Quando USA e URSS sfruttavano le Olimpiadi per fare politica

Tanti i boicottaggi e le rinunce per la Guerra fredda, il conflitto fra Israele e il mondo arabo, e l’apartheid

Lorenzo De Grassi

Nel corso degli anni, nessun altro evento è stato oggetto di ripetuti utilizzi con secondi fini di carattere politico come le Olimpiadi. È indubbio, infatti, come, con il passare del tempo, i Giochi abbiano finito con l’attirare l’interesse di Nazioni e movimenti politici servitisi, in più occasioni, degli stessi come cinghia di trasmissione dei loro problemi e delle loro aspirazioni.

Giochi e guerre: dal Novecento a Melbourne 1956

Se i Giochi del 1916, che si sarebbero dovuti svolgere a Berlino non si effettuarono a causa della guerra, furono le Olimpiadi del 1920 ad Anversa le prime nelle quali la politica si intersecò con lo sport: per la prima volta, il CIO decise di non invitare Austria, Ungheria, Bulgaria, Turchia e Germania, le Nazioni che rappresentavano l’Intesa sconfitta nella Prima Guerra Mondiale. Formalmente, tale decisione, da un punto di vista politico e di prassi diplomatica, poteva anche apparire corretta, ma è certo che, nella realtà, rappresentò il primo caso di boicottaggio olimpico. Medesima scelta fu operata in occasione delle prime Olimpiadi del secondo dopoguerra, assegnate a Londra in quanto città che avrebbe dovuto ospitarle nel 1944. Anche in questa circostanza fu applicato, nei confronti degli ex nemici, lo stesso criterio usato dopo il primo conflitto: stavolta, i non invitati furono la Germania e il Giappone. Miglior trattamento fu riservato, invece, all’Italia, che poté parteciparvi.

olimpiadi anversa 1920

Helsinki ebbe nel 1952 i Giochi che le sarebbero spettati nel 1940. In Finlandia fece la sua prima comparsa ai Giochi l’URSS, che subito colse successi importanti in vari sport. Si rividero anche gli atleti tedeschi e giapponesi, sia pure limitatamente alla Repubblica Federale perché la DDR non era ancora riconosciuta dagli organi internazionali preposti.

Nel 1956 si ebbe un’altra novità importante: per la prima volta i Giochi estivi si tennero in una città dell’emisfero Sud, a Melbourne, Australia. Queste Olimpiadi si disputarono tra novembre e dicembre, a distanza di quasi due mesi dall’invasione del Sinai egiziano da parte di Israele e da quella dell’Ungheria da parte sovietica. In segno di protesta, diverse Nazioni scelsero di astenersi dai Giochi: Egitto, Libano e Iraq contro l’invasione della penisola africana; Olanda, Spagna e Svizzera per solidarietà nei confronti di Budapest. A causa di questa situazione, inoltre, non pochi atleti di rango, come il fondista ungherese Sándor Iharos, decisero di rinunciare a parteciparvi. I contrasti venutisi a creare ebbero riflessi negativi anche nell’ambiente stesso dei Giochi. Nel turno finale della pallanuoto tra Ungheria e URSS vi furono scontri tra i giocatori delle due squadre, alcuni dei quali necessitarono poi di assistenza medica. L’Ungheria vinse per 4-0 e alcuni dei suoi atleti non tornarono in Patria. Lo stesso accadde ad uno dei più quotati esponenti magiari dell’atletica, Laszlo Tabori. Ci fu anche un altro boicottaggio: la Repubblica popolare cinese si astenne in segno di protesta per la presenza della Cina nazionalista (Taiwan).

Olimpiadi e politica: cresce la tensione

Nel decennio 1960-1970 iniziò ad acuirsi il livello di intromissione della politica nella realtà dei Giochi Olimpici. Questa intrusione cominciò a manifestarsi con quelli del 1964, svoltisi a Tokyo, prima città asiatica ad ospitare la manifestazione: Corea del Nord e Indonesia restarono a casa. Alle defezioni di questi due Stati si dovette aggiungere anche quella del Sudafrica, causata dalla politica di apartheid praticata dal suo Governo, contro la quale si erano sollevate molte Nazioni africane, nonché quelle del blocco comunista. L’esilio si sarebbe rivelato il più lungo mai registrato nella famiglia olimpica: solo nel 1992, dopo l’abrogazione del regime segregazionista, il Sudafrica tornò ai Giochi.

Quelli estivi del 1968 si tennero a Città del Messico e anche in questa edizione non mancarono le proteste ispirate dalla politica. Le Olimpiadi erano ormai visibili in tutto il globo ed erano diventate una finestra idonea ad evidenziare, a livello universale, i problemi che prostravano la società di quegli anni. In occasione della kermesse del Centro America si ebbero manifestazioni di studenti che criticavano le ingenti spese cui era andato incontro il Governo per organizzare l’Olimpiade, in palese contrasto con i gravi problemi economici che affliggevano il Paese. Il risultato degli scontri con la polizia fu terribile: i comunicati ufficiali parlarono di oltre 400 morti e alcune migliaia di feriti.

