Dalle lame alle pallottole: 50 anni di tifo violento nel Belpaese

di Stefano Rongione

Dalla nascita all’affermazione del “fenomeno sociale” degli ultras, passando per gli incidenti più tragici che hanno contraddistinto l’escalation del tifo violento italiano

La commemorazione di quest'anno per Stefano Furlan, il tifoso alabardato morto nel 1984 a seguito di Triestina - Udinese di Coppa Italia (foto Riccio per City Sport)

La commemorazione di quest’anno per Stefano Furlan, il tifoso alabardato morto nel 1984 a seguito di Triestina – Udinese di Coppa Italia (foto Riccio per City Sport)

Italia, Paese di santi, poeti, navigatori e – perché no? – (accesi) tifosi di pallone. Sin dal periodo pionieristico (stiamo parlando degli anni intercorsi tra i due conflitti bellici), il calcio ha fatto subito breccia nel cuore degli Italiani. Un numero crescente di persone (di qualsivoglia età, sesso, ceto sociale) ha iniziato ad attendere con trepidazione la domenica per andare allo stadio o, in alternativa, seguire le gesta della propria squadra attraverso le prime radiocronache. Negli anni ‘50 il “credo calcistico” è diventato una sorta di fenomeno sociale. Lungo tutta la
Penisola sono nati club di settore e, per la prima volta dall’inizio del secolo, gli stadi hanno iniziato a colorarsi con bandiere e striscioni, ai quali si sono aggiunti i primi cori. Insomma, sostenere la propria squadra assumeva sempre più i connotati di una vera e propria fede.

Gli anni del cambiamento: la politica sbarca in piazza
Tra gli anni ‘60 e ’70, in Italia, come nel resto d’Europa e del mondo, si registra un notevole fermento. È il periodo dei grandi movimenti di massa. La gente scende in piazza per far sentire la propria voce. Negli Stati Uniti per manifestare contro la guerra del Vietnam, nell’Est europeo per reclamare l’indipendenza decisionale, dal punto di vista politico ed espressivo. Nel Belpaese, a tenere banco sono le questioni di tipo sociale. Giovani ed operai si uniscono per far sentire tutto il proprio malcontento. Adeguamento dei salari in conformità all’orario di lavoro, estensione del diritto allo studio anche per i giovani dei ceti sociali più disagiati e cambio radicale dei contenuti dei programmi scolastici sono i temi che animano le manifestazioni popolari che sorgono da Trento a Messina, passando per le grandi città, come Milano, Torino, Firenze e Roma. Si creano, così, i primi movimenti di stampo politico. Italiani affiliati alla sinistra e Italiani affiliati alla destra sfilano facendo sentire le proprie ragioni, ma spesso tali manifestazioni sfociano in gravi episodi di violenza. L’aria che si respira inizia a diventare pesante.

La svolta del tifo: nascono i gruppi ultrà
Anche il fenomeno “tifo” risente degli influssi di quel preciso periodo storico. Come nel Regno Unito, anche in Italia vengono costituiti i primi gruppi ultras, vere e proprie frange organizzate del tifo che hanno nelle curve (i settori posti alle spalle delle porte) la proprio residenza. Lo scopo è quello di ritagliarsi un ruolo sempre più attivo durante le partite di campionato, provando ad assumere i panni del tanto decantato “dodicesimo uomo in campo”. Insomma, il sostegno alla propria squadra si fa sempre più organizzato e pirotecnico. Negli stadi italiani fanno ingresso fumogeni e strumenti a percussione che ritmano i canonici 90 minuti domenicali. Nella ritualità, però, fanno ingresso anche i primissimi momenti di tensione. I primi episodi di violenza sono essenzialmente riconducibili a motivi di stampo campanilistico, una sorta di riproposizione in chiave moderna della rivalità feudale che animò i secoli medievali. Nascono così le prime contrapposizioni territoriali, a cominciare dalle incandescenti stracittadine che animano le quattro capitali calcistiche italiane: Inter–Milan (all’ombra della Madonnina), Juventus–Torino (sotto la Mole), Genoa–Sampdoria (il derby della Lanterna) e Lazio–Roma (nella Capitale). Gare di cartello, affiancate dai cosiddetti derby di matrice regionale (Brescia–Atalanta, Udinese–Triestina, Fiorentina–Livorno, Napoli–Avellino, Bari–Lecce, Palermo–Catania le sfide più rappresentative). La svolta giunge all’inizio degli anni ‘70, con la politicizzazione delle frange ultrà. La politica, sempre più dominante nel panorama nazionale, entra anche nelle curve, comportando l’affiliazione dei tifosi più caldi ai vari schieramenti. Si creano, così, dicotomie tra gli ultras di estrema destra e quelli di estrema sinistra.
Tale processo provoca anche la scissione interna alle suddette tifoserie: tifosi della stessa squadra costituiscono più gruppi a seconda del credo. Le rivalità (con annessi episodi di violenza) si moltiplicano a livello esponenziale. Oltre a quelle territoriali e politiche, nel corso della storia calcistica vanno sommate anche quelle prettamente sportive, basate su risultati/episodi di campo (Juventus–Inter è l’esempio più longevo, Juventus–Fiorentina il più emblematico).

