L’Analisi del Comportamento Applicata e l’Autismo

L’Analisi del Comportamento, sulla base di evidenze differenti da quelle neurobiologiche, aveva già individuato il “motore immobile” della sindrome autistica nella ridotta “suscettibilità ai rinforzatori sociali”, dando una connotazione più direttamente sociale al deficit di gratificazione che la neurobiologia indica come probabile colpevole della malattia.

Francesco Di Salle, Domenico Bove

di salle Francescodomenico boveL’
autismo è una sindrome comportamentale con espressione clinica variabile e si correla a fondamenti genetici molto variegati. Sono state individuate molte variazioni del corredo genetico associate all’insorgenza della malattia e si cominciano a comprendere alcuni dei meccanismi molecolari che traducono i difetti genetici in malattia clinica.
Tra le anomalie recentemente individuate, alcune riguardano la neurotrasmissione glutamatergica o gabaergica (Glutamato e GABA sono tra i più importanti neurotrasmettitori), altre l’adesione sinaptica ed altre ancora la struttura del citoscheletro neuronale.
È probabile che in un futuro non lontanissimo ci possano essere terapie farmacologiche dell’autismo che correggano in maniera “personalizzata” le anomalie molecolari alla base della sindrome.
Al momento attuale, tuttavia, un’adeguata terapia “abilitativa” rappresenta il migliore aiuto possibile ad un bimbo autistico per indirizzare il suo sviluppo mentale verso modalità naturali di apprendimento.
Le manifestazioni cliniche della malattia sono variabili.
I bimbi autistici sono molto differenti tra di loro per le abilità possedute e per i comportamenti disadattivi che li accompagnano. Esistono, comunque, caratteristiche comuni. L’esordio della malattia avviene nei primi tre anni di vita ed interessa, spesso progressivamente, molte aree funzionali, in principal modo quelle della comunicazione e dell’interazione sociale, con un’importante restrizione del repertorio di interessi.

Alla base neurobiologica della sindrome ci sono varie alterazioni funzionali di sistemi cerebrali complessi, di network dedicati a funzioni comunicative.
Rispetto a coetanei a sviluppo tipico, le aree di Broca e di Wernicke possono essere “assottigliate”, ridotte di spessore. Allo stesso modo, presentano riduzione di spessore regioni dense di “neuroni a specchio”, addette a promuovere e sostenere le funzioni imitative, l’apprendimento per imitazione, l’interpretazione delle emozioni degli altri tramite le espressioni del viso e, da queste, la formazione di una “teoria della mente” che aiuti a comprendere cosa pensi un’altra persona. Ugualmente ridotta di spessore è una parte antica del cervello, il lobo dell’insula, nella quale le emozioni e le sensazioni corporee vengono integrate tra di loro e rese evidenti alla coscienza.
Tutte queste alterazioni sono quantitative.
Le aree coinvolte esistono  e funzionano, ma il loro funzionamento è meno efficace, la loro attività meno frequentemente evocata rispetto ad un individuo a sviluppo tipico.
Con interventi opportuni, ognuna di queste regioni cerebrali può essere messa in grado di funzionare meglio, fino anche a livelli simili a quelli dello sviluppo tipico.
Ad esempio, è spesso evidente la correzione del deficit imitativo nei bimbi con autismo durante terapia abilitativa opportuna, che rende i bimbi nuovamente in grado di utilizzare meccanismi di apprendimento imitativo e di ripristinare il governo dell’empatia e la produzione della “teoria della mente”.

La reversibilità di questi elementi della sindrome fa supporre che le alterazioni neurali sottese non costituiscano realmente un momento causale della sindrome, ma che un’altra alterazione possa assumere un ruolo causale primario.
Un recente lavoro (Riva D, et al., Am J Neuroradiol., 2011) evidenzia un chiaro assottigliamento dello “striato ventrale”, una regione cerebrale ricca di nuclei dopaminergici e colinergici che svolge prevalentemente la gestione della gratificazione e della motivazione, con il coinvolgimento di un nucleo di maggiori dimensioni, il nucleus accumbens, ritenuto centrale nei circuiti “edonici” cerebrali, insieme all’area ventrale del tegmento (VTA), una piccola area mesencefalica con funzioni simili.
La compromissione della gestione della gratificazione, probabilmente il “primum movens” della sindrome autistica, ha indubbiamente la capacità di generare gran parte delle altre componenti sindromiche.
Senza gratificazione, tutti smetteremmo di impegnarci,  non lavoreremmo, non impareremmo, non svilupperemmo i contatti sociali.
In un bambino nei primi tre anni di vita, che ha bisogno di tutto il potenziale dell’apprendimento per il corretto sviluppo delle funzioni mentali, ciò può esercitare un effetto dirompente sullo sviluppo intellettivo e, particolarmente, delle abilità sociali e comunicative.

