Mutilazioni genitali femminili: una “festa della donna?”

Otto marzo: giornata internazionale della donna, per celebrare le dure lotte di rivendicazione femminile e sensibilizzare l’opinione pubblica su discriminazioni, prevaricazioni e violenze di cui le donne sono ancora costantemente vittime. Ma il vero significato che l’otto marzo dovrebbe avere, purtroppo, sembra essersi perso nel tempo. Oggi si preferisce uscire con le amiche o andare a ballare. Pare essersi tutto ridotto a una consumistica “festa della mimosa”.
E troppo spesso si dimentica è che invece, in alcuni paesi, la donna è ancora vittima di rituali devianti, violenti e perversi: le mutilazioni genitali femminili. Per diverse culture, questo è un rito di passaggio importante che ogni donna deve affrontare nella vita e, perciò, paradossalmente un momento da “festeggiare”. Per evitare l’emarginazione dalla comunità, milioni di donne sono ancora costrette a sottoporsi a tale pratica che rappresenta per tutte un immenso trauma, oltre a una evidentissima violazione dei diritti delle donne e delle bambine.

mutilazioni genitali femminili 8 marzo

Grafica di Bernadette Ephraim

Mutilazioni genitali femminili: che pratica è?

Nel termine “mutilazioni genitali femminili (MGF) “ rientrano tutte le procedure che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altra lesione ai genitali femminili dovuta a ragioni non mediche (come la clitoridectomia, l’escissione, l’infibulazione).  [Definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – WHO]

Mutilazione genitale femminile è il nome dato a livello globale a queste pratiche. Non è però così che le chiamano nei paesi dove vengono effettuate, lì infatti viene rifiutata la connotazione negativa contenuta in questa espressione. Nello specifico, per MGF intendiamo la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione che è la più severa.

Consiste nell’asportazione del clitoride, delle piccole labbra e parte delle grandi labbra. Successivamente, la vulva viene cucita con spine o punti di sutura, lasciando un piccolo foro per espellere urina e sangue mestruale. Dopo l’operazione, le gambe della donna vengono legate per accelerare il processo di chiusura.

La tipologia di mutilazione varia a seconda del paese. La Somalia, per esempio, è stata definita dall’antropologo francese de Villeneuve “il paese delle donne cucite” per il fatto che il 98% delle somale si sono sottoposte ad infibulazione. Tentativi di riscatto comunque non mancano. L’ex primo ministro, per esempio, aveva chiesto una petizione per far cessare le mutilazioni genitali femminili.

Nella maggior parte dei casi, le MGF vengono svolte in condizioni di scarsa igiene e da personale non qualificato, con strumenti non idonei come pezzi di vetro o lamette. Qualsiasi oggetto tagliente va bene purché utile allo scopo. Infezioni ed emorragie sono nella norma come lo è, nel peggiore dei casi, la morte. In ogni caso, la salute delle donne è totalmente compromessa.

Molti genitori pensano che rivolgendosi a medici professionisti si possano evitare conseguenze sulla salute delle bambine. Questo accade principalmente in Sudan e in Egitto, come dimostrano le Ricerche demografiche e di salute (DHS). In realtà, proprio in Egitto, nel 2013, è stata emessa la prima condanna di un medico egiziano per aver praticato una mutilazione su una bambina di tredici anni, morta in seguito all’operazione. Secondo l’associazione Equality now, si tratterebbe di una “vittoria monumentale”.

Le MGF, nonostante al giorno d’oggi siano vietate nella maggior parte dei paesi, continuano ad essere praticate e questo, ribadito soprattutto in occasione della festa della donna, è inaccettabile.

MGF, dall’Africa all’Europa

La mutilazione genitale femminile, oggi, è attuata soprattutto in società dell’Africa, della penisola araba, del sud-est asiatico e in alcune zone dell’America Latina.

