La natura dell’Unione Europea nei settori della sicurezza internazionale e della gestione delle crisi – Il caso Kosovo (parte II)

di Alfonso De Laurentiis

http://www.cesvi.org

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Al fine di inquadrare sin da subito il caso del Kosovo è doveroso porre l’accento sul fallimento dell’Unione Europea nella gestione della prima fase della crisi nei Balcani. I fatti ci raccontano che l’Unione Europea non fu in grado di evitare l’escalation della guerra e della violenza in Bosnia-Herzegovina. Alcuni anni più tardi anche in Kosovo non si riuscì a evitare l’escalation e fu la NATO che intervenendo militarmente pose fine alle violenze perpetrate dalla Serbia nei confronti del Kosovo. In quei primi anni furono proprio le Nazioni Unite e la NATO a svolgere un ruolo di primo piano nell’area. Ciononostante, negli ultimi due anni si sono registrati successi da parte dell’Unione Europea.

Attraverso la diplomazia europea, la Serbia e il Kosovo hanno avuto modo di stipulare accordi di rilievo nel corso del 2012 e del 2013. Ciò è stato possibile perché oltre alla gestione delle crisi di tipo tradizionale, l’Unione Europea è stata anche estremamente attiva nella gestione delle crisi di tipo strutturale grazie alla creazione di EULEX KOSOVO. EULEX KOSOVO è una delle principali missioni civili nel settore della gestione delle crisi e fonda la propria missione sul principio dello stato di diritto. L’Unione Europea, contando su uno staff di 2000 membri, è stata di grande supporto nella costruzione dei nuovi settori di polizia, giudiziario e doganale, fornendo assistenza finanziaria e tecnica durante il percorso di (ri)costruzione istituzionale in Kosovo. Nel 2013 sono iniziati in negoziati sull’Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) tra l’Unione Europea e il Kosovo che dovrebbe condurre a integrare gradualmente il Kosovo in una serie di istituzioni e accordi che l’Unione Europea ha già stretto con altri Paesi dell’area.

Come possiamo valutare la politica dell’Unione Europea in Kosovo? Prima di ogni altra considerazione, tenendo ben presente che 5 Stati Membri su 28 non riconoscono l’indipendenza del Kosovo,  possiamo dire che è già abbastanza sorprendente che l’Unione Europea abbia portato avanti una sua politica. In effetti, sussiste un forte disaccordo sulla questione: il Kosovo è o non è indipendente? Nonostante tale dilemma gli Stati Membri hanno convenuto sull’opportunità di stabilizzare il Paese e coadiuvarlo nei processi istituzionali. Naturalmente, l’Unione Europea riesce ad avere un discreto impatto sul Kosovo per due ragioni: perché il Kosovo è abbastanza piccolo e perché il Kosovo sa che, almeno nel lungo periodo, potrebbe essere a poco a poco integrato all’interno delle politiche dell’Unione Europea. Su quest’ultimo punto il Kosovo è avvantaggiato poiché esiste una sostanziale differenza rispetto agli altri vicini dell’Unione Europea dell’Europea orientale (Ucraina) e ancora di più rispetto ai vicini meridionali. I Paesi arabi sono verosimilmente in grado di aspettarsi una maggiore integrazione con le istituzioni europee e le politiche dell’Unione Europea? E ancora: fino a che punto i cittadini percepirebbero il possibile impatto delle politiche dell’Unione Europea? Il sentimento comune è che l’Unione Europea eviti o trascuri un tema chiave come la disoccupazione, che è il problema condiviso dalla maggioranza dei cittadini. Per questo motivo, da una prospettiva esterna che non prenda in considerazione i problemi delle popolazioni degli Stati Membri, si potrebbe affermare che l’Unione Europea ha successo nella gestione della crisi in Kosovo.

Per quanto riguarda le principali sfide nel settore della gestione delle crisi è evidente che la gestione della crisi di tipo strutturale – ma anche quella di tipo tradizionale – presentano maggiori ostacoli in scenari complessi (Somalia, Corno d’Africa), mentre l’impegno in Kosovo gode di molteplici vantaggi. I problemi fondamentali sono legati alla costruzione e al coordinamento poiché gli strumenti sono enormi eppure frammentati: strumenti finanziari, istituzioni coinvolte, varie politiche sovrapposte. Gli interessi strategici dell’Unione Europea nel settore economico e politico, inoltre, non sono sempre ritenuti positivi per i Paesi terzi ma soltanto per la stessa Unione Europea. Nell’ambito della gestione delle crisi internazionali il nodo cruciale è quello di un graduale passaggio dal tipo tradizionale al tipo strutturale e questo può avvenire esclusivamente percorrendo il doppio binario dell’azione nel lungo periodo e della chiara volontà di affrontare le maggiori difficoltà riscontrate, in modo da trasferire il punto d’osservazione da Bruxelles ai Paesi terzi.

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