Aprirsi al mondo restando se stessi

Tiziana Mazzaglia

Si può chiedere agli immigrati di abbandonare la propria religione, cultura e identità, a meno che queste non violino la legge del Paese di arrivo. Anzi, la presenza di nuove culture può contribuire alla creatività di cui l’Europa ha bisogno

Per parlare di immigrazione e intercultura bisogna prima capire come si sono evolute le prospettive dell’emigrazione agli inizi del secondo millennio. L’inflazione demografica è la principale causa che genera la migrazione verso le nazioni occidentali o verso i Paesi in via di sviluppo. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un dinamico teatro di massicci spostamenti che hanno comportato profondi mutamenti sociali. Le statistiche riportate da IOM, World Migration Reporter 2010, International Organization for Migration, Ginevra 2010, dimostrano che fino al 2050 nei Paesi più sviluppati ci sarà una forza lavoro costituita da circa 600 milioni di persone; nei Paesi meno sviluppati passando da da 2,4 miliardi nel 2005 a 3 miliardi nel 2020 e 3,6 miliardi nel 2040. La società del nostro pianeta è ormai divenuta multietnica e quindi multiculturale. In uno stesso ambiente si ha la compresenza di tratti culturali profondamente diversi che potranno essere una risorsa solo se conditi di tolleranza, reciproca accettazione e fratellanza. Di fondamentale importanza è quindi il dialogo tra queste culture, al fine di consentire una convivenza armonica. Nel 2004 il Consiglio d’Europa aveva elaborato i Principi fondamentali comuni per l’immigrazione e nel 2009 è iniziato anche il Forum Europeo per l’Integrazione il quale ha luogo ogni sei mesi.
Questi sono alcuni dei temi trattati: rispetto dei valori fondamentali; mettere gli immigrati in condizione di conoscere e acquisire le conoscenze base della lingua, della storia e delle istituzioni della società; garantire parità ai cittadini per evitare discriminazioni del Paese che li ha accolti; garantire la pratica di culture e religioni diverse nel rispetto di altri diritti europei inviolabili. H. Goslinga, in Multiculturalismo o declino (2011) scrive: «l’11 maggio, in pieno dibattito sull’immigrazione, il gruppo di eminenti personalità guidato da Joschka Fischer ha presentato un rapporto intitolato “Vivere insieme: come coniugare diversità e libertà nell’Europa del XXI secolo”, il sui messaggio è il seguente: a meno di saper coltivare la propria diversità, l’Europa si ritroverà inevitabilmente svantaggiata sul piano demografico. Ciò si spiega con un dato molto semplice: senza immigrati, la popolazione attiva diminuirà di cento milioni di persone entro i prossimi cinquant’anni, mentre la popolazione complessiva andrà progressivamente aumentando e invecchiando. L’Europa dovrà dunque aprirsi all’immigrazione e alla diversità nel proprio tessuto sociale. Del resto, non si può chiedere agli immigrati di abbandonare la propria religione, cultura e identità. Secondo il gruppo, composto da otto illustri personalità, tra cui l’ex Segretario Generale della Nato Javier Solana, l’ex commissaria UE Emma Bonino e lo scrittore Timothy Garton Ash, non è un problema il fatto che gli immigrati portino con sé il proprio bagaglio culturale finchè rispettano la legge. Anzi: sarebbe un bene, poiché l’arrivo di nuove culture può contribuire alla creatività di cui l’Europa oggi ha più che mai bisogno. Trasmettere questo messaggio è difficile, in quanto va controcorrente rispetto al discorso populista secondo il quale l’immigrazione di massa è una minaccia per l’Occidente”. Parlare di integrazione non significa abolire gli Stati nazionali. Anche se la gente si identifica con il proprio Stato, poi è nella nazione che si ritrovano a vivere la loro esperienza concreta. W. Schäuble scrive in Il nucleo duro è più vivo che mai, in Il triangolo dei Balcani: “Eppure, nel nostro futuro, accanto agli Stati nazionali vedremo l’Unione Europea segnare e determinare sempre più l’operato politico e la vita reale della gente. L’Europa avvolgerà i singoli Stati, li libererà da carichi di responsabilità, e al tempo stesso darà loro peso e prestigio internazionali. Ma non potrà sostituirli né assorbirli. […] Acquisirà connotati simili a quelli statali mettendo in comune sempre più campi d’azione, e devolvendo sovranità nazionali, ma non assorbirà appieno le qualità del livello istituzionale nazionale. Quindi non è contraddittorio dire che vogliamo approfondire l’Europa e conservare la nostra identità di italiani, francesi, tedeschi eccetera”.
Quali sono state le prime tappe dell’integrazione? Dobbiamo risalire ai primi anni della Seconda guerra mondiale, quando per la prima volta Ernesto Rossi e Altiero Spinelli hanno elaborato un’idea federalista con il Manifesto di Ventotene (1941). Poi nel 1949, a Londra si ha il Consiglio d’Europa, un organismo di tipo consultivo rivolto alla tutela dei diritti dell’uomo. Con il proseguire degli anni i popoli europei hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà. L’Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo nel rispetto della diversità. Tutti principi stabiliti attraverso la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nella quale vengono riaffermati, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, del trattato dell’Unione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d’Europa, nonché i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e dalle Comunità Europee e da quella della Corte Europea Diritti dell’Uomo. Questi presupposti servono ad incoraggiare un godimento responsabile dei diritti in una prospettiva che tenga conto delle generazioni attuali e future.

Tiziana Mazzaglia
Professoressa in istituti di istruzione secondaria, giornalista, scrittrice, collaboratrice di SocialNews

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