Chiamarsi Allende: il peso della Memoria

di Ana Gabriela Pereyra

@uxilia ripercorre insieme alla scrittrice Isabel Allende, nipote del Presidente cileno Salvador Allende, la storia del suo Paese e dell’intera America Latina, dal colpo di Stato di Pinochet fino ad oggi

allendeChe ricordi ha di quell’11 settembre del 1973 e come vede oggi quel giorno in prospettiva?
Fu un giorno di paura e confusione. In Cile non sapevamo cos’era un colpo di stato militare, non avremmo mai immaginato che le nostre forze armate fossero capaci delle brutalità che commisero e ancora di meno immaginavamo che sarebbero restate al potere per più di sedici anni. Quel giorno andai in ufficio presto e i miei figli, che erano piccoli (10 e 7 anni, rispettivamente), andarono a scuola a piedi. Nelle strade non c’era il normale traffico. Si vedevano camion militari, soldati, carri armati, elicotteri nel cielo e lavoratori che aspettavano autobus che non arrivarono mai. Vidi il bombardamento del Palacio de la Moneda (il Palazzo del Governo). Non potevo credere a ciò che stava accadendo. I miei figli erano andati dalla nonna, a 200 metri da casa mia, e fu lì che ci riunimmo. Non c’erano notizie, soltanto informazioni militari e proclamazioni patriottiche. Verso le 2 o le 3 del pomeriggio una mia amica della TV mi avvisò che avevano prelevato il corpo senza vita di Salvador Allende dal Palacio de la Moneda. Riuscii a comunicare con i miei genitori, che erano ambasciatori del Cile in Argentina, e loro lo sapevano già. La notizia aveva fatto il giro del mondo, ma in Cile non si seppe fino a molte ore dopo. Presto ci accorgemmo di cosa significasse la repressione: gente detenuta, torturata, desaparecidos, corpi galleggianti nel fiume Mapocho, censura, bruciatura di libri nelle strade, ecc.

Pensa che il popolo cileno fosse consapevole di ciò che stava accadendo nel Paese in quel momento?
È possibile che Salvador Allende fosse l’unica persona, oltre ai militari implicati nel golpe, che sapesse ciò che sarebbe accaduto.
L’opposizione al Governo socialista di Allende desiderava un colpo di stato militare, ma supponeva che i militari avrebbero “pulito e messo ordine” al Paese e poi riportato il Cile alle urne. In quel modo, l’opposizione stessa si sarebbe ripresa il potere. In generale, il popolo cileno visse la repressione come un’orribile sorpresa.

Salvador Allende rappresentava la possibilità di arrivare al socialismo in modo pacifico. Lei come lo ricorda?
Era un uomo coraggioso, carismatico, dotato di senso dell’umorismo. Gli piaceva vivere, apprezzava l’arte, aveva buoni amici.
Dormiva poco e studiava molto, aveva un’ottima memoria, sembrava essere sempre molto informato. Non cambiò, né avrebbe mai cambiato la sua idea di Cile. Non si sarebbe mai arreso ai militari. Morì come visse, in linea con i suoi principi e con quelli del suo Paese.

Cosa l’ha portata ad andare in esilio? il suo cognome o la sua personale appartenenza politica?
Non ho voluto vivere e crescere i miei figli in un Paese sotto dittatura. Arrivò il punto in cui si parlava della tortura come fosse qualcosa di normale. Io non ho mai partecipato alla vita politica, ma offrii aiuto per nascondere profughi e presto mi accorsi del pericolo che ciò significava per me e per la mia famiglia. Avevo paura.

Aver scritto “La casa degli spiriti” e “D’amore e ombra” durante il regime di Pinochet può essere stato di aiuto per far sì che il resto del mondo venisse realmente informato di ciò che stava accadendo in Cile?
I Cileni in esilio fecero un lavoro incessante per informare il mondo di ciò che stava succedendo nel Paese. I miei romanzi possono aver contribuito, ma il merito non è mio, è delle migliaia di persone che fecero tutto il possibile per far sì che il Cile continuasse a vivere nella coscienza del mondo.

