Argentina, il paese dei bambini perduti

Nel periodo che va dal 1976 al 1983 l’Argentina fu governata da una dittatura militare che fece numerose vittime, di cui 15.000 fucilate per le strade e 30.000  ufficialmente considerate desaparecidas, l’80% delle quali aveva fra i 18 e i 35 anni. Il 30%  era rappresentato da donne di cui il 10% era incinta. Le donne venivano mantenute in vita nei centri clandestini di detenzione fino al momento del parto e spesso torturate malgrado il loro stato, come consta, per esempio, nella testimonianza prestata da Adriana Calvo de Laborde durante il processo tenutosi il 29 aprile del 1985:

“Fra le esperienze terribili in questo luogo devo raccontare il parto di Inés Ortega; Inés aveva allora 16 o 17 anni; era il suo primo figlio, era molto spaventata. Qualche giorno prima del parto cominciò ad avere le contrazioni e noi chiamammo il capo delle guardie (…)  Ci diedero retta solo qualche ora dopo e spiegammo loro che aveva le contrazioni. Dissero che avrebbero portato un medico: molte ore dopo arrivò (…) il dottor Bergés ci fece uscire dalla cella, Inés e me, perché anch’io ero incinta. Ci trascinarono su per le scale, su una scala di cemento dove sbattevamo contro tutti gli scalini; ci buttarono a terra e in meno di tre minuti ci controllarono la dilatazione. Era senza dubbio un medico ostetrico; ci disse che stavamo perfettamente e ci riportarono in cella. Qualche giorno dopo, Inés Ortega cominciò il travaglio. (…) Gridavamo tutte al capo perché venisse. Inés aveva le contrazioni sempre più ravvicinate, io cercavo di insegnarle la respirazione addominale, lei giaceva per terra, disperata. Finalmente, molte ore dopo, verso il mattino, iniziò il travaglio del parto e vennero a prenderla a tarda notte. La portarono nella stanza al lato, la stessa che usavano per torturarci, la fecero salire su un tavolo e la bendarono. Sentivamo le risate dei guardiani, sentivamo le grida del medico e infine sentimmo il pianto del bambino. Era nato un maschietto in perfette condizioni anche se  è difficile crederci. Lo sentimmo per un intero giorno in cui lo tennero in una cella piccola di fianco alla nostra. Lei ci raccontò  dopo che l’avevano lasciata con il suo bambino e poi le dissero che il colonnello lo voleva vedere e che l’avrebbe consegnato ai nonni. Inés non tornò con noi, non vedemmo più né Inés né il suo bambino. Lo aveva chiamato Leonardo ed era nato il 12 marzo del 1977 e stava in perfette condizioni”.

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Nei centri di detenzione o nelle loro vicinanze venivano organizzate maternità clandestine, con medici e infermieri alle dipendenze del comando militare. Dopo il parto, la madre veniva, di regola, assassinata; l’identità del bambino veniva cancellata e sostituita con una nuova, tramite l’emissione di documenti falsi.

I bambini venivano consegnati a coppie che, nella maggioranza dei casi, erano complici dell’assassinio dei genitori biologici e della soppressione dell’identità del bambino. Si calcola che oltre 500 minori siano stati dati illegalmente in adozione  o registrati direttamente come propri figli dagli stessi carnefici o consegnati a istituzioni perché li dessero in adozione e mai restituiti alle famiglie d’origine. Di questi 500, fino ad oggi ne sono stati recuperati 121.

Già nel 1978, in piena dittatura, fu possibile localizzare il primo bambino, Emiliano Damián Ginés Scotto, morto all’ospedale pediatrico di La Plata. Era stato portato all’ospedale come NN e la morte, si suppone, fosse avvenuta per mancanza di un’adeguata attenzione medica. Entrambi i genitori erano stati assassinati.

Fondamentale per il recupero dei figli dei desaparecidos e la restituzione della loro identità, così come per la denuncia dei torturatori e degli assassini dei loro genitori, fu l’azione delle Madres e delle Abuelas (Madri e Nonne) di Plaza de Mayo, instancabili nelle operazioni di ricerca, di ritrovamento dei loro discendenti e dell’assistenza legale e psicologica che veniva loro data in seguito. Già nel 1980, in piena dittatura erano riuscite a ritrovare le prime due nipoti, Tatiana y Mara Laura Ruarte.

Altro fattore fondamentale fu l’implemento che le Madres e le Abuelas diedero alla creazione nel 1984 dell’Equipo Argentino de Antropologia Forense (EAFF) inizialmente a carico dell’allora direttore del Programa de Ciencia y Derechos Humanos dell’Associazione Americana per lo Sviluppo della Scienza, Eric Stover. Si trattava di un’associazione non governativa  perché, come sosteneva Cecilia Ayerdi, coordinatrice dell’ EAFF, “i familiari non avevano fiducia nei periti ufficiali che in generale erano gli stessi utilizzati dalla dittatura”.

