Storie dal campo profughi, racconta Diego Zandel

Diego-Zandel-678x381“La mia culla: una cesta di aranci rivestita da una copertina”, questa è la foto scelta dallo scrittore Diego Zandel per rappresentare i giorni trascorsi nel campo profughi.

Intervista a Diego Zandel, che ci ha raccontato anche del suo ultimo libro “Manuale sentimentale dell’isola di Kos”.

Lei è nato in un campo profughi. Ce ne parli…

Sì, sono nato nel campo profughi di Servigliano, nelle Marche. Era un ex campo di concentramento, costruito durante la prima guerra mondiale. Poi, durante il fascismo, ci finirono dentro gli oppositori del regime, quindi, durante la seconda guerra mondiale i prigionieri angloamericani. Alla fine toccò a noi, profughi dell’Istria e di Fiume, terre che l’Italia aveva dovuto cedere alla Jugoslavia per aver perso la guerra. Molti italiani, autoctoni di quelle terre, non accettando di vivere sotto la Jugoslavia se ne andarono, spinti anche dalle pressioni degli jugoslavi perché lasciassimo quelle terre. E lo fecero usando ogni metodo, compreso il terrore. Mia madre fuggi che era già incinta di me. Furono prima mandati al campo profughi di Udine, poi a quello di Servigliano, dove nacqui. Si viveva promiscuamente, nella miseria più nera. Non era facile per gente fino allora abituata a vivere in case comode, monofamigliari, con tutti gli agi, l’orto, il mare a due passi, Mia madre si ammalò di tubercolosi e fu costretta al ricovero in un sanatorio sull’Appennino tosco-emiliano, lasciandomi nelle mani di mia nonna paterna. Potè rivedermi quando avevo ormai tre anni. Quando tornò io neppure la conoscevo. Non è stato un periodo facile. Anche perché nel frattempo ci eravamo trasferiti al Villaggio giuliano-Dalmata di Roma, un altro campo profughi ricavato dai dormitori degli operai che costruivano i palazzi dell’Esposizione Universale Romana del 1942, che non si è mai svolta per via dello scoppio della guerra. Tutta questa storia è raccontata nel mio libro “I testimoni muti” edito da Mursia.

Ci può raccontare un episodio della sua infanzia?

Certo. Al villaggio vivevamo in questo dormitori, che erano dei lunghi padiglioni uniti l’uno all’altro da pensiiline. In ogni padiglione vivevamo in 11 famiglie, in piccoli appartamenti di una o due stanze, cucina e water. Il lavandino della cucina serviva per tutto, per cucinare e per lavarsi così come per lavare la roba. Io dormivo con mia nonna in una piccola stanza, in u i miei genitori in un’altra. Questo per dieci anni. Nel 1958 furono terminate alcune palazzine per noi profughi, a noi fu assegnato un appartamento di tre stanze, con bagno e cucina. 62 metri quadri. Un piccolo appartamento. Ebbene, a me sembrò di entrare in una reggia. Avevo addirittura una stanza tutta per me, essendo figlio unico. Ricordo la gioia, i salti che facevo per quella casa che mi sembrava enorme..

Quanto le Sue origini hanno inciso su ciò che scrive?

Tantissimo. Quasi tutti i miei libri hanno un aggancio con questa storia, che è poi la storia di un popolo cacciato dalle proprie case e costretto a vivere esule in patria. Anche i miei romanzi di avventura nascono da questa esperienza di sradicato. Di uomo di frontiera. Perché tale mi considero. La frontiera ce la portiamo dentro noi profughi di terre nati sul crocevia di popoli, lingue, culture, religioni. Anche i campi profughi. Il suo muro, era una frontiera: noi di qua e loro di la. Perché noi che vivevamo nei campi profughi – e furono all’epoca allestiti 107 campi profughi – ci sentivamo diversi da quelli che erano fuori, così come quelli che vivevano fuori sentivano noi diversi. Non solo per il muro che ci divideva, ma anche perché noi parlavamo il dialetto istroveneto, mentre fuori si parlava il romanesco o il napoletano o il siciliano o il torinese, o il marchigiano, come nel mio caso, a seconda di dove il campo era stato allestito. E avevamo culture e tradizioni diverse. Tra l’altro ci guardavano male, come se fossimo stranieri, mentre eravamo italiani che avevano pagato per una guerra persa da tutta l’Italia. I comunisti ci consideravano addirittura fascisti perché fuggivamo da un paese comunista. E sapevano o facevano finta di non sapere che molti profughi erano stati partigiani, ma come in altre parti d’Italia per cacciare i nazifascisti dalle nostre terre, non per darle al maresciallo Tito. Ma i comunisti italiani stavano con Tito, contro i propri concittadini, vittime delle sue persecuzioni.

Di cosa parla l’ultimo Suo libro?

Il mio ultimo libro, appena uscito, s’intitola “Manuale sentimentale dell’isola di Kos”, ed è edito dalla tn_MANUALE-SENTIMENTALEOltre Edizioni. Raccoglie la mia lunga esperienza vissuta in questa isola greca del mare Egeo di cui era originaria mia moglie, scomparsa 4 anni fa. Un’isola piena di storia per essere stata solo negli ultimi 100 anni prima turca, poi italiana, dal 1912 al 1947, poi greca. Un’isola da me vissuta intensamente in mezzo alla famiglia di pastori e contadini da cui discendeva mia moglie. Racconta tutto: tradizioni popolari, usi, costumi, piatti tipici, luoghi, spiagge, le isole vicine, villaggi, ristoranti, personaggi, segreti che nessuna guida mai potrà dare. Una lettura molto utile per i tanti turisti italiani che ci vanno ogni anno, circa 16000, e interessante per quelli che ci sono stati per tornarci con il ricordo e la nostalgia che il mio libro suscita.

 

Elisangela Annunziato

Elisangela Annunziato nasce a Salvador de Bahia in Brasile, ma da piccola viene adottata da una famiglia italiana. Ha effettuato diversi corsi tra cui un corso di formazione in “Organizzazione Eventi Culturali” a Firenze. Dopo la laurea conseguita presso l’università Federico II di Napoli, a ventidue anni, lascia tutto e va per motivi di lavoro negli Emirati Arabi Uniti. Tornata in Italia collabora con diverse associazioni nell’organizzazione di eventi culturali, editoriali e musicali. Da sempre impegnata nel sociale – è stata anche volontaria in Africa- idea e crea “Ti preparo un caffé”, blog che vuole raccontare l’incontro con “il diverso” (da te). E’ la sua scommessa. Oggi é una giornalista pubblicista, autrice del libro Il sogno di Francesca che tratta il tema dell’adozione. 

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