Riflessioni in prospettiva pedagogica interculturale

“Comprendere e dialogare sulla paura del terrorismo e sulle trappole del pregiudizio” è il titolo del convegno svoltosi presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Università di Bologna e nato dalla necessità di confrontarsi sul tema da una prospettiva differente

Stefania LorenziniAnna Pileri

Logo Alma-MaterNoi, gli umani viventi oggi, esprimendo forme diverse di civiltà e di barbarie, siamo coloro che abitano la contemporaneità, il pianeta. Ed è così sin dal principio. Dell’interdipendenza globale che ci lega, la consapevolezza è ancora insufficiente, pur se si è accresciuta ed evoluta nel tempo, pur se la parola globalizzazione non manca ormai da anni di essere ripetuta, evocata, digitata, spesa, abusata. La dimensione economica di questa mondializzazione, probabilmente, non sfugge ai più, ma non si può dire altrettanto degli aspetti legati alla comune appartenenza all’umanità e all’inevitabile reciproca influenza, in direzione distruttiva o solidale che sia.

Come ci ricorda Edgar Morin, le crisi umanitarie che segnano il XXI secolo ci dovrebbero rendere evidente che tutti gli umani sono messi a confronto con gli stessi problemi di vita e di morte e che sono accomunati dallo stesso destino. Questo chiama in campo le più diversificate urgenze, dalla tutela dell’ambiente e delle sue risorse non infinite, necessaria a frenare l’autodistruzione della vita sulla Terra, sino alla ricerca di soluzioni ai disequilibri economici e sociali che rendono, nell’ingiustizia, profondamente diseguali le opportunità di vita di popoli e individui che hanno avuto la ventura di nascere in luoghi diversi del mondo. E tutto per la sopravvivenza del noi, inteso nella sua più ampia accezione, oltre il familiare, il locale, sino al globale.

Anche le emozioni sembra mostrino un volto sempre più comune. Se pensiamo alla paura, come dice Marc Augè, il mondo contemporaneo ci mette di fronte a un vero e proprio groviglio della paura. Quotidianamente, coacervi di notizie che preannunciano terribili rischi e riferiscono reali tragedie si susseguono e si sovrappongono, ci colpiscono, pur se solo talvolta, bucando la cortina di indifferenza che ci protegge dalla consapevolezza della gravità del problema. L’atmosfera che ci circonda può divenire realmente preoccupante nel momento in cui in queste notizie siamo immersi. Per la moltitudine e per la pervasività dei canali attraverso i quali sono diffuse dal mondo notizie di ogni tipo, riguardanti qualsiasi luogo, in qualunque momento, dalle potenzialità di uno smartphone sempre più piccolo, sempre più accessibile e sempre più onnipresente nella vita di molti. Così si costruiscono inquietudini e paure per la sicurezza personale, familiare e per il proprio Paese. L’aspettativa che qualcosa di terribile possa accadere.

La paura che ci accomuna, però, soprattutto ci separa, accresce le spaccature nel mondo, le barriere cognitive e relazionali che ci rendono diffidenti e i muri tangibili che impediscono movimenti e decisioni. Gli attacchi terroristici non hanno costituito soltanto colpi durissimi al modello democratico della vita sociale e ai suoi principi costitutivi, ma quegli stessi eventi disastrosi hanno prodotto risposte di tipo antidemocratico proprio da parte delle istituzioni democratiche, anzitutto attraverso limitazioni imposte alla libertà degli individui. Si produce solidarietà verso chi percepiamo vicino e chiusura verso chi, anche e soprattutto a priori, percepiamo lontano, estraneo, straniero, nemico. Uno stereotipo più che un individuo. La distinzione che separa coloro i quali sentiamo appartenere al “noi” e coloro i quali istituiamo come ascrivibili alla dimensione del “loro”, gli altri, estranei e stranieri, si palesa così con grande evidenza e frantuma la consapevolezza e il riconoscimento di una comune appartenenza all’umano. Non siamo, in questo momento, esattamente inondati di notizie sugli ancora recenti, drammatici avvenimenti che, nel corso del 2015, ma già prima, e a tutt’oggi, hanno colpito Parigi e altri luoghi dell’Europa e stanno colpendo ancora diversi luoghi del mondo, in una dimensione quanto mai globale. Non come lo eravamo nella fase in cui abbiamo sentito l’urgenza di creare un’occasione per dialogare e riflettere sulla paura del terrorismo e sulle trappole del pregiudizio, svoltasi il 1° marzo 2016 presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Quando il tempo allontana gli eventi sentiti come i più vicini e sconvolgenti, la paura si stempera, il sollievo ritorna. Il tempo è un gran dottore, si dice, ma, almeno per alcuni, e almeno sotto-traccia, la paura resta.
Non si perde, non si arresta. Ciò che qui ci preme dire è che vi è certamente ancora bisogno di continuare a sentire la responsabilità di cercare di comprendere cos’è successo, cosa sta succedendo, cosa sta cambiando, come affrontare la paura del terrorismo e come evitare le trappole del pregiudizio che tendono a fare di coloro che hanno agito le atroci violenze i rappresentanti dei rispettivi ampi gruppi umani di appartenenza. Non solo perché i fatti tremendi già visti potrebbero ripetersi, e anzi continuano ad essere perpetrati in luoghi lontani allo sguardo e al sentire occidentale, ma, soprattutto, perché vanno collocati in un’interrelata dimensione fatta di concause, tra locale e globale, politico e individuale, culturale.