Nel 1987 venne istituita per legge la Banca Nazionale dei Dati Genetici (BNDG) allo scopo di chiarire l’identità dei presunti figli dei desaparecidos. La Banca avrebbe conservato “un campione di sangue di ognuno dei familiari dei bambini di desaparecidos nati in prigionia, utilizzando la metodologia che vari genetisti avevano sviluppato dall’adattamento delle prove di paternità”, come spiega Víctor Penchaszadeh, uno dei medici che partecipò alla sua elaborazione, nel suo libro Genética y Derechos Humanos (Genetica e Diritti Umani). I campioni di sangue prelevati ai familiari dei desaparecidos saranno conservati fino al 2050 al fine di compararli con chiunque possa stabilire un legame di parentela.

Dal 2009  il BNDG funziona all’interno del Ministero della Scienza e della Tecnologia della Nazione, come organismo autonomo e autofinanziato.

Al ritorno della democrazia, il 10 dicembre del 1983, il presidente Raul Alfonsín creò la CONADEP (Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas) con l’obiettivo di investigare sulle gravi e ripetute violazioni dei diritti umani nel periodo della dittatura militare attraverso il cosiddetto Proceso de Reorganización Nacional. La commissione fu istituita con lo scopo non di giudicare, ma di indagare sulle sorti dei desaparecidos. Molte furono le dicharazioni e le testimonianze e le prove  dell’esistenza di centinaia di centri clandestini di detenzione.  Nel 1985 ebbe luogo il primo processo contro le giunte militari, conosciuto come il Juicio de las Juntas, che terminò con la condanna di Videla, Massera e Agosti, membri della prima giunta, e di Viola e Lambruschini, membri della seconda giunta.  Il processo si pronunciò su oltre 600 vittime della dittatura ed anche sull’appropriazione di sette figli di desaparecidos. Per sei casi la giunta militare fu però assolta e non si pronunciò sul settimo, basandosi sull’affermazione che i comandanti delle forze armate davano ai loro sottomessi “un largo margine di discrezione”. Si affermò, inoltre, che la sottrazione di minori era stata solo occasionalmente dimostrata, citando soltanto i casi comprovati di Felipe Martín e di María Eugenia Caracoche de Gatica, gli unici minori che avevano recuperato la loro identità.

Nello stesso anno, su richiesta delle Abuelas di Plaza de Mayo, il presidente Alfonsín nominò due pubblici ministeri  che si dedicassero specialmente ai casi di sequestro e scomparsa di bambini. Più tardi, nel 1987, in seguito ai sollevamenti militari di estrema destra chiamati carapintadas (mimetizzati con le facce dipinte), il Congresso sanzionò le leggi del Punto Final e Obediencia Debida che impedirono di portare a giudizio gli altri responsabili delle violazioni dei diritti umani. Questo ciclo di impunità  portò nel 1989 e nel 1990 all’indulto concesso dal presidente Menem.

Il sequestro e l’occultamento di identità rientra però sotto la qualifica di “crimine reiterato”, in quanto persiste nel tempo, per cui i casi di bambini sequestrati e fatti sparire non rientravano nella legge del Punto Final né potevano rientrare sotto la dicitura di “obbedienza dovuta” da parte degli  ufficiali. Questo permise che si andasse avanti con le investigazioni e con i processi.

Un caso esemplare fu la condanna del sottocommissario Samuel Cobani Miara a 12 anni di prigione per l’appropriazione dei gemelli Gonzalo e Matias Reggiardo Tolosa, figli di Juan Reggiardo e Maria Rosa Tolosa, entrambi desaparecidos nel 1977.

Nel 1997, le Abuelas promossero una causa penale sostenendo che il furto di bambini faceva parte di un piano sistematico voluto dai più alti livelli dello Stato durante la dittatura. Divenne uno dei processi più importanti sulla violazione dei diritti Umani in Argentina e in esso si investigò sull’appropriazione di 194 bambini.

Nel 2003, la deputata nazionale per la città di Buenos Aires, Patricia Walsh, presentò una proposta per annullare le leggi di Punto Final e Obedencia Debida; proposta che divenne legge nell’agosto dello stesso anno. Nel 2004, una sentenza della giudice Cristina Garzón de Lascano dichiarò entrambi le leggi nulle, permettendo così di procedere contro gli accusati di crimini non ancora prescritti, includendo i crimini di lesa umanità.

Il 28 febbraio del 2011 venne riconosciuta l’esistenza di un piano criminale e nel 2012  gli esponenti della giunta militare vennero definitivamente condannati.

Nella sentenza del 2003, che sarà confermata nelle successive, figura che :

“I fatti che rientrano nel caso di crimine di sottrazione e di soppressione di identità del minore nato durante la prigionia di sua madre nella Escuela de Mecánica de la Armada (ESMA- Scuola Meccanica della Marina Militare) e la sua consegna posteriore a una famiglia legata alle Forze Armate, devono essere interpretati come verificati  nel quadro di un regime clandestino di detenzione utilizzato dalla dittatura, che costituì un piano di annichilimento sistematico dentro il quale, oltre a colpire fisicamente coloro che venivano etichettati come sovversivi, fu anche necessario amputare gli ideali che questi cittadini sostenevano, sradicando anche coloro che in futuro avrebbero potuto albergare gli stessi pensieri”

 

Anna Fresu

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