Salute 2.0

L’importanza del Web nella ridefinizione delle relazioni medico – paziente.

Marta Zaetta

ImmagineLo scorso 6 novembre, presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna, si è svolto il convegno “Salute 2.0 – Informazione, comunicazione e cronaca sulla salute” incentrato principalmente sul ruolo del Web nella comunicazione sanitaria. La giornata, patrocinata dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, rientra all’interno di un percorso di aggiornamento formativo dedicato agli operatori dell’informazione che trattano il tema della salute ed è stata  promossa e organizzata dall’ Agenzia Informazione e Comunicazione della Giunta regionale in collaborazione con l’ Università, la Fondazione Pubblicità Progresso e Corecom.
Durante l’intera mattinata ricercatori e professionisti del settore si sono confrontati sulle conseguenze provocate dalle attuali modalità di utilizzo degli strumenti del Web 2.0 in tema di sanità, con particolare attenzione rivolta alla sempre più diffusa consuetudine di condividere contenuti relativi a vissuti di malattia personale e/o “buone pratiche” adottate in tema di prevenzione.
Dopo una breve introduzione della professoressa Giovanna Cosenza, dell’Università di Bologna, che ha focalizzato l’attenzione sul considerevole impatto massmediatico di Internet (con particolare riferimento ai social network, già promossi a “social media” in ragione di ciò), Eugenio Santoro, ricercatore presso l’Istituto Mario Negri di Milano, ha evidenziato come la voce degli organi istituzionali italiani preposti alla tutela della salute sia praticamente assente in Rete. La principale conseguenza di questa mancanza è riscontrabile nella non realizzazione del pluralismo interno al Web, che espone il cittadino ad un inevitabile sbilanciamento informativo.
A fronte delle evidenze scientifiche prodotte dagli studi americani sull’efficacia delle campagne di sensibilizzazione e coinvolgimento via social del cittadino (prima che del paziente) sui temi legati alla prevenzione, alla medicalizzazione e alla salute in generale, Santoro ha sollecitato la necessità di prendere adeguati provvedimenti in merito alla questione.
In questo senso, secondo l’antropologa Cristina Cenci, che da anni lavora alla “netnography delle conversazioni online su patologie e farmaci”, accade sempre più spesso che la produzione e la condivisione di storie personali, il cosiddetto storytelling, crei senso di efficacia in Italia anche nell’ambito sanitario: se fino a ieri il passaggio dallo stato di “sano” a quello di “malato” si manifestava essenzialmente nel rapporto privato medico-paziente, oggi la Rete facilita la pubblicazione e la condivisione di storie personali che, incontrandosi virtualmente, influenzano concretamente le scelte degli individui anche nell’offline. In questo “crocevia narrativo” appare necessaria l’apertura della Medicina alle nuove logiche promosse dagli internauti, con il progressivo abbandono del fact checking (che presuppone un cittadino probabilmente troppo razionale nella validazione delle informazioni) a favore del social fact checking, incentrato piuttosto sull’ascolto di storie vere, capaci di creare empatia e identificazione e che non necessariamente sono frutto della disinformazione.
A seguire Laura Berti, di Medicina 33, e Maria Emilia Bonaccorso, dell’ANSA, hanno messo in guardia i professionisti che si stanno preparando a cogliere questa sfida da una serie di errori in cui non potranno permettersi di incorrere, pena la produzione di effetti disastrosi e molto difficilmente reversibili sul rapporto cittadinanza-sanità ma anche nel reintegro della persona malata in società. Tipiche sono per esempio le creazioni di stereotipi nell’immaginario collettivo dovuti ad un uso sconsiderato di termini medici come “follia” e “schizofrenia” a solo vantaggio del sensazionalismo mediatico. Fondamentale anche la verifica delle notizie attraverso la consulenza di un pool di esperti (perché “è da considerarsi malasanità anche la mala informazione”) e l’importanza della conciliazione tra rigore scientifico e divulgazione: l’obiettivo del giornalista non è lo sfoggio delle competenze ma piuttosto la trasmissione dell’informazione.
Hanno chiuso i lavori Vincenzo Guggino dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e Alberto Contri della Fondazione Pubblicità Progresso. Il primo evidenziando come il confine tra informazione in senso stretto e comunicazione commerciale in ambito di salute sia estremamente sottile e invitando dunque i pubblicitari alla realizzazione di spot più che trasparenti (soprattutto in termini di testimonial e di netta separazione tra messaggio informativo e promozionale).
Il secondo rimarcando l’importanza dello storytelling nell’ambito del marketing sociale e presentando una serie di pubblicità progresso storiche che hanno concorso negli anni alla sensibilizzazione e mobilitazione dell’opinione pubblica.
La giornata ha riscontrato grande partecipazione da parte del pubblico che è intervenuto su più fronti evidenziando la necessità di ridefinire le modalità di relazione tra paziente e medico e più in generale tra sanità e cittadino attraverso una comunicazione trasparente e bidirezionale, soprattutto nella disponibilità all’ascolto.

di Marta Zaetta,

Collaboratrice Social News

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