Ben 3.444 Italiani detenuti fuori dal nostro Paese

Due terzi si trovano in Europa, altri in Sud America per reati legati per lo più al traffico di droga.

Susanna Svaluto

ImmagineSecondo l’annuario statistico redatto dal Ministero degli Esteri, nel 2014 gli Italiani detenuti all’estero erano 3.444.
La maggior parte di essi, circa due terzi, sta scontando la propria pena in Europa. I reati commessi variano, anche se la percentuale più elevata è attribuibile al traffico di droga, soprattutto per quanto riguarda l’America Latina, seconda solo all’Europa per numero di detenzioni.
Analizzando il caso del Perù, nell’ultimo anno l’INPE, l’Istituto Nacional Penitenciario, riporta l’Italia come quarto Paese, dopo Spagna, Olanda e Portogallo per provenienza di detenuti stranieri. La maggior parte dei reati è ricollegabile al traffico di sostanze stupefacenti, un fenomeno in aumento soprattutto a causa della crisi economica. Il termine utilizzato per indicare i corrieri stranieri (con un compenso di circa 3.000–4.000 euro a viaggio) è “burrier”. Il termine deriva dalla crasi tra “burro” (“asino” in Castigliano) e “courier” ed indica coloro i quali “caricano”, come animali da soma, determinate quantità di droga per trasportarle via aerea oltre oceano. I metodi utilizzati sono molteplici: dai più comuni, come nascondere le quantità sotto i vestiti o nelle valigie, ai più fantasiosi, nelle tavole da surf, nelle bottiglie di vino, in strumenti musicali o, addirittura, camuffate come caramelle. Esistono, tuttavia, anche escamotage più pericolosi, come l’ingestione di piccole capsule da espellere una volta raggiunta la destinazione.
A differenza di quanto si potrebbe pensare, in molti casi il burrier non è un trafficante di professione, appartenente a qualche organizzazione criminale. Al contrario, si tratta di persone attratte dal guadagno facile, oppure di chi, a fronte di difficoltà economiche, viene avvicinato da amici di amici i quali, approfittando del suo stato di vulnerabilità, propongono il traffico internazionale come soluzione, garantendo livelli di rischio marginali. Dai colloqui con i detenuti emerge proprio una scarsa conoscenza dei rischi e delle pene effettive per i reati connessi al traffico
di droga. Nel caso del Perù, la pena è di sei anni e otto mesi e, in diversi casi, i detenuti hanno dichiarato di essere partiti pensando di rischiare una pena di un anno. Lo scarso grado di consapevolezza e lo sfruttamento delle necessità si uniscono nel rendere persone vulnerabili facili bersagli.
In Italia, diverse associazioni si occupano di tutelare i diritti dei reclusi. Per quanto riguarda, invece, gli Italiani detenuti all’estero, esiste solo la Onlus Prigionieri del Silenzio, nata per offrire un supporto alle famiglie. L’associazione è il risultato dell’esperienza diretta della Presidente, Katia Anedda, che ha deciso di fondare questa realtà nel 2008, dopo che il compagno di allora aveva subito un processo ed era stato incarcerato negli Stati Uniti.
Di fronte all’indifferenza ed alla solitudine nel combattere la sua battaglia a favore del compagno, ha deciso di creare un’associazione per sostenere le famiglie dei detenuti durante tutto l’iter processuale, fungendo da intermediario tra le istituzioni e le famiglie stesse. Allo stesso tempo, svolge un’attività di tutela e promozione dei diritti umani dei detenuti italiani all’estero, allo scopo di rompere l’isolamento in cui, spesso, vengono lasciati.
Il rischio della mancata salvaguardia dei diritti di base, soprattutto nei Paesi esterni all’Unione Europea, è considerevole. Non solo le condizioni carcerarie sono precarie (mancanza di cure
mediche, spazi ridotti, minacce ed estorsioni da parte degli altri detenuti), ma viene meno il diritto a ricevere una difesa effettiva.
Spesso, infatti, a causa delle difficoltà di comprensione linguistica, dell’ignoranza di fronte ad un sistema giuridico differente e delle prassi burocratiche, i detenuti stranieri diventano preda di “avvoltoi”, presunti avvocati che promettono scarcerazioni lampo dietro pagamenti anticipati. Qualora anche si riesca a trovare un avvocato onesto, succede che, a causa in corso, questi sparisca, lasciando il detenuto e le famiglie nel limbo.
Emerge il forte senso di abbandono e di sfiducia in cui i detenuti sprofondano giorno dopo giorno. Spesso, la lontananza risulta difficile anche a chi viaggia per studio, lavoro o vacanza. Rincuora sapere che si può effettuare
il check-in on-line già 48 ore prima della partenza. Ci sono persone, però, che a quel check-in si sono fermate, iniziando un percorso detentivo del tutto simile ad un labirinto senza fine.

di Susanna Svaluto

collaboratrice di SocialNews

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