Dal Web, the day after #ParisAttacks

Il collettivo Anonymous dichiara guerra al sedicente Stato Islamico: “Aspettatevi un cyber attacco massivo. La Guerra è dichiarata. Preparatevi”.

Marta Zaetta

AnonymousNella cacofonia crescente del giorno dopo, le preghiere del Papa e gli inni alla non violenza delle ONG non raggiungono i tavoli diplomatici del G20 e soffocano sotto i raid francesi in Siria.
Ma dal cyber-spazio c’è chi non tarda ad alzare la voce: gli attivisti (o meglio, gli hacktivist) del collettivo Anonymous pubblicano, sui loro canali YouTube (prima in francese, poi in inglese), le dichiarazioni di guerra virtuale al sedicente Stato Islamico (IS), in conseguenza degli attacchi di venerdì sera:

To defend our values and our freedom, we’re tracking down members of the terrorist group responsible these attacks, we will not give up, we will not forgive, and we’ll do all that is necessary to end their actions.”

“Per difendere i nostri valori e la nostra libertà, troveremo i membri del gruppo terroristico responsabile di questi attacchi, non molleremo, non dimenticheremo e faremo tutto ciò che sarà necessario per porre fine alle loro azioni”.

Da qualche anno quel miscuglio strano e apparentemente casuale di nerd e geek di varia provenienza, estrazione sociale, età e professione nato come community online principalmente interessata agli aspetti ludici della Rete, si è via via trasformato in un collettivo internazionale di attivisti che spesso ha preso pozioni chiare rispetto temi attualissimi legati ad Internet e alle conseguenti ricadute su molteplici aspetti della vita quotidiana come la pirateria, la pornografia, la libertà dell’informazione, ecc.
Secondo un articolo pubblicato su Foreign Policy (FP) con il lancio e il coordinamento della propaganda online virale per il reclutamento dei foreign fighters “lo Stato Islamico ha passato i confini. Gli attivisti hanno promesso una controffensiva”, il che pone una questione non indifferente rispetto alla loro dichiarata volontà di mantenere Internet libero da ogni regolamentazione. Anche per questo motivo molti degli attivisti coinvolti nella campagna #OpISIS disconoscono apertamente ogni connessione con il collettivo.
D’altra parte, sempre secondo FP, dopo Charlie Hebdo si è registrato un notevole incremento nella frequenza e nella visibilità degli attacchi online contro il Califfato: gli attivisti hanno dichiarato di aver smantellato circa 149 siti linkati all’IS, identificato intorno ai 101,000 account Twitter oltre a 5,900 video di propaganda. Una vera e propria guerra mediatica che si combatte principalmente nel Dark Web (una parte del Deep Web i cui contenuti non sono indicizzati dai motori di ricerca) attraverso l’implementazione di complessi algoritmi votati anche a carpire l’identità dei cyber-jiadhisti. Informazioni di considerevole valore (passate al governo americano) che si sono dimostrate cruciali in più occasioni per la lotta al terrorismo islamico.
Ma per quanto questa “open source intelligence” possa contribuire, con tutte le sue contraddizioni interne, a rallentare il reclutamento di nuovi combattenti da parte del Califfato, solo un intervento mirato al taglio della benzina che muove la macchina del terrore potrà avere risvolti concreti. Perché come aveva spiegato un anno fa Matthew Levitte, direttore del programma d’intelligence e antiterrorismo al Washington Institute for Near East Policy, “Lo Stato islamico è probabilmente il gruppo terroristico più ricco mai conosciuto”.

 di Marta Zaetta,

Collaboratrice Social News

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