Infrastrutture e competitività

di Giulia Pezzano

www.themeditelegraph.com

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26 miliardi di euro. A tanto ammontano i finanziamenti concessi dall’Unione Europea nel settore dei trasporti. Nove i corridoi principali di trasporto: l’Italia dovrebbe essere attraversata da ben cinque di essi.

L’uso del condizionale è, purtroppo, d’obbligo; il nostro Paese è infatti campione d’inadempimento e di spreco delle risorse europee (basti pensare alle famigerate “Italian Highways” irlandesi, autostrade costruite con i fondi riassegnati all’Irlanda dopo che l’Italia non era stata in grado di sfruttarli).

L’importanza strategica del settore dei trasporti è ben nota all’UE: si prevede che entro il 2050 il trasporto merci crescerà dell’80% e quello di passeggeri di oltre il 50%. La crescita presuppone scambi commerciali e gli scambi commerciali presuppongono trasporti. Le zone d’Europa sprovviste di buoni collegamenti non sono destinate a prosperare.

Questo concetto è semplice e immediato; eppure, guardando all’atteggiamento dell’Italia, sembrerebbe non essere tale. La quantità di fondi europei destinati alle infrastrutture effettivamente utilizzati dal nostro Paese sfiora a malapena il 12% del totale stanziato. Non c’è dunque da stupirsi se dal 1990 ad oggi la matrigna Europa ci ha decurtato di oltre un terzo i finanziamenti in questo settore. Non l’avrebbe forse fatto qualsiasi genitrice responsabile? La perdita dovuta al gap infrastrutturale con la Germania è stata stimato in circa 142 miliardi di PIL nel primo decennio del 2000, ad ulteriore testimonianza della strategicità di infrastrutture e trasporti.

Perché dunque le nostre istituzioni non si danno una mossa, mettendo la parola fine a questo continuo e inesorabile stillicidio di risorse?

L’inerzia e l’indifferenza di chi è preposto a dirigere lo sviluppo e il progresso del Paese è tutto ciò che rimane, a noi poveri Italiani, dell’avanguardistico e romantico sogno europeo. L’ennesimo schiaffo in faccia alla linfa del Paese, alle famiglie, alle sempre meno imprese che ancora trovano il coraggio e l’amor di patria per investire in Italia, a quei sempre più folli giovani che scelgono masochisticamente la difficile strada del non espatrio.

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