Dal disastro della carta stampata ai miglioramenti della tv

Patrizio Gonnella, Presidente dell’associazione Antigone: “Negli ultimi cinque, sei anni, la televisione ha fatto passi da gigante”.

Vicsia Portel

“Parlando di come i media trattano il tema carcere, noi distinguiamo tre ambiti: la carta stampata, un vero disastro, il web, il mezzo che preferiamo in quanto ci permette di organizzarci autonomamente e di auto produrre informazioni, e la televisione, che sta riservando delle grandi sorprese”. A parlare è Patrizio Gonnella, Presidente dell’associazione Antigone, da oltre vent’anni in prima fila nella lotta per i diritti in carcere e nello studio dei grandi temi legati a questo mondo. “Negli ultimi cinque, sei anni, la tv ha fatto passi da gigante” spiega.
Era il 2010 e il problema del sovraffollamento degli istituti carcerari si era trasformato in una vera emergenza, con tanto di condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il discorso alle Camere del Presidente Giorgio Napolitano e il richiamo dell’Agcom al mondo dell’informazione perché si rendesse più sensibile al tema.
Meno di un anno prima, inoltre, Antigone aveva presentato un appello all’Amministrazione Penitenziaria per far entrare più agevolmente le telecamere negli istituti. Era la svolta.
“Da allora la televisione ha contribuito in modo fondamentale alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, e quindi alla pressione della classe politica, altrimenti troppo pavida e pigra per avviare una vera riforma e provare a risolvere il dramma del sovraffollamento” continua Gonnella.
“Penso alle inchieste sugli Opg di Riccardo Iacona, a quelle di Lucarelli sulle morti in carcere, alla Gabanelli con Report”.
Oltre ai programmi più tradizionali, anche progetti nuovi hanno tentato di raccontare questo mondo oltre i soliti schemi. Su Rai3 troviamo “Storie maledette”, in cui si intervistano i protagonisti direttamente in carcere. Nel docu-reality “Sbarre”, su Rai2, invece, la storia di un ragazzo borderline incrociava il percorso e la vicenda umana di un carcerato: un confronto, drammatico ed emozionante, in cui i due binari del racconto si fondevano alla ricerca di una riflessione positiva, in cui il dentro e il fuori trovavano, finalmente, un punto di incontro. “Belli dentro”, in onda dal 2005 al 2012, è stata, invece, una sit-com ideata e scritta da un gruppo di detenuti del carcere di San Vittore. Viene raccontata la quotidianità in modo divertente e umoristico, un progetto unico nel suo genere, andato in onda su Canale 5 e Mediaset Extra. Proprio Canale 5, con il suo tg, si conferma un punto di eccellenza a Mediaset sui temi di stampo sociale, carcere compreso. “Al netto di casi di cronaca clamorosi, penso al caso Cucchi, il nostro giornale cerca sempre di dedicare ampio spazio al tema” racconta Elena Guarnieri, caporedattore e volto storico alla conduzione del tg delle 20. Talmente in prima linea, e lo racconta sorridendo, che è stata l’unica giornalista a partecipare al calendario della polizia penitenziaria, insieme ad attori e personaggi dello spettacolo protagonisti di film e fiction polizieschi. “Beh, è stata una bella soddisfazione, se non altro perché è il riconoscimento di un nostro impegno: in generale, il carcere è un tema difficile, ma noi, al Tg5, cerchiamo sempre uno spazio. Non abbiamo una rubrica fissa, ma, se dovessimo quantificare, in un mese, ne parliamo, solo come telegiornale, direi un paio di volte. Abbiamo la fortuna di avere un direttore, Clemente Mimun, da sempre attento alle battaglie di chi sta in carcere in Italia o è  detenuto ingiustamente all’estero, come nel caso di Chicco Forti o dei marò. Spesso, lo spazio privilegiato a notizie magari non fortissime è “prima pagina”, la nostra copertina che precede l’edizione delle 20.
Uno spazio che ben si adatta alla riflessione e all’analisi di temi più spiccatamente sociali”.
Ad ogni modo, guardando i freddi numeri, la lancetta pare bloccata. Secondo i dati forniti  dall’Osservatorio di Pavia, nel primo semestre del 2015 il tema carcere è presente nei tg italiani con appena 23 notizie, cifra sostanzialmente uguale allo stesso periodo dell’anno precedente.
Con riferimento alla televisione che parla di carcere, ci si deve interrogare sul quanto ne parla ed anche sul come.
“Da questo punto di vista, c’è stato un evento decisivo che ha cambiato radicalmente il modo di percepire, e quindi raccontare, il mondo del carcere: parlo del caso Cucchi”. È cautamente ottimista Daniela de Robert, giornalista Rai fra le più attive e competenti sul tema, con una doppia, trentennale esperienza, cronista e volontaria con l’associazione Vic di Rebibbia. “Vedendo quel ragazzo massacrato di botte, qualcosa è cambiato nell’opinione pubblica. Il carcere veniva, finalmente, percepito come uno spazio che poteva riguardare tutti, non era più – solo – il mondo dei cattivi, dei mostri, ma un dramma che poteva coinvolgere una tranquilla famiglia comune, come quella di tutti noi. Il carcere è diventato – sta diventando – nell’opinione pubblica, un luogo di tutti”. Un luogo pubblico, quindi.
Di cui prendersi cura e cui riservare attenzioni. “Anche l’apertura degli istituti ai giornalisti ha contribuito ad una migliore comprensione: si vede che in carcere ci sono persone, non detenuti e questo condiziona, inevitabilmente, anche il modo in cui il giornalista racconta quel mondo”.
Certo, è vero, che molto c’è da fare. “Si tende a raccontare solo gli estremi, i casi limite – continua De Robert – dalle eccellenze positive, come la sfilata di moda o esempi particolarmente virtuosi di lavoro, ai picchi negativi, come i suicidi e la violenza. Manca, forse, un racconto serio sulla normalità, fatta di solitudine e mille difficoltà. Se racconto gli estremi, chi ha solo giornali e tv per capire questo mondo complesso se ne farà un’idea deformata”.
Di strada ne ha fatta, la tv, nonostante limiti e margini di miglioramento. Adesso è giunto il momento di non fermarsi sugli allori. “È importante che, passata la fase acuta dell’emergenza, non si spengano i riflettori” conclude Patrizio Gonnella.
“Ricordiamoci sempre che il ruolo della televisione è fondamentale: lo sguardo della telecamera è, spesso, l’unico modo per far conoscere “fuori” il mondo del carcere”.

di Vicsia Portel

giornalista e autrice televisiva, coautrice del programma in onda su La7 “DiMartedì”

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