Acqua: conseguenze e soluzioni di un diritto negato a un miliardo di persone

Quando si parla di acqua, come di altre risorse naturali, è evidente, oggi più che in passato, la forte frattura che divide il mondo: da una parte c’è chi può decidere di abusarne, dall’altra chi invece è costretto a perirne. Ad illustrare le conseguenze di questa divisione, sono i diversi relatori, ospiti della conferenza “Cambiamo il mondo. #gocciaagoccia”, tenutasi presso la sede del comune di Bologna, lo scorso 31 marzo.

Organizzato da GVC Onlus, l’incontro trae spunto dalla Giornata mondiale dedicata a questa risorsa e rappresenta, quindi, l’occasione di tenere aperto il dibattito sull’acqua, intesa come bene comune da garantire a tutti.

L’acqua: un diritto negato

“L’acqua infatti, come affermato dall’arcivescovo di Bologna, Monsignor Zuppi, è uno dei primi diritti negati a tantissimi.” A dimostrarlo scientificamente sono i dati raccolti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite: 1 miliardo di persone non ha accesso a questa fonte primaria di sussistenza. Inoltre, ben più di due miliardi di persone soffrono l’assenza di strutture igienico-sanitarie. Infine, 1 bambino su 5 muore per sete o malattie legate all’acqua.

Tale fenomeno è dovuto, innanzitutto, a mutamenti idrogeologici, che causano una diminuzione dei flussi idrici. In secondo luogo, in alcune aree del mondo, mancano le risorse economiche per costruire le infrastrutture utili a rendere l’acqua accessibile.

I territori in questione corrispondono non a caso alle zone di minore sviluppo economico, come le regioni del centro africa e del sud est-asiatico. In più, la scarsità di questo bene porta ulteriori conflitti in bacini di tensione geopolitica, situati nel Nord Africa e in Medio Oriente.

Land and water grabbing: arraffare acqua e terreni

Allo stesso tempo, la crescita demografica e l’urbanizzazione hanno favorito la crescita della domanda di acqua nelle aree più sviluppate (Europa, Cina e Stati Uniti in particolare). A questo è seguito un utilizzo incauto e insostenibile di risorse naturali presenti nelle zone più povere.

Credits photo: GVC Onlus

Nello specifico si è dato vita a quello che Cristina Cattaneo, della Fondazione Eni Enrico Mattei, ha definito land e water grabbing. In altre parole, l’accaparrarsi di terre e acque da parte di grandi capitali stranieri, in particolare privati stranieri legati a multinazionali. Sono questi, tra i quali vi sono sempre più imprenditori cinesi, ad estrapolare eccessive dosi d’acqua per alimentare le proprie industrie, a discapito dei residenti nelle regioni di estrazione.

Le migrazioni ambientali

Questi ultimi decidono perciò, sempre più spesso, di migrare verso regioni più fertili. Tra i vari esempi vi è quello dei cambogiani che si dirigono nella vicina Thailandia alla ricerca di acqua. Questi  attraversano il confine spesso irregolarmente per ovviare ai tempi d’attesa per ottenere un permesso regolare.

Il loro caso, portato dalla portavoce di GVC, Margherita Romanelli, non è però l’unico. In Siria, tra il 2006 e il 2010, si è generato un conflitto per le risorse idriche, che ha causato lo spostamento di 2 milioni di persone. Tali flussi, inevitabili, vengono identificati come migrazioni ambientali.

L’acqua: un bene da riconquistare

A questi, che vedono migliaia di persone abbandonare le proprie case anche a causa di calamità naturali, occorre porre una soluzione. Tra le varie, si richiede l’identificazione di meccanismi chiari per la protezione internazionale dei rifugiati ambientali.

Questo potrebbe essere un punto di inizio per risolvere i problemi che, come afferma Riccardo Pretella, promotore Contratto Mondiale sull’acqu), gli stessi dirigenti hanno creato.

Infine, come ha affermato Matteo Lepore, assessore all’economia e promozione della città di Bologna, ad apertura dei lavori, è necessario stabilire “un impegno politico costante e un coinvolgimento degli stessi cittadini, affinché siano questi i primi ad preoccuparsi di non sprecare”.

 

 

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