L’Analisi del Comportamento, sulla base di evidenze differenti da quelle neurobiologiche appena discusse, aveva già individuato il “motore immobile” della sindrome autistica nella ridotta “suscettibilità ai rinforzatori sociali”, dando una connotazione più direttamente sociale al deficit di gratificazione che la neurobiologia indica come probabile colpevole della malattia. Ovviamente, nel suo approccio alla terapia, l’Analisi Applicata del Comportamento si basa sulla premessa di un deficit primario della gratificazione sociale ed utilizza metodi scientifici per recuperare, in primis, la sensibilità alla gratificazione, interrompendo il circuito vizioso che lega il deficit di gratificazione alla ridotta funzione dei circuiti neurali che sottendono la comunicazione e l’interazione sociale.
Senza utilizzare un approccio terapeutico che agisca sul nucleo profondo della malattia, e che rimetta in funzione i circuiti della gratificazione e, con questi, i circuiti neurali sui quali si basa la comunicazione e l’interazione sociale, è molto difficile ottenere risultati veramente soddisfacenti da qualsiasi approccio terapeutico.
Queste particolari connotazioni patogenetiche rendono l’autismo una malattia estremamente difficile da trattare con approcci differenti da quelli comportamentali.
D’altra parte, le strategie comportamentali efficaci in autismo per promuovere l’acquisizione di abilità e di competenze funzionano molto bene a maggior ragione in caso di ritardi mentali non autistici o di altre problematiche dello sviluppo mentale, anche se basati su deficit dei circuiti della gratificazione e se non compromettano le possibilità d’interazione sociale e di comunicazione.

Come molte altre discipline, nel corso dei decenni anche l’Analisi del Comportamento ha sviluppato varie direttrici culturali, differenti per particolari aspetti operativi e concettuali, ma accomunate sempre da principi di base condivisi. Un particolare approccio, sviluppato dagli anni ’90 sulla base dell’impianto concettuale del “Verbal Behavior” di Skinner (1957), e con l’apporto fondamentale di M. Sundberg e V. Carbone, è calibrato particolarmente bene per la correzione dei deficit che costituiscono il nucleo profondo dell’autismo.
Partendo dalla correzione dei deficit di comunicazione, l’ABA-Verbal Behavior ha grandi potenzialità nella correzione dei deficit di interazione e nell’ampliamento del repertorio di interessi.
Un disturbo complesso e profondamente pervasivo come l’autismo richiede la messa in campo di un’eccezionale quantità di energie educative che accompagnino il bambino prima e l’adulto poi verso l’espressione del suo massimo potenziale in tutte le aree dell’adattamento sociale. Allo scopo di ottenere la massima mobilitazione di tutte le risorse educative, la famiglia, la scuola e tutti i riferimenti educativi del bambino devono necessariamente operare verso la condivisione di un progetto comune nelle sue linee essenziali e nelle priorità di crescita curricolare, con una presa in carico intensiva, precoce e basata sul modello dell’ABA-Verbal-Behavior.