Augusto Pinochet tradì Salvador Allende. Pensa che la CIA volesse eliminare la figura del Presidente o fu un modo per fermare la corrente socialista che avanzava?
Quello che fu definito “l’esperimento socialista cileno” era pericoloso per gli Stati Uniti perché poteva estendersi a tutta l’America Latina. Non dimentichiamoci che eravamo in piena “guerra fredda”, la Rivoluzione Cubana aveva trionfato e c’erano movimenti di guerriglia di sinistra in quasi tutto il continente. La missione della CIA era destabilizzare il processo cileno, provocare una crisi economica, politica e sociale di una tale magnitudine che i Cileni si sarebbero ribellati al Governo Allende e avrebbero distrutto il loro “esperimento”. Siccome non conseguirono
questo obiettivo, sostennero il colpo di stato militare con la collaborazione della destra cilena. Non so se la CIA volesse davvero assassinare Allende. Penso di no. Non desiderava un martire.

Secondo la sua opinione, perché non fu giudicato Augusto Pinochet?
Perché la destra ha molto potere in Cile e tutti nella sinistra e nei partiti di centro sinistra avevano paura di come avrebbero reagito i militari. Giudicando Pinochet, avrebbero giudicato le stesse forze armate. La Democrazia ha dovuto patteggiare. Spero che la storia giudichi Pinochet come si merita.

Si può dire che, raccontando la storia recente del Cile, lei racconta la storia recente dell’America Latina?
No. Io scrivo romanzi, non sono una storica.

Quanto influì la dittatura militare in lei come scrittrice?
La dittatura mi costrinse a lasciare il mio Paese. Vissi per tredici anni in Venezuela, senza radici, malata di nostalgia per il Cile, ricordando il passato. Da quell’esperienza nacque “La Casa degli Spiriti”. Dubito che sarei diventata scrittrice senza l’esilio. Se fossi rimasta in Cile, sarei sicuramente diventata giornalista.

Considera importante la conservazione della Memoria?
Senz’altro. Non solo perché in questo modo possiamo evitare di commettere gli stessi errori in futuro, ma anche perché, studiando il nostro passato come Paese e come Nazione, ci conosciamo meglio. I Cileni, come quasi tutti i popoli, hanno una narrativa alterata del loro carattere e della realtà vissuta. Conoscendo il passato scopriamo chi siamo davvero.

Crede che l’opinione pubblica internazionale abbia reale coscienza di ciò che accadde in America Latina negli anni ’70?
Negli anni ’70 si aveva questa consapevolezza, ma sono passati 40 anni e non possiamo aspettarci che le nuove generazioni la possiedano, a meno che non la studino.

È possibile una riconciliazione della società rispetto ai fatti accaduti durante le dittature militari in America Latina o sarà un capitolo che non potrà mai concludersi?
Tutti i capitoli si chiudono, prima o poi, ma a volte sono necessarie diverse generazioni perché le ferite si rimarginino. Sudafrica, Germania e tanti altri Paesi sono passati per situazioni similari o persino più brutali delle dittature latinoamericane. Bisogna conoscere la verità e cercare di fare giustizia per rendere possibile la riconciliazione. Il tempo aiuta a guarire il dolore del passato.

Oggi in America Latina ci sono diversi Governi che perseguono la giustizia sociale come obiettivo primario: che opinione ha al riguardo?
È un grande passo in avanti, ma in America Latina permane la stessa struttura di potere economico che ha sempre detenuto il potere. Ci sono enormi differenze sociali, razzismo verso gli indigeni, le persone di colore e i poveri, discriminazione, violenze di tutti i tipi, particolarmente contro la donna, e adesso abbiamo anche problemi internazionali con le droghe, il traffico di armi, la tratta e la corruzione. Queste cose sono sempre esistite nella nostra storia – siamo popoli conquistati e sfruttati – ma ora, per lo meno, c’è coscienza al riguardo. Stiamo andando avanti, non indietro.

Che opinione ha riguardo all’iniziativa che un giornale europeo come SocialNews si occupi di diffondere i fatti accaduti in America Latina durante l’Operazione Condor?
Sono molto contenta che esista questo giornale perché l’interesse del mondo ormai non è più indirizzato verso l’America Latina, ma verso il Medio Oriente. È importante che la stampa continui a informare sul nostro sofferto continente e a denunciare le atrocità che si commisero in quegli anni.

di Ana Gabriela Pereyra
Coordinatore Nazionale di @uxilia Onlus.

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