Perché sostenere il Jobs Act

di Vanessa Camani

La riforma del mercato del lavoro promossa dal Governo Renzi si configura come una svolta non solo necessaria, ma moderna ed armonica nel contesto dell’Unione Europea. Il Jobs Act è un passo dell’Italia verso un futuro più stabile e, soprattutto, europeo

camaniIn questi giorni (giovedì 15 gennaio, n.d.a.) il Vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, in occasione di un’audizione a Montecitorio davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato, ha definito come essenziale il percorso di riforma intrapreso dall’Italia, citando espressamente il Jobs Act come atto fondamentale che «aiuterà le assunzioni ed è più equo rispetto ai giovani», fondamentale per portare il nostro Paese nel cuore dell’Europa e del mercato unico europeo.
Il processo di integrazione europea, la capacità delle istituzioni comunitarie di superare la crisi di fiducia e, soprattutto, la necessità di fornire risposte adeguate alla pesante congiuntura economica passano anche dall’efficacia con cui i Paesi membri si attiveranno per trasformare l’Europa del rigore e della finanza in una comunità politica coesa e solidale. Il ruolo dell’Italia, in questo quadro, è stato ed è centrale.
Da un lato, sul fronte esterno, per la capacità dimostrata, durante il Semestre di Presidenza, di incidere sulle istituzioni dell’Unione, spingendo fortemente verso politiche marcatamente orientate alla crescita ed agli investimenti.
Dall’altro, sul fronte interno, con l’impegno non più rimandabile di riforma delle istituzioni, passaggio chiave per aumentare la competitività del nostro Paese.
Il nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (EFSI) si impegnerà in prestiti ad altro rischio a favore delle imprese e funzionerà se sarà sostenuto da un rapido ed efficace rafforzamento del mercato unico.
L’approvazione del Jobs Act, come la riforma della giustizia civile, rappresenta un pezzo della strada dell’Italia verso l’Europa e verso il futuro.
Ecco perché su questo provvedimento non si poteva, e non si doveva, a mio avviso, condurre una battaglia di principio e di trincea, ma andavano, invece, colte le sfide della contemporaneità, mettendosi alla pari con una società e con un mondo che cambiano rapidamente.
Dunque, pur rispettando le legittime opinioni di tutti, ho creduto e credo che questo provvedimento sia “importante e giusto”, per riprendere le parole di Katainen, e che il percorso di confronto e di dialogo scelto dal PD e dal Governo, prima nella Direzione Nazionale, poi in Commissione Lavoro, infine in Aula senza porre la fiducia, sia stato il metodo migliore per affiancare al contrasto delle vecchie ingiustizie la battaglia contro le nuove disuguaglianze.
Sui temi del lavoro e della vita delle persone, in particolare, serve il coraggio di interpretare i diritti e i principi sapendoli rinnovare perché siano patrimonio davvero di tutti, non solo rivendicazione di alcuni.
La priorità con cui fare i conti oggi è la necessità di dare speranza alle nuove generazioni, che spesso non conoscono altro che precariato, di frequente sottopagato o non riconosciuto. La fotografia, a volte impietosa, della realtà ci racconta di un mondo nel quale, negli ultimi sei mesi, come negli ultimi sei anni, il 70% dei contratti di lavoro stipulati è rappresentato da contratti precari, subordinati, atipici o a tempo determinato.
La Delega Lavoro si pone come obiettivo principale quello di ridurre questa ingiustizia, procedendo con un taglio netto delle forme atipiche e rafforzando le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro per le ragazze e i ragazzi.
La volontà che, per le nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato, a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, diventi la forma comune di rapporto di lavoro viene rafforzata dalla decontribuzione totale per i nuovi assunti, prevista già a partire dal 1° gennaio di quest’anno.
Anche l’introduzione del compenso orario minimo per i lavoratori subordinati e per i co.co.co va nella direzione di correggere la stortura per cui oggi, spesso, anche chi lavora è povero.
E la modifica all’articolo 18, relativa solo, per i contratti a tutele crescenti, alla fattispecie di licenziamento economico nel caso in cui il motivo del recesso sia infondato, rimane davvero marginale, per importanza e sostanza.
Per questo non avrei aperto, come invece è stato fatto, la discussione sul tema. Per questo non avrei caricato di significati ideologici questo passaggio. Per questo leggo come una sconfitta la traduzione di un principio in elemento identitario piuttosto che in strumento di tutela reale.
Contemporaneamente al contrasto alla precarietà, si è voluto rovesciare il paradigma e porre al centro dei diritti il lavoratore, nel suo percorso professionale, e non il posto di lavoro, costruendo un sistema di tutele universali e non basate sulle dimensioni dell’azienda, sul settore di attività o sulla collocazione geografica.
Si è intervenuti, dunque, proponendo una vera riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, che prevede, prima di tutto, la razionalizzazione delle forme di tutela già esistenti per gli interventi in costanza di rapporto di lavoro (Cassa Integrazione Guadagni e Contratti di Solidarietà), in secondo luogo la revisione e l’estensione di quelle previste in caso di disoccupazione involontaria (ASpI estesa anche ai co.co.co. e in rapporto alla storia contributiva del lavoratore) e, infine, introducendo una nuova prestazione per i lavoratori più deboli, da erogare a margine delle altre tutele previste.
Si è deciso, infine, di intervenire per garantire un sostegno adeguato alle cure parentali e alla maternità. Ciò per due ragioni sostanziali: da un lato, con la volontà di offrire riparo a tutte le debolezze e le fragilità, con il contrasto alla pratica meschina delle “dimissioni in bianco” e l’estensione della maternità a tutte le lavoratrici; dall’altro, a fronte della necessità di contribuire concretamente alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei genitori, prevedendo una maggiore flessibilità per i congedi parentali. La maternità rappresenta una ricchezza, sociale ed economica. Produce rete sociale e funziona da moltiplicatore di risorse economiche. Anche la previsione, contenuta nella legge di Stabilità, del cosiddetto “bonus bebè” va esattamente nella medesima direzione. Oltre a tutto questo, la Delega contiene anche indicazioni importanti in tema di politiche attive per il lavoro, con l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione, e nella direzione della semplificazione di procedure e burocrazie.
Il Jobs Act, dunque, è un provvedimento complesso e articolato, che prova ad affrontare con sistematicità le criticità del nostro sistema e ad offrire una speranza alle nuove generazioni.
Il cuore dell’intervento è l’Europa, il mercato unico, e la volontà è quella di arrivarci in maniera competitiva.
Naturalmente, oggi attendiamo i Decreti Delegati, sui quali sta lavorando il Governo proprio in queste settimane, per misurare l’effettiva efficacia della manovra. Ma i primi dati relativi al numero di assunzioni con contratti stabili del 2015 fanno sperare di essere nella direzione giusta.

di Vanessa Camani
Deputata Partito Democratico.

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