Olimpiadi e politica berlino

La politica si scontrò con le Olimpiadi in misura ancora maggiore nel 1972, nel modo più clamoroso e cruento. I problemi sorsero a pochi giorni dalla conclusione, quando otto terroristi arabi, appartenenti al gruppo di “Settembre Nero”, entrarono nel villaggio olimpico e uccisero due membri della squadra olimpica di Israele prendendone in ostaggio altri nove. Si rifugiarono, poi, in un edificio vicino, dal quale annunciarono che avrebbero rilasciato i prigionieri solo dopo la liberazione, da parte del governo di Tel Aviv, di alcuni Arabi reclusi nelle prigioni israeliane. La risposta fu negativa ed il dramma si prolungò per alcune ore. Raggiunto l’aeroporto di Fürstenfeldbruck, i terroristi furono assaliti dalla polizia e fecero esplodere una bomba all’interno dello scalo, uccidendo tutti gli ostaggi. Israele deplorò così undici vittime all’interno di quella manifestazione che il Barone De Coubertin aveva inteso come incontro di popoli e di civiltà, prima ancora che di competizione fra Nazioni. Alcuni terroristi furono uccisi, altri catturati, anche successivamente, come descritto nel film di Hollywood “Munich”, molto esplicativo della tragedia che ebbe a registrarsi in quella maledetta Olimpiade.

Purtroppo, le interferenze politiche erano destinate a crescere ed a farsi sempre più serie. Alla vigilia dei Giochi di Montreal del 1976, le Nazioni africane decisero di boicottare la manifestazione in segno di protesta per la presenza della Nuova Zelanda, la cui squadra nazionale di rugby aveva intessuto relazioni sportive con il Sudafrica dell’apartheid, a suo tempo escluso dalla famiglia olimpica. La richiesta di escludere dai Giochi i Neozelandesi non fu accolta dal CIO, oggettivamente impossibilitato a pronunciarsi in quanto il rugby professionistico esulava dalla sua giurisdizione. Il Governo canadese, inoltre, impedì alla formazione di Taiwan di sventolare la propria bandiera all’inaugurazione dei Giochi e di sentire il proprio inno nazionale, inducendo, così, il team asiatico a ritirarsi.

La Guerra Fredda in pista

olimpiadi politica mosca 1980

Il valzer dei boicottaggi colpì successivamente, e in modo più considerevole, i Giochi di Mosca del 1980. Nel dicembre dell’anno precedente l’URSS aveva invaso l’Afghanistan. Il Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, minacciò il ritiro della sua squadra dai Giochi russi se i Sovietici non avessero lasciato il Paese asiatico. Al rifiuto dell’URSS, Carter proseguì nel suo disegno, cercando di coinvolgere nel boicottaggio i suoi alleati della NATO. Fu assecondato dal Comitato olimpico americano, che votò a maggioranza per l’astensione dai Giochi, ma, tra gli alleati, le adesioni furono alterne. Germania Federale, Kenya, Giappone, Ca- nada, Taiwan, Nuova Zelanda e Norvegia concordarono nell’astenersi, ma i Comitati Olimpici di Gran Bretagna e Italia decisero, invece, di parteciparvi.

Il clima di guerra fredda tra i due blocchi, le Nazioni della NATO e del Patto di Varsavia, continuava a persistere e i Giochi del 1984, assegnati a Los Angeles, offrirono alla seconda fazione una possibilità di rivalsa. Tre mesi prima dell’apertura dei Giochi, l’URSS annunciò la sua volontà di astenersi, ufficialmente per motivi di sicurezza, nel presunto timore che i suoi atleti non venissero accolti favorevolmente in terra americana. A questa decisione si uniformarono gli altri Paesi comunisti, tranne la Romania, che decise di essere presente. Risultarono, quindi, assenti Germania Est, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, nonché Paesi extraeuropei come Cuba, Etiopia, Corea del Nord e Afghanistan (dal quale le truppe sovietiche si ritirarono solo nel 1989).

Anche i Giochi del 1988 accusarono problemi extra-sportivi, ma in misura attenuata rispetto alle edizioni prece- denti. Erano stati assegnati a Seul, capitale della Corea del Sud, Paese con cui alcune Nazioni del blocco comunista non intrattenevano relazioni diplomatiche. In modo prevedibile, la prima complicazione venne dalla Corea del Nord, guidata da un regime comunista, che chiese al CIO di poter ospitare sul suo territorio metà delle gare olimpiche. Tale richiesta fu presentata a pochi mesi dai Giochi, per cui il CIO ritenne di poterla esaudire solo in parte. Il governo di Pyongyang annunciò, pertanto, la sua intenzione di boicottare l’avvenimento. Per solidarietà con la Corea del Nord si astennero dai Giochi anche Cuba, Etiopia, Nicaragua e Albania, defezioni dolorose, ma assai meno importanti di quelle registrate nel 1980 e nel 1984. Ci fu il ritorno dell’URSS e dei suoi alleati europei. Le tre maggiori potenze dello sport mondiale, USA, URSS e Germania Est, si trovarono, quindi, riunite per la prima volta dal 1976.

Finalmente, i giorni più bui e delicati del difficile binomio politica/sport olimpico finirono per avere le ore contate. La caduta del Muro di Berlino esercitò un ruolo decisivo. I primi Giochi a beneficiarne furono quelli di Barcellona del 1992, a partire dai quali si cominciò a respirare un clima più tranquillo da un punto di vista politico. Con il trascor- rere del tempo e l’ingresso nel nuovo Millennio, un altro fattore iniziò a sconvolgere la manifestazione olimpica: il doping. Ne rappresentano un esempio gli atleti russi all’ultima olimpiade. Ma questa è un altra storia.

Lorenzo De Grassi, giornalista, collaboratore di SocialNews e City Sport

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