All’Expo di Milano il gelato e il panettone del carcere di Padova

Il 17 agosto scorso, il padiglione della Coldiretti ha ospitato i prodotti del laboratorio Officina Giotto del carcere Due Palazzi.

Mauro Farina

ImmagineIl laboratorio di gelateria curato dai detenuti del carcere “Due Palazzi” di Padova è attivo da soli sei mesi e già sfida, peraltro con ottimi risultati, il mercato italiano e mondiale. I prodotti realizzati sono stati esposti presso il padiglione della
Coldiretti il 17 agosto scorso all’Esposizione Mondiale, rendendosi protagonisti della manifestazione. I visitatori hanno potuto assaggiare il famoso “Panettone a Ferragosto” in versione Fiori d’Arancio, oltre al gelato, realizzato in modo naturale grazie alle materie prime fornite dai produttori locali aderenti al circuito di Campagna Amica.
L’esposizione internazionale può essere definita una grande fiera del cibo, ma, andando a fondo, diventa anche un’occasione per riflettere sul fattore umano posto alla sua base. I detenuti che seguono percorsi professionali per essere poi accompagnati al lavoro esterno riscontrano, infatti, una percentuale di recidiva sensibilmente più bassa della media generale (2-3% contro il 70%, circa). Puntare sulla persona rappresenta una scelta votata a rispettare il pianeta e le sue risorse. I prodotti della pasticceria stanno raccogliendo ordini ormai da tutto il mondo e possono contare su circa 200 punti vendita. Il laboratorio di gelateria del carcere Due Palazzi ha iniziato la propria attività nel gennaio scorso grazie ai finanziamenti erogati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e dalla Cassa Ammende del Ministero della Giustizia. I dipendenti di Officina Giotto sono circa 500. Tra questi vi sono circa 200 persone che si trovano in condizione di disagio sociale o sono portatori di disabilità fisica
o psichica. Abbiamo rivolto alcune domande al presidente del laboratorio Officina Giotto, Nicola Boscoletto.

Partecipare ad un’esposizione internazionale come Expo 2015 è stato utile per Officina Giotto?
“Utile certamente perché ha rafforzato la componente internazionale della nostra esperienza professionale, già emersa con chiarezza negli ultimi 6-7 anni. Oramai sono molti i legami con vari Paesi. Dal mondo si guarda con interesse ed attenzione al modello della cooperazione sociale italiana. Il motivo è molto semplice: è uno dei pochi che ha dimostrato di funzionare davvero, di attuare quello che dovrebbe essere lo scopo del carcere, portare fuori le persone per non farle mai più rientrare ed inserirle a pieno titolo nella società. Così, dal Brasile, ogni sei mesi
riceviamo la visita di una delegazione (e noi ricambiamo con la stessa frequenza), nel carcere della contea Cook di Chicago è partito da anni un esperimento che si ispira alla nostra esperienza e a Lisbona parte in questi giorni una pasticceria che produrrà panettoni simili ai nostri. Ancora, in Venezuela stiamo lavorando con una rete di imprenditori di vari settori, tra cui quello del cioccolato, e una fondazione americana ha finanziato una ricerca
per diffondere nel mondo il nostro modello di “perdono attivo” nella società. Restando ad Expo, infine, in maggio abbiamo ricevuto in carcere una delegazione di 200 operatori, in larga parte buyers, provenienti dai cinque continenti e giunti in Italia per visitare Expo ed incontrare esperienze di eccellenza”.
Pensate di essere riusciti, tramite il lavoro di ragazzi disabili e detenuti, a fare leva sui visitatori del vostro stand, a far comprendere e valorizzare il lavoro di persone in vari modi svantaggiate?
“Verrebbe da dire che parlano i numeri: avevamo previsto 8.000 assaggi di panettone e gelato, ritenendo la stima generosa, ed invece, alla fine del pomeriggio, avevamo già esaurito tutto.
Tra i visitatori dello stand Coldiretti tantissimi ci chiedevano informazioni: chi siamo, come lavoriamo, da dove veniamo. È normale: tutti apprezzano un’imprenditoria sociale che sappia lavorare puntando alla qualità. È del sociale assistito e piagnone che – giustamente – la gente non vuole più sentire parlare”.
Quali sono le vostre aspettative dopo questa presenza a Expo2015? Pensate che il lavoro di persone disagiate, disabili e detenuti possa essere compreso?
“Crediamo di sì per i motivi appena esposti e per l’attenzione crescente che riscontriamo anche a livello internazionale. Tra l’altro, il 3 settembre siamo tornati ad Expo per tenere una relazione nell’Auditorium Italia, all’interno di uno dei seminari principali della manifestazione. Abbiamo raccontato “la potenza del limite”, un tema che sentiamo pienamente nostro. Nessuno lo ha espresso meglio di Papa Francesco, con una citazione un po’ lunga, ma illuminante: «Originariamente, l’uomo è povero, bisognoso e indigente. Quando nasciamo, per vivere abbiamo
bisogno delle cure dei nostri genitori, e così in ogni epoca e tappa della vita. Ognuno di noi non riuscirà mai a liberarsi totalmente dal bisogno e dall’aiuto altrui, non riuscirà mai a strappare da sé il limite dell’impotenza davanti a qualcuno o a qualcosa.
Anche questa è una condizione che caratterizza il nostro essere “creature”: non ci siamo fatti da soli e da soli non possiamo darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Il leale riconoscimento di questa verità ci invita a rimanere umili e a praticare con coraggio la solidarietà, una virtù indispensabile allo stesso vivere»”.

di Mauro Farina

collaboratore di SocialNews

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