Diffida preventiva e flagranza differita: criticità e diffidenze per provvedimenti presi spesso sull’onda dell’emotività

di Giovanni Adami

Alcuni casi necessitano di una lettura costituzionalmente orientata. Spesso, inoltre, determinati comportamenti uguali nella meccanica e nella pericolosità vengono puniti con pene enormemente più severe se compiuti nel contesto sportivo

adamiPer provare a sconfiggere il fenomeno del tifo violento, il legislatore è stato costretto a lavorare sempre “in apnea” e sotto pressione. A parte la legge 401/89, istitutiva, all’art. 6, dello strumento del divieto d’accesso allo stadio (“DASPO”, volgarmente detto “Diffida”) emesso dal Questore, tutti i successivi interventi hanno assunto la forma della legiferazione emergenziale, sempre associati ad un drammatico fatto di cronaca e sempre con le sembianze della reazione alla richiesta di giustizia ed allo sdegno dell’opinione pubblica.
Così è stato con il Decreto Maroni, emesso immediatamente dopo l’omicidio di Claudio Spagnolo prima di Genoa-Milan, ed anche con il decreto legge del 2003, quindi con la morte dell’ispettore Raciti nel corso di Catania-Palermo (Decreto Amato). Infine, pochi mesi dopo il decesso di Ciro Esposito prima della finale di Coppa Italia, ecco il Decreto Alfano (agosto 2014).
Il prodotto è quasi sempre frutto di interventi veloci e dettati dall’emozione del momento. Prodotti non ineccepibili e spesso attaccati sotto il profilo della legittimità costituzionale.
Basti pensare che, nel corso di questi anni, a far data dal 1993, la Corte Costituzionale è intervenuta più volte. Così anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione: hanno affrontato le tematiche proposte dalla cosiddetta “Legge Antiviolenza” ben sei volte.
Quindi, da un lato siamo consapevoli della diffusa esigenza di frenare gli impulsi violenti di determinate frange di tifosi, dall’altro dobbiamo pensare come alcuni principi difensivi, alcune garanzie a favore dell’imputato e del suo avvocato, riconosciute dal nostro ordinamento, non possano essere derogate o pretermesse.
Ecco che, umilmente, e senza finalità polemiche, ci si permette di analizzare quali siano ancor oggi i punti di criticità della norma. L’art. 6 della legge 401/89 rappresenta il “cuore” della norma.
Nella sua ultima parte, prevede che “il divieto di accesso allo stadio può essere disposto non solo nei confronti delle persone denunciate penalmente, ma anche nei confronti di chi, sulla base di elementi di fatto, risulta aver tenuto una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico.”
Questo periodo introduce la disposizione già definita “Diffida preventiva”. Può essere escluso dagli stadi anche colui il quale non sia stato denunciato, né condannato, ma abbia tenuto una “condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza o che abbia tenuto una condotta pericolosa per la sicurezza pubblica”. Concetti estremamente generici permettono, quindi, al Questore di attribuire una plurimità di contenuti: il soggetto potrebbe essere meritevole di un Daspo per un comportamento non rilevante penalmente, quindi senza denuncia all’autorità giudiziaria, e, tuttavia, insidioso per l’ordine pubblico. Il che vuol dire tutto e niente allo stesso tempo. Il Decreto Alfano dell’agosto 2014 ha introdotto anche la “condotta di gruppo” aprendo un ulteriore scenario: sostanzialmente, tutti coloro i quali si trovino su un pullman ove vengano sequestrati petardi e razzi potrebbero essere indistintamente diffidati per il solo fatto di essere passeggeri sul mezzo, con una sorta di responsabilità collettiva sotto ilprofilo amministrativo. Ma se il Daspo è una misura di prevenzione, come pacificamente riconosciuto dalla Cassazione SSUU, può prescindere da quel minimo sostrato rappresentato dalla rilevanza penale del comportamento del prevenuto? Può il tifoso rispondere dello scriteriato gesto del suo “collega di viaggio” che si presenta in trasferta con un coltello in tasca?
Aspetto critico è anche quello sanzionatorio: di fatto, determinati comportamenti uguali nella meccanica e nella pericolosità (pensiamo al lancio di un oggetto) vengono puniti con pene enormemente più severe se compiuti nel contesto sportivo. Così, prendendo proprio ad esempio il lancio pericoloso: un conto è scagliare una bottiglia di plastica in piazza Navona martedì sera (reato ex art. 674 cp punito con una semplice ammenda fino ad € 206 oppure con l’arresto fino ad un mese), un conto è lanciarla in curva allo stadio Olimpico domenica pomeriggio (art. 6 bis L. 401/89, punito con non meno di un anno di reclusione ed € 10.000 di multa).
