Il diritto al nome nell’ordinamento italiano

Secondo la legge italiana, ciascuno ha diritto a nome e cognome. Il diritto tutelato dalla Carta Costituzionale. Ma come si presentano le varie fattispecie e come trova effettiva applicazione?

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Renzo Calvigioni

Fin dal momento della nascita, ogni persona ha diritto al nome, attribuitole nel rispetto della normativa vigente: si tratta di un diritto tutelato dalla Costituzione (art. 22) e di un principio affermato dall’art. 6 c.c. Quest’ultima fonte precisa, inoltre, che, con tale terminologia, si intende il prenome ed il cognome. La normativa relativa al cognome, della quale ci occupiamo in questa sede, è molto più rigida e dettagliata di quella del prenome, della quale ci occuperemo in altra occasione, che prevede una più ampia possibilità di scelta da parte dei genitori. La disciplina del cognome è, inoltre, condizionata dalle modalità con le quali si instaura la filiazione e dagli eventi modificativi della stessa. In sostanza, si può affermare che la scelta del cognome non è rimessa alla libera valutazione dei genitori, ma è rigidamente predeterminata dalla normativa vigente e soggiace a specifici limiti ben definiti che debbono essere osservati anche contro la volontà degli interessati.

Il cognome del figlio nato in costanza di matrimonio.

Il figlio nato nel matrimonio assume il cognome del padre, cioè il cognome del marito della madre: la disciplina attuale individua il cognome maritale come identificativo della famiglia e come unico cognome per i figli. Pur non esistendo alcuna specifica disposizione che stabilisca che il figlio nato nel matrimonio assuma il cognome del padre, si tratta, tuttavia, di un principio non codificato, una consuetudine divenuta norma di diritto pienamente applicata. In passato, la stessa Corte Costituzionale aveva ritenuto che l’attribuzione del cognome paterno fosse un elemento di unità della famiglia, salvo poi, nel corso del tempo, cambiare radicalmente opinione con sentenza n. 61 del 16.02.2006: “A distanza di diciotto anni dalle decisioni in precedenza richiamate, non può non rimarcarsi che l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna. Né può obliterarsi il vincolo – al quale i maggiori Stati europei si sono già adeguati – posto dalle fonti convenzionali, e, in particolare, dall’art. 16, comma 1, lettera g) della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132, che impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome…»”. Da qui, un palese invito al legislatore ad attivarsi al fine di emanare una nuova disciplina in linea con i tempi attuali, le Convenzioni internazionali ed il principio di uguaglianza tra uomo e donna sancito dalla nostra Carta. Nonostante il richiamo dei giudici costituzionali, e nonostante diversi disegni di legge presentati in Parlamento, la disciplina del cognome non ha subito cambiamenti, fino al punto di arrivare ad una condanna, nei confronti dell’Italia, da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Questa è avvenuta nel gennaio del 2014 per contrasto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: non consentire l’attribuzione del cognome materno al figlio nato nel matrimonio, in quanto le disposizioni del nostro ordinamento impongono il solo cognome paterno al figlio nato nel matrimonio (come anche al figlio riconosciuto congiuntamente da entrambi i genitori al momento della nascita), non garantisce la parità dei coniugi, discriminando la madre nei confronti del padre. La decisione della Corte non consente la disapplicazione delle norme contestate, ma impone allo Stato italiano di modificare le fonti in contrasto con la Convenzione, riformando la propria legislazione ed evitando, così, che altri cittadini italiani possano subire gli effetti negativi delle disposizioni contestate. Purtroppo, neanche la decisione della Corte Europea è stata sufficiente per far approvare una nuova normativa sul cognome, anche se, ancora una volta, è stato ripreso l’iter parlamentare che dovrebbe portare all’emanazione del testo legislativo. E’ auspicabile che il legislatore possa andare avanti in questo percorso e giungere, finalmente, ad una nuova disciplina, non solo tanto attesa, ma anche dovuta, viste le suddette sentenze.

