Dall’Heysel ai 96 morti in F.A. Cup

di Lorenzo Degrassi

Le tifoserie inglesi, per lungo tempo, sono state le maggiori protagoniste di episodi violenti. In Olanda l’F-Side dell’Ajax, il Vak-S del Feyenoord e i Norht Side dell’Aia sono fra le più pericolose. In Germania – come in Italia – nelle curve prevale la politica

stadio“Quando arrivammo a casa era ormai evidente che questo non era un altro semplice incidente calcistico, di quelli che si verificano una volta ogni qualche anno, in cui una o due sfortunate persone ci lasciano la pelle, e che viene generalmente e casualmente visto dalle autorità preposte come uno dei rischi insiti nel divertimento che ci siamo scelti. Il numero dei morti aumentava di minuto in minuto – sette, poi venti, poi una cinquantina e infine novantasei – e fu chiaro che, per tutti quelli che avevano ancora un briciolo di buon senso, niente sarebbe stato più come prima.”

In Gran Bretagna

Così lo scrittore inglese Nick Hornby descrive in Febbre a 90° quella che è ancor oggi la più grande tragedia avvenuta in uno stadio di calcio europeo, la cosiddetta strage di Hillsborough, avvenuta il 15 aprile 1989 a Sheffield, Inghilterra.
Quel giorno, nella città del South Yorkshire, andava in scena la semifinale della FA Cup Nottingham Forest-Liverpool, in campo neutro, come da regolamento del torneo. Alla tifoseria del Liverpool era stata assegnata la West Stand, la curva posta alla sinistra della tribuna centrale, dotata, però, di soli sei ingressi a fronte dei 14.600 posti a disposizione del settore. A mezz’ora dall’inizio della partita, la polizia decise di aprire un altro varco per velocizzare l’ingresso allo stadio dei tifosi dei Reds. La situazione all’esterno era molto critica, con migliaia di tifosi che stazionavano sulle cancellate dell’impianto, mentre l’interno era semivuoto. La decisione fu assunta per accelerare l’ingresso dei tifosi del Liverpool, ma non si fecero i conti con la conformazione della struttura. Il gate C, il cancello aperto per velocizzare l’afflusso, conduceva soltanto alla parte centrale della curva, in una zona dalla capienza limitata a sole 2.000 unità. Ben presto, perciò, moltissimi supporter si trovarono accalcati in una sorta di imbuto, mentre chi era già presente all’interno della curva fu schiacciato tra la calca e le recinzioni che dividevano gli spalti dal campo.
All’imperizia si sommò la tracotanza dei responsabili della polizia: non essendosi resi conto di ciò che stava accadendo, scambiarono i tifosi che scavalcavano le recinzioni per scappare allo schiacciamento per facinorosi che intendevano invadere il campo. Finirono, così, per caricarli, creando una drammatica impasse fra tifosi che morivano schiacciati dalla pressione della massa e altri che venivano feriti dalle surreali cariche della polizia.
Trascorsero numerosi, fatali minuti prima che le forze dell’ordine realizzassero cosa stava accadendo, facessero sospendere la partita, nel frattempo iniziata, e aprissero le inferriate che separavano gli spalti dal terreno di gioco. Soltanto a quel punto, con la West Stand che iniziava a svuotarsi, tutti iniziarono a comprendere le dimensioni del dramma: sotto quella calca avevano perso la vita 96 persone (quasi 50 in più rispetto alla tragedia dell’Heysel e quasi tutte di età inferiore ai 40 anni) e ne erano rimaste ferite oltre 200, in modo più o meno grave.
In Gran Bretagna nacque il football moderno e questa Nazione si rifiutò per decenni di partecipare alle competizioni internazionali per una sorta di “superbia” nei confronti di chi questo sport lo aveva scoperto successivamente. La Gran Bretagna è stata un’antesignana anche nel quadro degli incidenti avvenuti all’interno degli stadi. Gli impianti britannici, come ebbe modo di definirli The Economist dopo la strage di Sheffield, assomigliavano più a delle carceri incompatibili con la sicurezza degli spettatori, i quali, peraltro, con il passare degli anni, si scoprivano sempre più esagitati. Risale, così, già al 1902 la prima strage in uno stadio, l’Ibrox Stadium di Glasgow, durante l’incontro Scozia-Inghilterra: vi furono 25 morti e più di 300 feriti. Oltremanica, il football è sempre stato sinonimo di tradizione. Questo comportò drammi che potevano essere evitati se fossero state assunte per tempo le dovute misure di sicurezza dopo episodi precedenti. Così, a distanza di settant’anni, nel 1971, nello stesso stadio di Glasgow, si verificò la seconda strage più grande dopo quella di Hillsborough: ben 66 persone persero la vita al termine del derby Rangers-Celtic, al momento del deflusso dallo stadio.