Analisi del comportamento, insegnamento ed apprendimento
Lo studio del comportamento si basa sulla comprensione delle sue leggi fondamentali delineate sperimentalmente, basate sulle relazioni tra comportamento ed ambiente. Il comportamento umano viene evocato, prodotto nell’”hic et nunc”, da condizioni ambientali antecedenti, mentre il carattere, l’intensità, il valore delle “conseguenze” costituiscono le variabili ambientali che possono radicare il comportamento specifico nel repertorio stabile dell’individuo.
Modificando artificialmente le condizioni antecedenti, è possibile determinare nell’immediato la comparsa o la mancata comparsa di un comportamento. Modificando, invece, le conseguenze del comportamento, con regole e modalità specifiche e ben codificate, è possibile aumentarne o diminuirne la presentazione futura, fino a renderlo un’acquisizione comportamentale stabile.
L’assioma fondamentale dell’Analisi Applicata del Comportamento è che, se impariamo a conoscere dettagliatamente le variabili ambientali di controllo di un comportamento, possiamo agevolmente modificarlo nella maniera più utile alla realizzazione dell’individuo. L’apprendimento di una qualsiasi abilità viene governato dalle stesse semplici leggi appena delineate. Queste controllano la comunicazione, l’acquisizione e lo sviluppo del linguaggio e la socializzazione.
Spesso, è proprio l’abilità nel descrivere esattamente, in modo quantificabile, articolato, ma contemporaneamente semplice, il comportamento e le contingenze ambientali che lo mantengono a gettare le basi per un intervento di successo.

Implementazione del programma educativo
Un Programma Educativo Comportamentale con metodologia ABA Verbal-Behavior si basa sull’implementazione di alcune procedure di base, le quali, nel loro insieme, rendono l’intervento piuttosto caratteristico rispetto ad altre iniziative abilitative alle quali può essere esposto un bimbo con autismo.
Il programma viene implementato attraverso lo studio meticoloso e l’applicazione di incentivi positivi all’apprendimento. Sono bandite dal trattamento o considerate solo eccezionalmente tutte  negative (“punizioni”). L’applicazione di incentivi positivi inizia immediatamente da un’associazione dei terapisti, delle condizioni e del setting di apprendimento con la disponibilità di incentivi.
Tutte le figure che collaborano alla terapia del bambino devono essere associate alla disponibilità di forme di incentivi particolarmente gradite al bambino, mai, invece all’obbligo di collaborazione e di lavoro o all’impedimento all’accesso ad attività preferite. Questo processo di associazione tra insegnanti o terapisti ed incentivi (“rinforzi”), definito “pairing”, permette all’educatore di costruire una buona relazione con il bambino, che comincia a riconoscerlo come persona che porta con sé cose belle, incentivi e gratificazione, non come chi gli porta via qualcosa o lo obbliga a lavorare.
La prima cosa insegnata al bambino dopo il processo di pairing è la capacità di chiederci quello che desidera, allo scopo di insegnargli le modalità opportune di richiesta, il nome delle cose o delle attività che desidera, ed anche allo scopo di poter consegnare la conseguenza di rinforzo in maniera contingente alla richiesta in modo da ancorare stabilmente la capacità di fare richiesta nel repertorio comportamentale del bimbo.
Il primo insegnamento fornito al bimbo consiste nel rendere manifesto che esiste una modalità per ottenere ciò che desidera, chiedendolo in maniera adeguata, che questa modalità è semplice, alla sua portata, e che produce costantemente l’effetto da lui desiderato. Ciò che durante il processo di pairing era accessibile gratuitamente tramite l’interazione con l’educatore diventa progressivamente dipendente dalla formulazione di una richiesta adeguata, insegnata sfruttando le competenze del bambino.
Per questo motivo la richiesta non deve obbedire ad un formalismo esasperato, non deve per forza consistere in più parole assemblate insieme in una frase cordiale, né deve per forza essere articolata utilizzando le parole stesse. Anzi, può utilizzare anche comportamenti motori delle mani (gli elementi del “linguaggio dei segni”) oppure lo scambio di immagini.
Anche se la priorità resta lo sviluppo di un repertorio comunicativo il più possibile esteso e funzionale nel contesto di vita naturale del bambino utilizzando il linguaggio parlato, i linguaggi di comunicazione aumentativa/alternativa costituiscono spesso un primo essenziale sostegno alla comunicazione nei casi in cui la comunicazione parlata non accenni ad emergere nel repertorio del bimbo. Il training alla richiesta ha come risultato collaterale la netta diminuzione di possibili comportamenti disadattivi (comportamenti-problema) legati all’ottenimento di oggetti o attività: se il bambino sa chiedere ciò che desidera, può essere compreso ed esaudito meglio che se mette in atto comportamenti disadattivi che lo danneggiano nelle sue possibilità di apprendimento.