Ma anche il raffronto tra il reato di cui all’art. 650 cp e all’art. 6, c. 6 L. 401/89: entrambi puniscono l’inosservanza di un ordine del Questore (ad esempio, la mancata risposta ad una sua convocazione nel primo caso, la mancata presentazione in Questura in occasione della partita della squadra del cuore da parte del soggetto precedentemente raggiunto da Daspo). Nel primo caso ci sarà una semplice ammenda fino ad € 206, nel secondo “la reclusione da uno a tre anni e la multa da 10.000 a 40.000 euro…
Infine, le lesioni gravi o gravissime subite da un pubblico ufficiale durante le manifestazioni sportive (art. 583 quater cp) sono punite con un sensibile aggravio di pena rispetto alle lesioni patite in un contesto lavorativo diverso. Pure lo steward, che, sostanzialmente e formalmente, pubblico ufficiale non è, gode, ai sensi dell’art. 6 quater L. 401/89, di una sorte di protezione particolare: colui il quale usi violenza e minaccia nei suoi confronti risponde delle pene di cui agli artt. 336 e 337 cp e non delle più miti ex artt. 581, 582, 612 cp. Trattasi di una sorta di parificazione quod poenam tra la figura del pubblico ufficiale e dello steward in servizio allo stadio.
Obiettivamente, però, sono altri i casi che necessitano di una lettura costituzionalmente orientata e che, allo stato attuale, presentano varie criticità.
Secondo l’art.8 comma 1-ter, “nei casi di cui non è possibile procedere immediatamente all’arresto, per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta l’autore, sempre che l’arresto sia compiuto entro quarantotto ore dal fatto.”
E’ la c.d. “flagranza differita”, fortemente sospettata di incostituzionalità perché fa sì che sia la polizia a limitare la libertà personale di una persona dopo che il reato si è consumato, non un magistrato, come previsto dall’art. 13 della Costituzione. In concreto, lo stato di flagranza per i reati da stadio dura 48 ore se vi sono prove oggettive a carico del prevenuto, come video o foto.
Si tratta di un caso più unico che raro nel nostro ordinamento…
Proprio la sua dubbia costituzionalità ha fatto sì che detta norma sia a “termine” (rinnovata il 30.06.2013).
Sempre nei casi di arresto in flagranza, semi flagranza o flagranza differita, l’art. 8 comma 1-quater prevede che “l’applicazione delle misure cautelari sia disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280 del codice di procedura penale.”
Cioè, il giudice può applicare misure coercitive (carcere, arresti domiciliari, obbligo di dimora, obbligo di presentazione alla P.G.) anche se la pena prevista per il reato commesso (rientrante in quelli di cui all’articolo 6-bis, comma 1, all’articolo 6-ter, all’articolo 6, commi 1 e 6 e all’articolo 6 comma 7) rientra in una possibile sospensione della stessa. In altre parole, il giudice può stabilire la custodia cautelare in carcere anche per un reato minimale dal punto di vista della pena, quale il travisamento o l’aver mancato una presentazione in Questura per il tifoso già precedentemente raggiunto da Diffida ed anche se potenzialmente risulta concedibile la sospensione condizionale della pena…. E’ il solo caso nell’intero ordinamento italiano.
Ulteriormente, i provvedimenti di remissione in libertà conseguenti a convalida di fermo e arresto o di concessione della sospensione condizionale della pena a seguito di giudizio direttissimo possono contenere prescrizioni in ordine al divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive.
Significa che, quando il giudice, pur convalidando l’arresto, rimette in libertà il soggetto, potrà prescrivere il divieto di accedere ai luoghi ove si svolgano manifestazioni sportive. Lo stesso può accadere allorquando il giudice, pur condannando l’imputato (ad esempio, a seguito di rito per direttissima), gli concede la sospensione della pena.