La famosa tradizione britannica traslata in ambito sportivo fece sì che le stesse tifoserie per anni fossero contrarie alla costruzione di impianti più moderni e confortevoli, almeno fino alla strage di Hillsborough, che segnò il vero punto di non ritorno in fatto di norme di sicurezza negli stadi e di lotta alla violenza delle tifoserie.
Quattro anni prima di Sheffield, come già accennato, allo stadio Heysel di Bruxelles altre 39 persone, quasi tutte italiane, stavolta, persero la vita a causa di un mix letale di violenza inglese e struttura inadeguata. Almeno a livello internazionale, però, un disastro di siffatta portata poteva essere evitato? Probabilmente sì. Nei mesi precedenti all’Heysel, negli stadi inglesi si verificarono altri incidenti che segnarono un importante, quanto inascoltato, preludio a quanto poi accadde a Bruxelles il 29 maggio 1985: gli scontri durante Millwall-Luton, dove la polizia fu messa in fuga da bande rivali accomunate per l’occasione dalla sete di “vendetta” nei confronti dello stesso nemico rappresentato
dalle forze dell’ordine o i disordini in Chelsea-Sunderland, dove i tifosi dei Blues invasero il campo attaccando e picchiando i calciatori. Per non parlare dei 56 morti e 260 feriti sofferti solo due mesi prima dell’Heysel all’interno di un altro stadio inglese, il Valley Parade di Bradford. In questo caso, oltre all’eccessivo numero di spettatori presenti, l’episodio che causò la strage fu un incendio scoppiato all’interno di una tribuna coperta e la contemporanea, folle decisione, da parte delle autorità cittadine, di chiudere i varchi di accesso e di deflusso per il timore di un ingresso allo stadio di tifosi senza biglietto. Per questo motivo, molti sostenitori finirono arsi vivi fra le fiamme. Tutti sintomi che qualcosa di altrettanto grave, a ragion di logica, poteva accadere di lì a poco e che, puntualmente, capitò nel giorno della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool.
Nel settore Z dello stadio Heysel di Bruxelles, circa un’ora prima dell’inizio della partita, gli hooligans iniziarono a caricare lo spicchio riservato ai tifosi juventini, sfondando le flebili reti divisorie. L’obiettivo, come da codice ultras, era quello di provocare la reazione degli ultras juventini, nel tentativo di addivenire ad uno scontro fisico. Tale reazione, però, non ci fu, essendo il tifo organizzato bianconero presente nella curva opposta. Così, gli spettatori juventini di quel settore, impauriti e colti dal panico, iniziarono a indietreggiare, finendo con l’ammassarsi contro il muro opposto alla zona riservata agli inglesi. La pressione della calca, unita alla fatiscenza dell’impianto che, sotto il peso della gente, vide collassare una parte del muro divisorio, fece sì che moltissime persone rimasero schiacciate, calpestate dalla folla e uccise nella corsa verso una via d’uscita, rappresentata da un varco aperto verso il campo di gioco e, contemporaneamente, bloccato dalla polizia belga.
I fatti di Bruxelles comportarono la squalifica, da parte della Uefa, di tutti i club inglesi in qualsiasi competizione calcistica europea per i successivi cinque anni (sei per il Liverpool) nel tentativo di spingere, una volta per tutte, il Governo inglese ad assumere seri provvedimenti nei confronti degli hooligans.
Ciò che non riuscì con l’Heysel lo realizzò la già citata strage di Hillsborough del 1989, vera goccia che fece traboccare il vaso colmo di pazienza del Governo inglese. Con una serie di interventi, la violenza negli stadi, legata a doppio filo alla scarsa sicurezza degli impianti stessi, a partire dal 1994 iniziò a diminuire drasticamente. Ciò non significa, però, che il fenomeno hooligans al giorno d’oggi sia scomparso. Gli episodi di violenza hanno semplicemente preso un’altra strada, a paradigma di una violenza che, al giorno d’oggi, non si tarderebbe a definire “2.0”. Questa è ben rappresentata dal film di Ken Loach “Il mio amico Eric”. In questa pellicola del 2009 si descrivono gli scontri fra i tifosi del Manchester United e le tifoserie avversarie in ambientazioni “neutre” e lontane dagli stadi dove si giocano le partite, luoghi ben controllati dalla forza pubblica. Allo stesso tempo, in una recente ricerca della BBC è emerso come, nella sola stagione 2012/13, gli arresti avvenuti in Inghilterra per reati collegati ad eventi calcistici sono stati ben 2.456. Tale dato, da una parte implica il coinvolgimento di appena lo 0,01% degli spettatori totali dei primi tre campionati nazionali, dall’altro segnala come il fenomeno non sia per nulla debellato in via definitiva quanto, piuttosto, decisamente ridimensionato. Al tempo stesso, si rileva come abbia semplicemente cambiato “location” rispetto ai più classici stadi di un tempo.

