I bambini giuridicamente invisibili

Michela Arnò, caporedattrice SocialNews on-line

Grazie alla campagna #IBELONG, l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati, UNHCR, vuole sensibilizzare la popolazione mondiale al problema degli apolidi, soprattutto quando si tratta di milioni di bambini ai quali vengono negati tanti, troppi, diritti

ibelongSono vivi, ma non possono provare la loro esistenza. Sono essere umani, ma sono privi di diritti umani. Sono gli uomini, le donne e i bambini invisibili, mai registrati all’anagrafe. Apolidi. Senza nome. L’Unicef ne stima più di venti milioni nel mondo. Milioni di bambini non registrati al momento del parto. Senza identità giuridica. Ad essi vengono negati i diritti più basilari, dal certificato di nascita all’istruzione. Alcuni hanno ereditato questa condizione dai genitori, altri sono figli di rifugiati in fuga dalle guerre, nomadi o appartenenti a minoranze etniche nei Paesi in via di Sviluppo. Mai registrati su quel “pezzo di carta”. Venuti al mondo senza nome, data di nascita, residenza, stato di famiglia.

Nel Burkina Faso, il 67% dei bambini è invisibile. Nell’Africa sub-sahariana, due su tre. In Siria, 50.000 bambini figli di rifugiati non sono mai stati registrati all’anagrafe perché nati in Giordania, Iraq, Libano, Turchia ed Egitto, partoriti da genitori i quali, probabilmente, al momento della nascita del figlio pensavano più a sopravvivere che alle pratiche burocratiche.

Senza un documento d’identità non potranno mai andare a scuola, viaggiare, ottenere un lavoro, aprire un conto corrente, sposarsi. Come Ali, uno dei protagonisti della campagna di sensibilizzazione #IBELONG, promossa dall’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ali vive in Burkina Faso, non è mai stato registrato alla nascita, non ha più alcun contatto con la famiglia e non possiede nessun documento per provare la sua identità. Nessun Paese lo riconosce come suo cittadino. «Non conosco la mia nazionalità. So che sono nato a Abengourou (Costa D’Avorio, ndr), ma sono del Burkina Faso? sono della Costa d’Avorio? Non ne ho idea. Per sopravvivere lavoro nei campi. Non ho altra scelta. Mi piacerebbe fare l’autista, ma, dato che non ho documenti, nessuno mi assumerà. Per fare quasi tutto hai bisogno dei documenti, anche per aprire un conto. Senza documenti è impossibile. Quando non hai i documenti, non puoi fare nulla. Adesso ho l’età per sposarmi, ma, senza documenti, come posso farlo? Desidero una vita migliore, essere come i miei amici, essere felice. Essere come tutti gli altri.».

Leal, Libanese, ha ereditato l’apolidia dal padre. Il nonno di Leal non registrò il figlio alla nascita. A loro volta, Leal ed i suoi sei fratelli non poterono essere registrati: alcuni Paesi negano alle donne il diritto di trasferire la loro cittadinanza ai propri figli come avviene per gli uomini. Questa situazione può determinare la trasmissione a catena dello status di apolide di generazione in generazione. Leal ha sposato un Libanese, ma, non possedendo alcun documento, il matrimonio non può essere registrato. Senza un certificato di nascita, non può registrare all’anagrafe nemmeno i suoi figli. «Vivi in un mondo parallelo, senza prova della tua esistenza. Soffro perché non ho cittadinanza. Quando ero piccola, non sapevo cosa significasse “apolide”. Non conoscevo il problema. Quando sono cresciuta, a 12 anni, ho imparato cosa significasse non avere un carta d’identità. Mia madre, da sola, non poteva trasferire a me e ai miei fratelli la sua cittadinanza. Solo mio padre avrebbe potuto. Ma lui, Libanese, non ha mai posseduto documenti che provassero la sua nazionalità. Quando mia madre ha cominciato a lavorare, gli ha trovato un avvocato e lui ha potuto ottenere la cittadinanza. Ci sono voluti cinque anni prima che la ottenesse. Ottenuta per sé, ha continuato a non poter registrare noi. Oggi sono sposata, ho avuto due figli, uno di dieci anni, l’altro di cinque, ma non posso registrarli. Loro soffrono come me. Non posso viaggiare, non posso lavorare, se ho bisogno di andare in ospedale non posso farlo. Tutto ciò ha molti effetti sulla vita quotidiana. Non posso essere ricoverata in ospedale perché non possiedo documenti d’identità. Sono molto preoccupata per il mio rene. Ecco perché la mancanza di cittadinanza esercita effetti rilevanti su di me. Ho due figli e la situazione del mio rene è molto grave. È tutto molto difficile. Sognavo di frequentare l’Università e trovare un bel lavoro, ma non ho potuto. Tutti i miei sogni si sono infranti. Vorrei garantire ai miei figli una situazione migliore della mia, vorrei che ottenessero più di me. Ovviamente, mi piacerebbe che andassero all’Università.»

Ali, Leal e i suoi bambini, come altri milioni di persone, continuano a vivere le loro vite da “invisibili”, portando sulle loro spalle la sofferenza di un’esistenza senza futuro. Bambini fantasma, per la legge mai nati. Tutto ciò solo per non aver avuto la fortuna di essere stati registrati alla nascita, un diritto sancito all’articolo 7 della Convenzione dei Diritti dell’Infanzia: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi.

Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui, se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide.“

Angele, 13 anni, da grande vuole diventare una maestra. Vive in Costa d’Avorio, ma è originaria del Burkina Faso. I suoi genitori non erano stati registrati alla nascita ed erano a rischio apolidia. Fortunatamente, sono riusciti ad ottenere i documenti d’identità scampando al difficile destino delle persone apolidi, discriminate e private di molti diritti. In Africa occidentale sono almeno 750.000 le persone a rischio apolidia. Foto UNHCR/H. Caux

Angela Caporale

Giornalista pubblicista dal 2015, ha vissuto (e studiato) a Udine, Padova, Bologna e Parigi. Collabora con @uxilia e Socialnews dall’autunno 2011, è caporedattrice della rivista dal 2014. Giornalista, social media manager, addetta stampa freelance, si occupa prevalentemente di sociale e diritti umani. È caporedattore della rivista SocialNews in formato sia cartaceo che online, e Social media manager. 

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