Un elemento cardine nella buona riuscita di un programma d’insegnamento ABA è la corretta individuazione dei suoi obiettivi.
Questi devono appartenere ad un “curriculum” organico di insegnamento, pensato per seguire il più possibile le modalità e le tappe fisiologiche di apprendimento delle abilità da parte di un bambino a sviluppo tipico.
Ovviamente, si basano sulle abilità e sulle competenze sviluppate dal bambino precedentemente all’applicazione del programma di insegnamento. L’identificazione delle priorità in bambini che spesso già alla scuola dell’infanzia hanno accumulato un ritardo considerevole nella maggior parte delle aree dello sviluppo è una sfida importante per chi voglia programmare un intervento ABA.
In ABA Verbal Behavior, le aree curricolari esaminate, e delle quali viene promosso lo sviluppo, sono delineate organicamente e dettagliatamente nel VB-MAPP di M. Sundberg (2008). Vengono promossi gli apprendimenti in aree di comportamento non verbale secondo la concettualizzazione di Skinner (1957), come l’imitazione motoria, la selezione recettiva (identificazione di oggetti), le istruzioni recettive (esecuzione di istruzioni), le abilità visuo-percettive (abbinamenti e puzzle), le autonomie, ed in aree di comportamento verbale, come la ripetizione (echoic), la richiesta (mand), la denominazione (tact), la risposta a domande (intraverbali), oltre ad aree sociali e di gioco.
Per ottimizzare gli effetti positivi della terapia, la presa in carico consigliata dev’essere precoce e globale (interessando i vari ambienti di vita del bimbo) e deve prevedere almeno 25-30 ore settimanali di insegnamento individualizzato degli obiettivi specifici.
La caratteristica della globalità della presa in carico deve assicurare, inoltre, che gli obiettivi e le modalità di insegnamento siano comuni ai vari contesti ed ai vari momenti di vita del bimbo. Questi dovrebbero essere condivisi negli ambienti domiciliari, nella scuola e, eventualmente, in altri contesti abilitativi, alternando modalità di insegnamento naturalistico (il terapista o l’insegnante insegnano giocando con il bimbo) ad un insegnamento strutturato, oltre a trarre vantaggio dalle dinamiche educative scolastiche di gruppo.
L’applicazione dei principi appena delineati deve, ovviamente, essere declinata in maniera molto specifica e seguita attentamente, come devono essere seguiti con attenzione i progressi effettuati nel tempo dal bambino in terapia abilitativa.
Una caratteristica non secondaria dell’ABA è la necessità di valutare quantitativamente le abilità possedute dal bimbo e le successive acquisizioni, con una cadenza dinamica e ravvicinata per consentire di modificare progressivamente gli obiettivi e le strategie applicative della terapia.
La valutazione dei progressi deve avvenire attraverso l’utilizzazione di grafici specifici dai quali i progressi possano essere immediatamente ed analiticamente visibili. Se condotta con attenzione e rigore, la terapia ABA produce risultati evidenti in un’alta percentuale di bimbi.
Ovviamente, questi risultati sono quantitativamente e qualitativamente differenti nei vari bimbi trattati, ma sono molto spesso di entità e di significatività sufficiente a cambiare le possibilità di crescita mentale del bimbo ed a migliorarne apprezzabilmente le prospettive future.

Francesco Di Salle, Board Certified Behavior Analyst. Professore Ordinario di Neuroradiologia – Dipartimento di Medicina e Chirurgia – Università di Salerno. Direttore del Master Universitario di II Livello in Analisi del Comportamento ed Autismo dell’Università di Salerno. Direttore del Centro di Analisi del Comportamento ed Autismo dell’Azienda Universitario-Ospedaliera Ruggi – San Leonardo, Salerno. Presidente Associazione Orientamento Autismo Onlus. Analista del Comportamento. Honorary and Former Full Professor of Methods of Neuroimaging, University of Maastricht. Former Co-Director Maastricht Brain Imaging Center. Former Professor vor Functionelle Kernspintomographie, JW Goethe Universitaet – Frankfurt a/M. Direttore Unità di Ricerca in Risonanza Magnetica – Azienda Universitario-Ospedaliera Ruggi – San Leonardo, Salerno.

Domenico Bove, Neuropsichiatra dell’età evolutiva. Professore a contratto di Neuropsichiatria Infantile-Seconda Università di Napoli.

 

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