SEBBEN CHE SIAMO DONNE – parola e canto contro la violenza

Vi racconto una storia: non è bella e non è brutta, ma è una storia, la mia.

Da ogni storia c’è sempre da imparare.

La racconto perché vorrei potesse insegnare qualcosa, come quando si guarda un film o si legge un libro. Ma potete anche non farne nulla, solamente ascoltarmi…

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Così si apre lo spettacolo “SEBBEN CHE SIAMO DONNE – parola e canto contro la violenza” di ORSA MINORE – Artigianato Vocale. La rappresentazione nasce nell’estate del 2014 su invito del centro antiviolenza di Trieste GOAP a portare in scena i racconti elaborati all’interno del laboratorio di scrittura “Rinarrate” proposto da Paolo Stanese.

Grazie all’autorizzazione delle sei autrici dei testi e alla loro fiducia, il trio vocale femminile formato da Adriana Giacchetti, Chiara Minca e Daniela Gattorno ha prodotto uno spettacolo che intreccia al canto popolare e sociale italiano la testimonianza di donne vittime della violenza del proprio marito o del proprio compagno. Racconti che vanno a formare un unico torrente di parole, un coro in cui si fondono le storie individuali.

La prima lettura dei testi è stata devastante, emotivamente devastante, come sempre accade quando si leggono testimonianze di ingiustizie e violenze, nonostante il lieto fine che lega tutte le storie: la chiusura della relazione e la ripresa di un nuovo respiro, più lieve e sereno.

Nostro obiettivo è stato utilizzare il prezioso materiale consegnatoci stando ben attente a non minimizzare o banalizzare la portata del vissuto delle autrici, restando il più possibile fedeli alla scrittura originale. Il nostro intervento si è limitato a stabilire la sequenza secondo la quale proporre i frammenti scelti.

Tutte le storie presentano un punto in comune: l’incontro con le operatrici del centro, senza le quali, probabilmente, l’uscita dalla situazione di violenza non sarebbe possibile, o lo sarebbe pagando costi emotivi, fisici, psicologici e anche economici molto più elevati.

Nel quadro uscito da questo collage di storie ci siamo rispecchiate: essere donne nella nostra società significa ancora oggi, purtroppo, doversi confrontare in modo diretto o indiretto con forme di violenza e discriminazione.

Alcune di noi, quell’esperienza l’hanno vissuta direttamente sulla propria pelle, ormai parecchi anni fa. Le statistiche attestano un caso di violenza (fisica, sessuale, economica o psicologica) ogni quattro donne e, come ben si sa, le denunce rappresentano solo la punta dell’iceberg. Ecco, noi alziamo tristemente la percentuale arrivando a due su tre…

Non è necessario aver subito in prima persona comportamenti violenti da parte di un uomo col quale si è in relazione per sapere che chi cade vittima di questo tipo di aggressione finisce spesso sotto accusa nel momento in cui ne parla, in cui denuncia, o negli anni successivi. Il giudizio o il pregiudizio colpisce più chi è l’oggetto della violenza rispetto a chi la violenza sceglie di metterla in atto.

Anche per questo motivo, spesso, gli uomini violenti considerano normale il proprio comportamento. A sostenerli, un substrato culturale lento a morire, lento, perfino, a modificarsi. Basti ricordare che, fino al 1975, il codice penale italiano riteneva lecito, da parte del coniuge, fare uso di “mezzi di correzione” nei confronti della moglie (ovvero, usare violenza contro di lei) e, fino al 1996, considerava lo stupro un reato contro la morale e non contro la persona.

Compagni, mariti, fidanzati, ex, padri e fratelli violenti sono, quindi, figli del proprio tempo, ma non per questo meno responsabili delle proprie azioni. Ne è riprova il fatto che non tutti gli uomini sono violenti.

Nei racconti di queste donne coraggiose emerge un altro dato importante: tutte affermano che, finalmente, al centro antiviolenza qualcuno le ha ascoltate, ha creduto ai loro racconti e, senza giudicare, le ha accolte in una relazione di aiuto.

I mass media, invece, (e l’opinione pubblica che contribuiscono a formare) sovente sollevano dubbi sull’attendibilità delle affermazioni delle donne, sulle loro denunce, oppure le “inchiodano” al ruolo perpetuo di vittime, senza evidenziare, invece, che si tratta di uno stato temporaneo modificabile, un passaggio nel corso della vita.

Per questo motivo, con frequenza, le donne che hanno subito violenza da parte del partner non vengono ritenute affidabili quando ne parlano, oppure sono colpevolizzate per non aver assunto subito la decisione di troncare la relazione. Molte, quindi, non ne parlano semplicemente per evitare ulteriori sofferenze.

Le parole non dette restano a formare groppi che serrano la gola e il cuore.

Abbiamo provato ad amplificare le voci e le storie di queste sei donne con rispetto e delicatezza, constatando che la violenza non ha niente di originale. Certo, cambiano i dettagli, ma la forma mentis dell’uomo violento è sempre la stessa.

Le voci sono, così, andate a confluire l’una nell’altra. Un fiume di parole che, dall’illusione d’amore, passa al dubbio, alla paura, alle lacrime, e poi alla speranza, alla rinascita della visione di sé, del proprio valore e delle proprie possibilità di pensiero e azione.

A fare da contraltare alla crudezza della parola, lo spettacolo propone serenate e ninnenanne tratte dal vasto repertorio del canto popolare di varie regioni italiane, eseguite in polivocalità, a voce nuda e senza accompagnamento strumentale melodico. Canti intimi e struggenti a ricordare che l’amore non è abuso-controllo-ricatto. E poi, canti del lavoro e di lotta delle donne degli inizi del secolo scorso, testimonianza che le vite delle persone si muovono su uno sfondo culturale e sociale ben preciso, storicamente sempre orientato a riservare alla donna una posizione subalterna all’uomo, dentro e fuori casa. Cultura a cui le donne hanno risposto organizzandosi e lottando per i propri diritti.

A chi ci chiede perché abbiamo deciso di produrre questo spettacolo rispondiamo che è il nostro personale contributo alla necessaria modifica della cultura femminicida nella quale tutte e tutti cresciamo.

Teatro musicale, parola e canto di donne che alzano la testa per salvare se stesse e i propri figli e poi ne scrivono, raccontano, cantano. Nel tempo, anche con venature d’ironia.

Perché loro, sebben che siano donne, sanno davvero guardare avanti…

Adriana Giachetti, attrice, Orsa minore – artigianato vocale

ORSA MINORE – artigianato vocale

orsaminore.artigianatovocale@gmail.com

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