito a creare opportunità di investimento in Africa, fungendo da punto di collegamento commerciale tra due diverse economie e società.

Il microcredito per l’autoimpiego come possibilità di integrazione

Il lavoro rappresenta uno strumento per combattere l’esclusione sociale. E vista l’attuale situazione economica italiana attraversata dalla crisi, unita all’elevata quantità di rifugiati disoccupati, l’autoimpiego si configura, a volte, come l’unica possibilità di ottenere un reddito.

I rifugiati si trovano penalizzati infatti nell’inserimento lavorativo e a forte rischio di esclusione sociale. Nella maggior parte dei casi, anche solamente aprire un conto in banca risulta essere molto complicato, se non addirittura impossibile.  

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Entra in gioco allora il microcredito, nato nei Paesi in via di sviluppo ma sviluppatosi col tempo anche nel resto del mondo. Si tratta di un meccanismo che porta all’erogazione di prestiti a livello locale a piccoli produttori, ossia a quei soggetti impossibilitati ad accedere al credito ordinario perché privi di risorse economiche. Si contraddistingue per la quantità modesta di somme prestate e, generalmente, dal basso tasso d’interesse applicato. L’erogazione del prestito è preceduta da un lungo processo conoscitivo, al fine di evitare il rischio di insolvenza del debito che verrà contratto.  

Il microcredito valorizza la persona, stimolando la sua inclusione finanziaria, facendo sì che si trasformi in un’inclusione sociale nella comunità. Ovviamente, permettere ai rifugiati di accedere al credito e di creare lavoro, accresce la ricchezza del Paese che fornisce loro protezione.

Poche sono ancora però le attività messe in campo in tal senso. RE-LAB, conclusosi nel 2014, è stato un progetto pilota per la sperimentazione di vie d’accesso alternative al lavoro. Le stesse associazioni coinvolte hanno manifestato la speranza che, in futuro, vengano promossi simili progetti, che coinvolgano attivamente anche le istituzioni territoriali. Ad esempio, a livello europeo esiste, al momento, una piattaforma online che aiuta i possibili futuri imprenditori rifugiati a sviluppare le loro idee. Collegandosi, è possibile entrare in contatto con guide e investitori che forniscono il loro supporto. Il progetto vuole arrivare a dimostrare che i rifugiati non rappresentano un peso per l’economia, ma possono invece contribuire a farla crescere.    

 

 

Alice Pagani

Alice Pagani, nata a Verona il 21/06/95. Attualmente studente di Scienze Politiche, Relazioni Internazionali, Diritti Umani presso l'Università degli Studi di Padova. Da sempre lettrice accanita, amante di lingue, culture e nuovi posti da scoprire. SocialNews mi permette di coltivare la passione per la scrittura, applicando, allo stesso tempo, gli studi universitari. Cosa sono per me i diritti umani? Tutti quei diritti che spettano a ognuno in quanto essere umano presente sulla Terra, non sono ammesse discriminazioni. 

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