Inoltre, la ritroviamo anche nei paesi industrializzati, dove il fenomeno coinvolge gli immigrati provenienti dai paesi che accettano tale pratica. I genitori portano le bambine, durante le vacanze estive, nei paesi d’origine per far sì che venga praticata la mutilazione, ritenuta doverosa e necessaria. La Gran Bretagna è sicuramente un paese ad alto rischio. La Camera dei Comuni stima che vi siano 170 mila vittime di MGF. Questo dato è riscontrabile poiché, qui, risiede la più grande comunità somala d’Europa. Un altro allarme parte dalla Svezia, dove la mutilazione è vietata dal 1982. I servizi sanitari di Norrkoping hanno scoperto, durante dei colloqui periodici con le studentesse di una scuola, che 60 di loro erano state sottoposte a questa menomazione.

In genere, le vittime sono bambine tra i 4 e i 15 anni ma, in alcuni paesi come l’Eritrea, può accadere che vengano mutilate anche le neonate, prima del compimento del primo anno di età. Secondo l’ultimo rapporto dell’UNICEF pubblicato nel 2013, le donne che convivono con una mutilazione genitale sono più di 125 milioni nel mondo. Per quanto riguarda le giovani a rischio, è difficile stimarne il numero anche se secondo questo rapporto si ritiene che nei prossimi 10 anni, saranno 30 milioni le bambine che potrebbero subire questa pratica.

Quali sono le origini delle Mutilazioni genitali femminili?

Le origini delle mutilazioni femminili sono avvolte da un velo di mistero: a lungo sono state circondate dal silenzio e non esistono documenti che indichino quando la pratica abbia avuto inizio o in che modo si sia diffusa. Una cosa certa è che queste pratiche poco hanno a che vedere con la religione ed hanno origini pre-cristiane, musulmane ed ebraiche. Sebbene la maggior parte delle persone ritenga che la MGF abbia origini islamiche, nel Corano non troviamo menzione di questa pratica. L’unico riferimento è un hadith (fatti e detti attribuiti a Maometto). Il profeta, assistendo ad un escissione, avrebbe affermato “quando incidi non esagerare e il marito ne resterà estasiato”. Le mutilazioni genitali femminili, dunque, sono rituali difficili da abbandonare, poiché appartengono al retaggio culturale di intere popolazioni.

Mutilazioni genitali femminili: tra cultura e tortura

Esistono differenze tra una pratica e l’altra per quanto riguarda le motivazioni.

Principalmente, si ritiene che la MGF simboleggi un rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta: una donna si ritiene adatta al matrimonio, solo se mutilata. Una sorta di sigillo di castità.

Con l’infibulazione, lo scopo è di rendere la donna un oggetto sessuale, incapace di provare piacere e sottoposta ad un controllo totale sulla sua sessualità. Sarà poi lo sposo, a scucire la vulva, nel momento della consumazione del matrimonio. Secondo la ricercatrice canadese Janice Boddy, alle donne sudanesi si pratica l’infibulazione per un motivo estetico. Le donne senza clitoride sono considerate più belle e attraenti.

Dietro la MGF si celano anche, per alcune popolazioni, motivi igienici. Si crede che le secrezioni prodotte dalle ghiandole del clitoride, delle piccole labbre e grandi labbra produrrebbero un cattivo odore e renderebbero il corpo della donna non pulito. Esistono anche credenze in merito all’incremento della fertilità, conseguente alla pratica escissoria. È difficile individuare una sola motivazione dietro la MGF. Mancano dati reali che ci consentano di considerare tutte le variabili in gioco. Molto, in realtà, dipende dalla cultura e dalle tradizioni.

Best practice: come eliminare le MGF?

Il rapporto UNICEF ”Female Genital Mutilation/Cutting: A statistical overview and exploration of the dynamics of change”, è la raccolta di dati più ampia rispetto al tema. Questo lavoro evidenzia l’importanza del dialogo, ma soprattutto dell’istruzione. Più le madri sono consapevoli, meno possibilità avranno le figlie di essere costrette a sottoporsi ad una mutilazione. Inoltre le figlie, frequentando la scuola, hanno l’occasione di confrontarsi con persone che rifiutano tale pratica.