Gli Orange
Nell’insieme delle torbide scorie barbariche che si porta dietro, la fenomenologia della violenza negli stadi di calcio si distingue nettamente a seconda delle zone dove la stessa si manifesta. Se, infatti, per quanto riguarda il caso inglese, si riscontra una chiara connotazione violenta fine a se stessa, nata agli inizi degli anni ’70, nel periodo della grande crisi economica che ha devastato il Paese, in altre parti d’Europa il tifo calcistico (e non solo) si intreccia con particolarismi regionalistici, sociali e politici. In Gran Bretagna, gli scontri calcistici dovuti a motivi politici o campanilistici, come avviene in Italia o in altre Nazioni “pallonare”, sono molto limitati e si contraddistinguono in tal senso solamente in ambiti molto peculiari, come il caso del derby di Glasgow, la “Old Firm”, che vede opposti i Cattolici del Celtic ai Protestanti dei Rangers. Lo scontro è in primo luogo religioso, poi nazionalistico e appena in terza battuta sportivo.
Una radice molto simile, ma con una sfaccettatura già di tipo razziale, è invece presente nel panorama calcistico olandese, le cui frange del tifo più radicale nacquero anche qui all’inizio degli anni ’70, su emulazione degli stessi gruppi hooligans d’oltremanica. Complice una cultura, sportiva e non, attigua a quella britannica, nacquero e crebbero rapidamente fazioni che ben presto si fecero conoscere in Patria e all’estero per la loro violenza, come l’F-Side dei tifosi dell’Ajax o il Vak-S dei supporters del Feyenoord. Questi ultimi, assieme ai Norh Side dell’Aia, sono fra i più pericolosi d’Olanda. Mescolano una mentalità spiccatamente anticonformista, tipica degli hooligans, ad una matrice razzista nei confronti degli acerrimi nemici dell’Ajax, colpevoli del peccato originale di rappresentare la squadra che, almeno in origine, contraddistingueva gli appartenenti alla religione ebraica. Nel 1974 avvennero i primi grandi scontri in occasione della finale di coppa Uefa Everton-Feyenoord. Al termine del match, vinto dal Feyenoord, vi furono più di 200 feriti e 70 arresti. Questo fu il primo di una serie di episodi violenti avvenuti in terra Oranje e conclusisi (per il momento) a febbraio in occasione del match Roma-Feyenoord. Anche nel caso olandese gli episodi di violenza in Patria sono via via diminuiti a causa della sempre maggiore restrizione operata dal legislatore nazionale. Ciò non toglie che, come nel recente caso di Roma-Feyenoord di Europa League dello scorso 19 febbraio, gli stessi tifosi più radicali attendano le partite di carattere internazionale per sfogare i propri istinti più beceri.

