Governo, coni e federazioni: serve un intervento radicale

di Roberto Urizio

Giorgio Brandolin, deputato del Partito Democratico e presidente del Comitato regionale del Coni in Friuli Venezia Giulia, è categorico sugli strumenti da utilizzare per arginare il fenomeno

brandolinParlamentare, ma anche dirigente sportivo di lunga data. Giorgio Brandolin, deputato del Partito Democratico, è anche il presidente del Comitato regionale del Coni in Friuli Venezia Giulia. In questa doppia veste, valuta, non senza qualche accenno critico, il decreto approvato dal Governo, poi convertito in legge dal Parlamento, sulla violenza negli stadi. Fornisce la sua visione del fenomeno associandola a vari fattori: il rapporto tra società e tifosi, gli impianti all’interno dei quali si svolgono le manifestazioni sportive (calcistiche, in particolare), la politica nello sport e la mancanza di cultura sportiva a vari livelli.
Partiamo dal decreto approvato lo scorso anno. È efficace per combattere il fenomeno della violenza negli stadi?
“Sinceramente, non sono particolarmente favorevole a decreti e leggi scritte sull’onda emozionale di un evento negativo come è stato, in questo caso, l’uccisione di Ciro Esposito. Alcune norme inserite nel decreto vanno nella giusta direzione, ma credo che, per debellare una piaga di questo genere, sia necessario un intervento più radicale e deciso, con Governo, Coni e Federazioni uniti per arrivare ad una regolamentazione più stringente e decisa responsabilizzando le società”.
In che maniera?
“Innanzitutto, affidando ai sodalizi la gestione dell’evento sportivo, compresa la sicurezza. In questo senso, il decreto stadi contiene una misura che pone a carico delle società parte dei costi. Ma questo non è l’unico aspetto. Occorre, a mio parere, obbligare le squadre a dotarsi di stadi all’altezza, pena l’esclusione dalle principali manifestazioni nazionali ed internazionali. Oggi, però, solo in pochissimi casi gli impianti sono di proprietà delle società. Non possiamo certo obbligare i Comuni a farsi carico di questo onere”.
Esiste un legame tra società e tifoserie, comprese le frange più calde?
“Anche questo è un fenomeno che va analizzato. Questi legami ci sono e vanno rotti, naturalmente senza fare di tutta l’erba un fascio e distinguendo tra tifosi veri, delinquenti e chi approfitta di manifestazioni sportive per delinquere. Non c’è legge che tenga: deve essere un’iniziativa che parte dalle società. Va tenuto conto che la struttura legislativa posta alla base dello sport in Italia è particolare: manca un Ministero apposito e un Comitato Olimpico come il nostro non esiste da altre parti. Le Federazioni sono i soggetti che impongono vincoli e procedure. Di conseguenza, nello specifico, deve essere la Figc a muoversi. Il Coni può stimolare il dibattito o attivare microcontributi, ma non può agire d’imperio. Non può farlo neppure la politica: il Cio impone l’autonomia dello sport per evitarne un utilizzo totalitaristico, come avvenuto nel secolo scorso. È difficile, quindi, anche per il Parlamento intervenire in materia sportiva”.
La Figc si è mossa in questa direzione?
“Qualcosa è stato fatto, come l’introduzione degli steward e gli strumenti di controllo sul patrimonio delle società tramite la Covisoc. L’attuazione di questi interventi ha, però, mostrato qualche lacuna, come dimostra, ad esempio, il recente caso del Parma. Ma, ribadisco, la responsabilizzazione delle società nella gestione degli stadi e degli eventi sportivi rappresenta l’elemento fondamentale per combattere e prevenire gli episodi di violenza. Recentemente, mi è capitato di assistere all’incontro Fiorentina–Juventus: ho notato uno spiegamento di forze dell’ordine davvero impressionante. Credo sia giusto che questo costo, che personalmente considero uno spreco, venga sostenuto dalle società”.
In altri Paesi ci sono stati passi avanti notevoli sotto questo aspetto. Perché da noi ancora non si è arrivati a quei livelli?
“Siamo arrivati più tardi di altri, ma una norma sugli stadi è stata inserita nella Finanziaria 2014. Qualcosa si sta muovendo: la Juventus ha lo stadio di proprietà, l’Udinese sta creando il nuovo ‘Friuli’, Roma e Milan sembrano intenzionati a realizzare un nuovo impianto. L’obiettivo è quello di disporre di impianti nei quali si possa assistere alla partita, ma anche trattenersi prima e dopo l’incontro. Ma, ripeto, deve essere soprattutto la Federazione a muoversi in questa direzione. Al momento, invece, vediamo una Figc nella quale Lotito è il ‘burattinaio’ di Tavecchio. Vale a dire che sono le società a dettare le regole alla Federazione e non viceversa. Servono persone in grado di gestire il governo del calcio con la forza e il carisma di un presidente come Artemio Franchi. Oggi, invece, ci sono personaggi di secondo piano non in grado di imporre norme e procedure per far compiere un passo avanti al calcio. Ma se è vero che in Italia dobbiamo ancora crescere moltissimo sotto questo aspetto, bisogna anche ricordare che il fenomeno della violenza non è stato cancellato altrove: l’esempio dei tifosi del Feyenoord a Roma ci ha riguardato da vicino e mi ha lasciato esterrefatto vedere gli Olandesi comportarsi in quella maniera”.
Resta il fatto che, nel resto d’Europa, gli stadi sono più moderni e sicuri.
“Assolutamente. Bisogna fare in modo di eliminare le condizioni di pericolosità all’interno e attorno agli impianti sportivi.
In Inghilterra, Germania e Francia, ad esempio, lo hanno già fatto”.
La Regione in cui lei presiede il Coni, il Friuli Venezia Giulia, ha avuto negli ultimi anni particolari episodi di violenza?
“Negli ultimi anni non ci sono state situazioni di emergenza degne di nota. Anzi, l’Udinese, con la ristrutturazione dello stadio, si sta confermando una società modello”.
Alla base del fenomeno violenza, esiste anche un problema di cultura sportiva?
“Sicuramente sì, soprattutto in alcune frange delle tifoserie. Anche questo è un passo in avanti da compiere per evitare il pericolo di episodi di violenza in occasione delle manifestazioni sportive. In questo senso, bisogna lavorare insieme alle scuole, educando i ragazzi allo sport sul piano fisico e morale, con il coinvolgimento anche delle famiglie. Su questo aspetto, anche il mondo dilettantistico, nel quale la stragrande maggioranza dei bambini accede allo sport, può e deve fare molto, nei confronti dei ragazzi stessi e dei loro genitori”.

di Roberto Urizio
giornalista de Il Piccolo e City Sport

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