Anni ’60: a Salerno la prima vittima del calcio
Le prime intemperanze negli stadi si registrano già nell’immediato secondo dopoguerra. Lancio di oggetti in campo, sassaiole verso il pullman della squadra avversaria, tafferugli sugli spalti iniziano a contraddistinguere le domeniche, soprattutto nelle piazze della massima serie storicamente più “calde”. La prima vittima del calcio italiano non si registra, però, a margine di una partita di Serie A, ma di una di Serie C. Il 28 aprile 1963, allo stadio “Vestuti” di Salerno, si gioca una sorta di “spareggio” per la promozione in B tra i padroni di casa e il Potenza. A fine partita, i tifosi invadono il campo per vendicarsi di un torto arbitrale. Sul prato del “Vestuti” scoppia la guerriglia. Nella concitazione, un poliziotto spara in aria un colpo di pistola. Il proiettile raggiunge gli spalti e provoca la morte involontaria di Giuseppe Plaitano, 48enne tifoso della Salernitana.

Anni ‘70: la violenza negli stadi diventa costante
Dalla guerriglia (assurda) di Salerno il calcio italiano non trae nessun insegnamento. Nel decennio successivo, la violenza negli stadi inizia a diventare una sorta di spettacolo di contorno, grazie anche all’importazione britannica denominata “holding the end”. La tifoseria ospite (se numerosa e compatta), facilitata dalle esigue barriere di separazione tra curve e distinti, andava “alla conquista” della curva locale e del suo materiale (striscioni, vessilli, bandiere). I primi esempi di questa “nuova moda” si notano in Torino–Sampdoria del 10 marzo 1974 e nel derby Roma–Lazio del 31 marzo dello stesso anno. Le tifoserie rivali si danno battaglia prima con un fitto lancio di oggetti, poi con una serie di risse sugli spalti. Lazio–Napoli e Milan–Juventus della stagione successiva sono, invece, caratterizzate da un accoltellamento. Molto calda anche la stagione 1977-1978: durante il match Atalanta–Torino, gli ultrà delle due squadre si scontrano sugli spalti a sprangate, mentre, nel derby della Madonnina, “Boys” (interisti) e “Brigate Rossonere” si sfidano all’ultima lama. L’11 marzo 1979, a catalizzare l’attenzione per gli incidenti sono gli ultras di Lanerossi Vicenza ed Hellas Verona, sino ad arrivare al tragico derby romano del 28 ottobre 1979, giorno in cui allo “Stadio Olimpico” perde la vita Vincenzo Paparelli, raggiunto alla testa da un razzo sparato dal settore caldo del tifo romanista. Domenica di ordinaria follia quella del 28 ottobre: pesanti scontri si registrano anche ad Ascoli (Ascoli–Bologna), Milano (Inter–Milan) e Brescia (Brescia–Como).
Per la prima volta l’opinione pubblica viene scossa da questo fenomeno, sempre più dilagante.