Decidendo per la sospensione condizionale della pena, il giudice ritiene che il soggetto si asterrà, per il futuro, dal compiere reati. Ritenere contemporaneamente pericoloso lo stesso soggetto potrebbe sembrare un controsenso. L’unica spiegazione possibile risiede nel fatto che determinate persone non sono pericolose nella vita sociale quotidiana, ma possono divenirlo in occasione di competizioni sportive (pericolosità specifica e qualificata). Solo la suddetta chiave di lettura permette di conciliare (a stento) principi cardine del nostro ordinamento penale con la marcata esigenza di tutelare con decisione l’ordine e la sicurezza pubblica durante le manifestazioni sportive. Tuttavia, i dubbi sulla costituzionalità sono legittimi…
Infine, il Daspo può essere emesso dal Questore (generalmente nell’immediatezza del fatto) ed anche dal Giudice penale che affronta il processo di primo grado all’esito dello stesso. Rientriamo nel caso dell’art. 6, c. 7 L. 401/89, secondo cui, nei casi di accertamento della penale responsabilità, “dispone il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma 1 e l’obbligo di presentarsi in un ufficio o comando di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive specificamente indicate per un periodo da due a otto anni.
Purtroppo, capita praticamente sempre che il “Daspo giudiziario” si aggiunga al “Daspo questorile” facendo sì che il prevenuto che abbia già scontato la Diffida emessa dal Questore (ad esempio, per anni 3) si trovi poi, a distanza di diverso tempo, ad accostarsi al processo penale e a vedersi notificato un nuovo Daspo unitamente alla sentenza di condanna del Tribunale (ad esempio, per anni 5). Sconta, così, due volte il periodo di allontanamento dagli stadi. Si noti come il “Daspo questorile”, emesso sempre nell’immediatezza del fatto, vada da 1 a 5 anni (con esclusione dei recidivi) mentre il “Daspo giudiziario” abbia un minimo di 2 ed un massimo di 8 anni di durata… Recentemente, un orientamento del Tribunale di Milano, sulla scia di quanto stabilito dalla Terza Sezione della Suprema Corte nell’aprile del 2014, ha optato per ritenere necessario scomputare il periodo sofferto a seguito della notifica del Daspo questorile nel momento in cui viene notificato il Daspo giudiziario, ammorbidendo così la norma ed evitando, sebbene parzialmente, il rischio di ne bis in idem.
Da ultimo, il Decreto Alfano ha introdotto il Daspo con durata obbligata per i recidivi amministrativi: da 5 a 8 anni di divieto di accesso agli stadi con obbligo di presentazione alla polizia in occasione delle partite della squadra del cuore. Un tanto in forza di una particolare pericolosità presunta da una Diffida passata ed anche risalente nel tempo ed indipendentemente dalla condotta antigiuridica posta in essere. Quindi, almeno 5 anni di Daspo al recidivo trovato sul pullman dove un altro tifoso ha nascosto dei fumogeni o dei bengala, in forza della nuova disciplina della già citata “condotta di gruppo”. Oppure, almeno 5 anni di divieto a chi si è seduto per due volte nel corso della stessa stagione sportiva su un seggiolino diverso da quello corrispondente al biglietto nominativo emesso in suo favore. Questa la sintesi, in chiave provocatoria, delle recentissime novità legislative… Se si ha riguardo alla legge quadro sulle misure di prevenzione, si può notare come l’art. 4, c. 8 della L. 27.12.1956, n. 1423 stabilisca che “Il provvedimento del tribunale stabilisce la durata della misura di prevenzione che non può essere inferiore ad un anno né superiore a cinque”. Per soggetti assai più pericolosi, quindi, il massimo di durata della misura tipo della sorveglianza speciale dedotta dalla pericolosità presunta che può ritenere il Tribunale è pari ad anni 5, mentre, nel caso di specie, il Questore (il quale, in questo caso, applica direttamente la misura di prevenzione, a differenza del caso sopraindicato, nel quale si limita a proporla) non può ritenerla inferiore ad anni 5 e superiore ad anni 8.
Tanti aspetti, come visto, necessitano di interventi migliorativi giudiziali per poter essere adeguatamente accettati dal nostro ordinamento. Ciò che, però, va respinto con decisione è il luogo comune dell’“assenza della certezza della pena” per gli ultras, ovvero il concetto che “le norme esistono, ma non vengono applicate allo stadio” o, infine, che lo stadio stesso rappresenti una sorta di “porto franco dove qualsiasi condotta resta impunita”. Le norme punitive esistono ed il legislatore non è stato certo tenero nei confronti di determinate forme di delinquenza.

di Giovanni Adami,
avvocato

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