Secondo l’associazione AIDOS, il vero male oscuro è la disinformazione. Per questo, è stata lanciata la piattaforma web europea UEFGM (United to End Female Genital Mutilations), in otto lingue. La piattaforma consente la formazione di personale socio-sanitario al fine di poter affrontare con competenza queste situazioni che incrementano, in Occidente, coi flussi migratori.

Serena Fiorletta, responsabile comunicazione di AIDOS in un’intervista spiega: “Finora c’era una mancanza di informazioni anche per le persone che prendono in carico donne che hanno subito queste pratiche. Era un limite, che ora cercheremo di colmare con questo lavoro”.

Tra le varie azioni, inoltre, è necessario cercare di modificare il pensiero degli uomini, affinché possano considerare la donna come qualcosa di più di un semplice oggetto sessuale. Non solo, secondo varie ONG attive su questo fronte, bisogna influenzare anche il pensiero delle stesse donne. Molte di loro praticano le mutilazioni genitali alle bambine, perché i rituali rappresentano fonti di reddito. Sarebbe opportuno, quindi, fare in modo che si possano trovare altre vie che garantiscano il sostentamento di queste donne. Le legislazioni, da sole, non sono sufficienti, ma c’è bisogno della partecipazione di tutti per attuare il cambiamento sociale.

L’azione internazionale, l’informazione, il dialogo e l’istruzione sono fondamentali per arrivare ad un obiettivo comune:

  • tolleranza zero nei confronti di chiunque compia mutilazioni genitali;
  • aiuto e sostegno alle donne che ne sono vittime;
  • prevenzione ed abolizione totale delle MGF.

Waris Dirie in uno scatto pubblicato sull’Huffington Post

Waris Dirie, rappresenta un simbolo di forza e riscatto.  Di origini somale è stata lei stessa vittima di mutilazione genitale. Da giovanissima, fugge nel deserto e giunge a Londra dove riesce a far carriera come fotomodella. Sfruttando la sua fama, combatte per far conoscere queste realtà ai più e agisce in prima persona per far eliminare le MGF. Per la sua azione, Waris, riceve la nomina di “ambasciatrice per la lotta contro le mutilazioni genitali femminili”. Successivamente pubblica molte opere autobiografiche. Di grande impatto è il libro Lettera a mia madre. Qui, l’autrice racconta il rapporto difficile coi suoi familiari che hanno considerato lei come un disonore, e il suo impegno per l’abolizione delle mutilazioni genitali come una forma di tradimento alla sua cultura e alle sue tradizioni.

#LottoMarzo è, quindi, un dovere per tutti noi.

In questo giorno si onorano le donne e le loro storie, ma ci si ricorda anche di tutte le realtà più crude e violente di cui spesso non si parla. Quelle in cui le donne devono accettare la sottomissione ad una tortura insensata e ingiusta com’è quella delle MGF, considerata, in quei paesi, un momento di festa. Si può comunque rimanere fedeli alla propria cultura, anche eliminando questa pratica che non rispetta le donne e le loro libertà. Finché ci saranno donne vittime di mutilazioni genitali femminili, dovremo continuare a festeggiare questo giorno, così carico di significato, affinché queste pratiche, così barbare, non esistano più.

 

Serena Bolzonella

Serena Bolzonella

Mi chiamo Serena Bolzonella, sono nata il 02-06-1993 a Camposampiero. Ho frequentato il Liceo Scientifico ed ora, studio all'Università di Padova. Mi interesso prevalentemente di cinema, attualità e problemi sociali. Per me, il termine "diritti umani" indica un macro- contenitore, dove poter inserire tutti quei diritti riconosciuti e garantiti ad ogni essere umano. Non solo. A questi bisogna aggiungere quei diritti che sono sottovalutati e quelli che, invece, sono oggetto di violazione. Per me "i diritti umani" sono un monito che ci ricorda che dobbiamo continuare ad agire affinché questi diritti diventino, effettivamente, di tutti. 

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