Il cognome del figlio nato fuori dal matrimonio

Nel caso in cui la nascita non avvenga in costanza di matrimonio, cioè i genitori non siano sposati tra loro o siano singoli, le possibili ipotesi per l’attribuzione del cognome possono essere diverse. In tal caso, si parla di figlio nato fuori dal matrimonio, secondo le modifiche introdotte dalla legge 219/2012 in materia di filiazione. Senza entrare dettagliatamente nelle diverse ipotesi di riconoscimento o non riconoscimento del figlio, o nella procedura o tempistica del riconoscimento – prima, durante o dopo la dichiarazione di nascita – tutti aspetti che incidono nell’attribuzione del cognome, è possibile dettare una serie di principi generali così riassumibili:

il figlio assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo, solitamente la madre, ma potrebbe essere anche il padre;

se viene riconosciuto congiuntamente dai genitori al momento della dichiarazione di nascita, assume esclusivamente il cognome del padre;

se riconosciuto in tempi diversi, prima dalla madre, della quale assume il cognome, e successivamente dal padre, potrà aggiungere, sostituire o anteporre quest’ultimo a quello della madre con decisione del Tribunale ordinario su istanza di entrambi i genitori. Se quest’ipotesi si verifica quando il figlio ha raggiunto la maggiore età, sarà lui stesso a poter decidere sul cognome, senza bisogno dell’intervento del Tribunale. Se, invece, è stato il padre a riconoscere per primo, il successivo riconoscimento materno non comporta alcuna variazione del cognome, che resterà solamente quello del padre;

nel caso, poco frequente, che il figlio non sia riconosciuto da nessuno dei genitori, il cognome verrà imposto dall’ufficiale di stato civile al momento della formazione dell’atto di nascita.

Il cambiamento di cognome

Il fatto che, in alcuni casi, occorra l’intervento del Tribunale è la conferma della scarsa flessibilità della disciplina del cognome, come dimostrato anche dalla procedura necessaria qualora un cittadino decida di cambiare il proprio cognome od aggiungerne un secondo (ad esempio, intenda aggiungere quello della madre oppure, molto più semplicemente, variare il proprio, per motivi non futili comunque dotati di una certa rilevanza). In tali ipotesi, si dovrà presentare istanza al Prefetto competente secondo la residenza dell’interessato, spiegare le motivazioni, eseguire un avviso pubblico del sunto dell’istanza, così che eventuali contro-interessati possano presentare opposizione. Solamente a conclusione di tale procedura, il Prefetto, dopo attenta valutazione, rilascia un decreto con il quale autorizza il cambiamento del cognome.

E’ il caso di ribadire che, in generale, mentre il maggiorenne potrebbe avere, in alcuni casi, qualche possibilità di scegliere il cognome, sempre in ambiti ben definiti e limitati, il minore subisce il cognome spettante senza che siano previste alternative. Ad esempio, se il padre dal quale deriva il proprio cognome dovesse cambiarlo, pure il figlio subirà il cambiamento ed assumerà lo stesso del padre. Il figlio maggiorenne potrà operare una scelta diversa, mentre il minorenne subirà il cambiamento senza altre possibilità.

Appare, infine, opportuno precisare che, quanto sopra esposto, trova applicazione solamente per i cittadini italiani. I cittadini stranieri sono soggetti esclusivamente alle disposizioni previste dalla loro legge nazionale: il loro cognome sarà disciplinato dall’ordinamento dello Stato di appartenenza e non potrà essere condizionato dalle nostre normative. Se nasce in Italia un cittadino straniero, il cognome sarà quello previsto dalla legge del suo Stato, ad esempio, il doppio cognome nel caso di cittadini sudamericani.

In conclusione, il diritto al nome, annoverato tra i diritti della personalità, tutela l’interesse di una persona alla propria identificazione sociale, tanto che il nome diviene elemento distintivo della propria personalità. Il nostro ordinamento è particolarmente attento a tale aspetto, ma la disciplina prevista non tutela sufficientemente la parità dei genitori. Confidiamo, pertanto, in un sollecito intervento del legislatore.

 Renzo Calvigioni, responsabili dei Servizi Demografici comunali, designato dell’ANUSCA per diverse attività del Ministero dell’Interno, autore di numerose pubblicazioni per la rivista “I servizi demografici”

Angela Caporale

Giornalista pubblicista dal 2015, ha vissuto (e studiato) a Udine, Padova, Bologna e Parigi. Collabora con @uxilia e Socialnews dall’autunno 2011, è caporedattrice della rivista dal 2014. Giornalista, social media manager, addetta stampa freelance, si occupa prevalentemente di sociale e diritti umani. È caporedattore della rivista SocialNews in formato sia cartaceo che online, e Social media manager. 

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