Germania Uber Alles
Una Nazione fra le più importanti in Europa, da un punto di vista calcistico, è la Germania. Al contrario di quanto avviene in altri Paesi, negli ultimi anni qui si assiste ad un’escalation del fenomeno della violenza negli stadi. Anche qui, come in altre parti del Vecchio continente, molto spesso i fenomeni sono associati alla
presenza, nelle curve, di gruppi politici sempre più consolidati.
Contrariamente alla Gran Bretagna, in Germania i fatti più gravi sono avvenuti negli ultimi cinque anni. Nel 2012, a Dortmund, gli scontri in occasione di Borussia-Schalke comportarono il ferimento di decine di ultras e l’arresto di ben 180 “tifosi” prima dell’incontro. Come se non bastasse, in occasione della partita di ritorno, i tifosi dello Schalke tentarono di bloccare l’ingresso ai rivali gialloneri, dando vita ad una vera e propria guerriglia urbana. Alcuni mesi prima, altri scontri si verificarono fra i tifosi del Karlsruhe e quelli del Ratisbona, con un bilancio finale di 75 feriti, mentre, nel 2011, per la prima volta nella storia del campionato tedesco, una squadra fu esclusa dalla Coppa di lega a causa delle intemperanze dei propri ultrà. I dati descrivono un aumento del fenomeno a partire dalla fine degli anni ’90. Recentemente, grazie alle misure adottate dal Governo nel 2013, i feriti imputabili a violenze riconducibili a partite di calcio sono calati di quasi 400 unità rispetto ai 1.142 del campionato precedente.
Gli stessi dati, però, sono stati ribaltati da altri riguardanti la stagione corrente emessi dalla polizia federale. Essi parlano di un aumento del 63% dei feriti. Sempre in Germania, il settimanale Bild, a testimonianza di come la correlazione stadi-violenza sia tutt’altro che vicina ad una soluzione, ha svelato il decalogo del vero ultras, uscito su una fanzine di un gruppo di sostenitori dello Schalke. Si enuncia come gli ultras dovrebbero relazionarsi fra di loro e con la polizia: “Sii un guerrigliero leale. Non si usano armi negli scontri, se non contro i poliziotti. Con loro tutto è lecito. Ricordati: gli sbirri sono il nemico comune. Qualsiasi gruppo ultrà è nostro alleato contro di loro”. Dal canto suo, il sindacato della Bundespolizei ha denunciato, nel marzo scorso, la sensazione di abbandono da parte delle autorità preposte e il contemporaneo clima di minaccia costante che si sta abbattendo sui responsabili dell’ordine pubblico: minacce ai familiari e scritte oscene sulle case dei poliziotti che operano negli stadi stanno diventando all’ordine del giorno. «Almeno gli hooligans inglesi si menavano fra di loro dandosi appuntamento per picchiarsi – aggiunge un responsabile del sindacato di polizia – mentre quello che accade qui adesso ha dell’incredibile: ultras una volta nemici sono adesso uniti per dare addosso alla polizia. La società ci deve aiutare perché la polizia da sola può ben poco».

Rispondi