Intelligenza artificiale, deficienza culturale

La macchina non “sa”, ma viaggia velocissima tra i dati messi a sua disposizione supportandoci

Davide Giacalone

Il problema non è quello dell’intelligenza artificiale, ma della scarsezza naturale in capo a chi la descrive come un pericolo. Il mito negativo è antico, il suo paradigma sempre uguale: la macchina, sia essa un computer o un assemblaggio di cadaveri, dopo essere stata creata prende coscienza di sé e si rivolge contro il proprio creatore. Una specie di darwinismo degli oggetti.

Frankenstein era un po’ rozzo come minaccia, anche se, all’epoca, fece paura, mentre anche il più banale computer che oggi abbiamo per le mani, telefoni compresi, non solo sembra sapere più cose di noi, ma tende ad imparare da solo, quasi prevenendo i nostri pensieri. Ma è un “trucco”, solo un po’ più raffinato del Turco che batteva tutti a scacchi (era una macchina, ma dentro c’era un nano scacchista): la macchina non “sa”, ma viaggia velocissima fra i dati messi a sua disposizione. La sua capacità di calcolo è superiore alla nostra (altrimenti non le costruiremmo), ma le sue sinapsi lasciano a desiderare. Non “impara”, ma elenca statisticamente: se prendi due volte di seguito l’aereo per una determinata destinazione, ti chiede spesso se vuoi tornarci. Io imparo più lentamente di una macchina. Ma imparo anche quel che non vogliono farmi imparare, imparo quel che non esiste, imparo calcolando come nessuno ha fatto prima. La macchina saprà farlo solo se qualcuno l’ha programmata a quello scopo. Faust siamo noi, quindi non esiste. Questo non significa che non esistano altri problemi.

Le macchine, ad esempio, sostituiscono il lavoro umano. Ed è un bene. O volete tornare a zappare, rimembrando, con struggente malinconia, le terga delle lavandaie, piegate alla fonte? Volete nettare, giulivi e in coppia, stoviglie e pentole, o volete imbottigliare conserve in cantina, facendo sparire quel mercato e rischiando la salmonellosi? Se penso alle macchine che sostituiscono gli umani, ho un’immagine negativa. Ma, se penso la stessa cosa ragionando sull’affrancamento degli umani dalla fatica e dalla perdita di tempo, ne ho una positiva.

Da quando usiamo le macchine, è cresciuta la nostra ricchezza e il nostro benessere. Tutto bene, quindi? Non proprio. Non senza adeguarsi. Le macchine, ad esempio, non versano nulla all’Inps (ragione non ultima della loro convenienza). Se, per ipotesi estrema, fossero capaci di svolgere tutti i lavori, liberandoci da qualsiasi incombenza, chi pagherebbe le pensioni? Di che camperebbero i disoccupati?

Questo è il punto: il nostro sistema di welfare, specie nel lavoro, è stato concepito per società contadine, nelle quali i più giovani lavoravano per gli anziani, non più capaci. Il punto è che (grazie alla ricchezza e al benessere) gli anziani aumentano, mentre i giovani (per la diversa vita dei mancati genitori) diminuiscono. Quel sistema salta comunque. Calepino e matita alla mano, si scopre che i giovani lavoratori di oggi non avranno mai la pensione che pagano agli altri. Non è questione di macchine, ma di modello: affrancati dalla fatica, ha un senso finanziare chi non ha più alcunché da offrire, mentre competenza ed esperienza hanno ancora mercato. Non è l’età, il discrimine. E i disoccupati? Producendo di più lavorando di meno, molti diventano più ricchi. Ciò crea mercato per la cucina, i viaggi, la cultura, le palestre.

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In un mondo digitale, c’è fame di giuristi capaci di ragionare con un orizzonte non nazionale. Cambia la medicina, aprendo un immenso mercato di assistenza domiciliare. Cambiano molte cose. E cambiano in meglio. Tutto sta a saper seguire, aggiornare, adeguare. Se la tua vettura elettrica, con batterie di ultima generazione, guidata dal satellite, si guasta, perché queste cavolo di macchine si guastano, non servirà a molto fermarsi dal maniscalco. Ma anche con il mio catorcio di oggi non so che farmene, del maniscalco. Né penso che, per salvare il maniscalco, si debba andare in Cina a cavallo. Troppo ci costerebbe salvare quel posto di lavoro. Senza contare la pollution equina: in un mondo affollato, rischia d’essere mefitica.

Davide Giacalone, editorialista di RTL 102.5 e Libero

 

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