Anni ‘80: il fenomeno ultras diventa “costume nazionale”
Gli incidenti tra tifoserie trovano sempre più spazio su quotidiani e notiziari televisivi. Negli anni ’80, il movimento registra una forte espansione sull’intero territorio. Prima, il tifo caldo era una peculiarità prettamente associata alle piazze più importanti, in questi anni il fenomeno imperversa anche nelle piccole realtà delle categorie inferiori. L’8 febbraio 1984, a margine di Triestina–Udinese (ottavo di finale di Coppa Italia), le due tifoserie vengono ripetutamente a contatto. La giornata finisce in tragedia con
l’incidente occorso a Stefano Furlan, entrato in coma per le pesanti percosse subite dalle forze dell’ordine.
Il tifoso rossoalabardato morirà il primo marzo, dopo venti giorni di agonia. Il 30 settembre dello stesso anno, a spezzarsi è la vita del tifoso milanista Marco Fonghessi, accoltellato mentre difendeva la sua autovettura dal “fuoco amico”. La macabra escalation prosegue con la morte di Nazzareno Filippini, il 9 ottobre 1988, giorno in cui, al “Del Duca” di Ascoli, va in scena Ascoli–Inter. Autentico mese nero del calcio italiano è il giugno del 1989. Il giorno 4, stroncato da un attacco cardiaco durante un agguato fuori da “San Siro”, si accascia l’ultrà romanista Antonio De Falchi. Il 18, in occasione di Fiorentina–Bologna, Ivan Dall’Oglio (supporter bolognese) viene irrimediabilmente sfigurato dall’esplosione di una molotov lanciata nel compartimento dei tifosi felsinei da un commando di ultrà viola. Lo scontro prolifera a dismisura in tutte le realtà calcistiche italiane.

Anni ‘90: il decennio della crisi degli ultras, ma il sangue sgorga ancora
L’ultimo decennio del XX secolo segna una forte crisi del movimento ultrà. Decadenza imputabile alla repentina metamorfosi che va a subire, in quegli anni, il mondo stesso del calcio, in primis con l’ingresso delle pay-tv. Gli ultras prendono una netta posizione di distacco dal calcio che sta emergendo, contraddistinto da variazione degli orari delle partite, inserimento nel tabellone dei tanto odiati anticipi e posticipi e trasferte non più “omaggiate” con ingressi gratuiti. Tale decadimento viene amplificato da una profonda crisi interna del movimento. Molti gruppi storici si disgregano o, addirittura, si sciolgono definitivamente. Nonostante la crisi, però, la violenza continua a scandire le domeniche. Il 10 gennaio 1993, Celestino Colombi muore al termine di Atalanta–Roma: il tifoso nerazzurro, rimasto accidentalmente coinvolto durante le cariche della polizia, viene stroncato da un infarto. Esattamente un anno dopo perde la vita Salvatore Moschella: il tifoso ragusano, per disperazione, si lancia dal treno in corsa in prossimità della stazione di Acireale per scampare ad un agguato degli ultras del Messina. 29 gennaio 1995: nelle ore antecedenti al fischio di inizio di Genoa–Milan viene accoltellato a morte Vincenzo Spagnolo, diciottenne tifoso del Grifone. Il 1° febbraio 1998, sugli spalti dello “Stadio Tenni” di Treviso, muore durante una rissa scoppiata tra i supporter di casa e i tifosi del Cagliari Fabio Di Maio (anche in questo caso è un attacco cardiaco la causa del decesso). A seguito di Piacenza–Salernitana, il 24 maggio 1999 muoiono sul treno che li riportava in Campania Vincenzo Lioni, Ciro Alfieri, Simone Vitale e Giuseppe Diodato. Fatale per i quattro tifosi granata un incendio appiccato per imperizia dagli stessi ultras salernitani.