Continua a restare cruciale il bisogno di conoscere, capire, dibattere su un piano interdisciplinare e interculturale. Dobbiamo perseverare nel chiederci come la riflessione pedagogica e le prassi educative possano contribuire, nei contesti educativi particolari e concreti, ad affrontare questioni dal volto planetario e che, al tempo stesso, e proprio per questo, riguardano ciascuno.

Risulta evidente che, a seguito degli atroci fatti cui abbiamo accennato, si è diffuso il timore di viaggiare, di frequentare eventi pubblici che richiamano e concentrano nello stesso luogo moltitudini di persone, si è deteriorato lo sguardo sugli altri e sul mondo, si sono sviluppate paure nei bambini e nei ragazzi che richiedono, necessariamente, l’ideazione e la realizzazione di protocolli e la formazione di competenze specifiche sul piano psico-pedagogico su temi rispetto ai quali, in Italia, siamo poco preparati. Occorrono, inoltre, ricerche mirate a comprendere come siano cambiate le nostre rappresentazioni a seguito di tali eventi (così com’è stato fatto soprattutto nel contesto statunitense dopo gli attacchi al World Trade Center, l’11 settembre 2001, a New York) e di come esse influiscano nell’incontro e nell’“accoglienza” dei migranti in Italia. Numerosi episodi, riportati dai media, segnalano una preoccupazione sul piano sociale espressa in numerose forme di pregiudizio e razzismo nei confronti di persone musulmane, o presunte tali, e nella maggior allerta e controllo anche nei confronti di chi sembra avere “tratti somatici arabi”. In proposito, si può ricordare il recente episodio di cui è stato vittima il ricercatore e insegnante italiano scambiato per terrorista e fatto scendere dall’aereo in partenza per Philadelphia a causa della seguente equazione: capelli scuri e ricci, accento straniero e appunti incomprensibili scritti su un foglietto = possibile terrorista(1). Questo è solo un esempio in cui la paura scatenata dai recenti fatti di terrorismo di matrice fondamentalista islamica fa cadere nella trappola di stereotipi e pregiudizi, in paure che modificano le nostre percezioni e rappresentazioni e, di conseguenza, inficiano le nostre relazioni, non solo con chi arriva da altrove. Episodi di questo tipo possono accadere sull’autobus, a scuola, nei contesti di vita quotidiana, mettendo a rischio la civile, pacifica, democratica convivenza sociale. Occorre, allora, una rilettura dei contesti e un re-investimento pedagogico ed educativo interculturale, interdisciplinare, finalizzati ad affrontare tali cambiamenti, tali problematiche. Di qui – quale primo passo necessario, non sufficiente e non ultimo – il nostro impegno nella realizzazione del Convegno Internazionale “Comprendere e dialogare sulla paura del terrorismo e sulle trappole del pregiudizio”(2): riteniamo fondamentale perseverare, individuare azioni educative e ricerche mirate alla de-costruzione di stereotipi e pregiudizi, a partire dalla comprensione dei fenomeni(3).

(1)https://www.lastampa.it/2016/05/07/esteri/ricercatore-italiano-scambiato-per-terrorista-e-fatto-scendere-dallaereo-a-causa-di-unequazione-GYE8PdyeCecm62hMdPMpGO/pagina.html

(2) Le relazioni tenutesi durante il convegno, di Antonio Genovese, Martine Pretceille, Anna Pileri, Maurizio Ambrosini, Alberto Angelici, Farian Sabahi, Cecilia Strada, Ilaria Possenti, Stefania Lorenzini, sono visibili in https://www.youtube.com/playlist?list=PLU15PaEPS5dVddgaZB0 dE_AK05s7aK_z6

(3) Contributi dei relatori partecipanti al convegno sono pubblicati nella Rivista on-line Educazione Interculturale. Conflitti, Dialoghi e Progetti nella Globalizzazione. http://rivistedigitali.erickson.it/educazione-interculturale/

Stefania Lorenzini, ricercatrice in Pedagogia Generale e Sociale, insegna Pedagogia Interculturale presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione, Dipartimento di Scienze dell’Educazione – Università di Bologna
Anna Pileri
, ricercatrice assegnista presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione G. Maria Bertin, Università di Bologna; Dottore di ricerca in Pedagogia (Università di Bologna) e Dottore di ricerca in Psicologia (Université de Paris Ouest – Nanterre – La Défense, Lab. Psychomuse 

Rispondi