2000: l’ultrà torna di moda e diventa parte integrante del mondo del pallone
Il nuovo millennio si apre con le scomparse di Antonino Currò (17 giugno 2001), tifoso del Messina, deceduto dopo una notte in coma a causa di una bomba carta lanciata dai tifosi del Catania, e di Sergio Ercolano (20 settembre 2003), precipitato nel vuoto durante gli scontri antecedenti il derby di Coppa Italia Napoli-Avellino. È un periodo di svolta: i tifosi più caldi dichiarano guerra al sistema (ai palazzi del calcio, alle forze dell’ordine), tornano a farsi sentire con ritrovata forza e ridiventano, giocoforza, parte integrante del pianeta football. Il primo esempio emblematico si ha il 21 marzo 2004. Il 154° derby della Capitale viene, infatti, sospeso nel corso della seconda frazione. Prima del fischio d’inizio, attorno allo “Stadio Olimpico”, si scatenano ripetute scene di guerriglia urbana tra le frange estreme delle due
curve e le forze dell’ordine. Ad inizio ripresa si diffonde la notizia (inventata) della morte di un bambino. Alcuni tifosi entrano in campo e intimano di smettere di giocare. Dopo quasi venti minuti di “trattative”, il match viene definitivamente sospeso.
Esito ben più tragico si ha il 2 febbraio 2007, nel derby siciliano Catania-Palermo. La tensione degenera ad inizio ripresa con un tentativo di contatto tra le due tifoserie all’esterno del “Massimino” ed annesso lancio di oggetti e petardi. La polizia cerca di reprimere i disordini con i lacrimogeni. L’aria diventa irrespirabile e la partita viene sospesa per quaranta minuti. Dopo il triplice fischio, scoppia la guerriglia tra gli ultras etnei e le forze dell’ordine. Negli scontri perde la vita l’ispettore capo Filippo Raciti e altri 71 agenti restano feriti. Per la prima volta il calcio italiano si prende una pausa per riflettere su tali episodi. Vengono subito messe in atto procedure d’urgenza, ma la violenza non si placa. L’11 novembre 2007, presso l’area di servizio di Badia al Pino (Arezzo), perde la vita Gabriele Sandri, tifoso laziale ucciso da un proiettile esploso dalla pistola dell’agente della polizia stradale Luigi Spaccarotella. La notizia si diffonde su tutti i campi e le curve chiedono la sospensione del campionato, come già successo in occasione della scomparsa dell’ispettore Raciti.
La Lega Serie A, in segno di lutto, decide per un lieve posticipo del fischio di inizio. A Roma gli ultrà della Lazio assaltano una caserma della Polizia e, successivamente, la sede del Coni.
Sugli altri campi si protesta vivacemente contro la decisione di far giocare le gare. A Bergamo (Atalanta–Milan) i Bergamaschi impongono lo stop alla gara. Sugli altri campi si respira tensione, ma non vi sono incidenti. Nel frattempo, nel corso del pomeriggio, viene decretata la sospensione ufficiale del match di Bergamo e il rinvio a data da destinarsi di Inter–Lazio e Roma–Cagliari. Ciononostante, per tutta la serata a Roma continua la guerriglia. Il 30 marzo 2008 perde la vita, sempre in un’area di servizio, il tifoso del Parma Matteo Bagnaresi, rimasto accidentalmente schiacciato da un pullman di tifosi juventini. In segno di lutto, il match Juventus–Parma viene rinviato.
Negli ultimi anni si moltiplicano scene di intere squadre (a prescindere dalla categoria) chiamate a rapporto delle frange più calde. Emblematico ciò che succede il 22 aprile 2012 a Genova, con la sospensione di Genoa–Siena sul punteggio di 4-1 per i Toscani. I supporter genoani impongono lo stop con un fitto lancio di petardi e chiamano sotto il proprio settore la squadra, ordinando ai giocatori di togliersi le maglie “perché non degni di tali colori”. Ancora più assurda la vicenda che contraddistingue il derby campano Salernitana–Nocerina (Prima Divisione di Lega Pro) del 10 novembre 2013: gli ultras della Nocerina, ai quali era stata vietata la trasferta per motivi di ordine pubblico, irrompono nel ritiro dei propri giocatori, chiedendo ed ottenendo un confronto con gli atleti. Allo “Stadio Arechi” la squadra intera comunica al direttore di gara di non voler scendere in campo perché minacciata di morte dai suoi stessi tifosi. Il derby ha inizio con quaranta minuti di ritardo, ma non dura molto. I giocatori della Nocerina restano volontariamente in 6, così l’arbitro è costretto a decretare la fine della contesa dopo appena 21 minuti.
L’ultimo episodio folle del nostro calcio si registra il 3 maggio 2014, a margine della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina, disputatasi a Roma e macchiata di sangue. Prima del fischio di inizio, le due tifoserie trovano il modo di venire ripetutamente a contatto, anche al di fuori della Capitale. Ma è nella Città dei Sette Colli che si consuma la tragedia di Ciro Esposito, ultrà napoletano ucciso da un colpo di pistola esploso da un “collega” romanista. In trent’anni si è, quindi, passati dalle lame alle pistole. Per il definitivo salto di qualità, il calcio italiano dovrà attendere ancora qualche anno…

di Stefano Rongione
giornalista di City Sport

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