Italiani a Mariupol, Ucraina

di Gabriele Lagonigro

Le testimonianze dei nostri connazionali raccolte nell’est dell’Ucraina, dove la tensione è ancora altissima.
GLI ITALIANI DI MARIUPOL: “QUI SIAMO DI CASA. QUESTA GUERRA E’ ASSURDA”

 Municipio di Mariupol

Municipio di Mariupol distrutto dalle fiamme

Non c’è solo l’Ucraina mineraria che brucia ormai da mesi. Se il Donbass è l’epicentro della rivolta al governo di Kiev, anche più a sud, sul mare d’Azov, a due passi dal confine russo, i segni delle battaglie sono visibili dappertutto. A Mariupol, 500 mila abitanti impiegati nei distretti metallurgici e nelle attività portuali, da metà giugno l’esercito regolare ha riconquistato il centro città. Tutto tranquillo, tutto sotto controllo, allora? Non proprio.
Le ferite sanguinano ancora, e non solo metaforicamente. Il palazzo del Comune, a due passi dagli alberghi principali, è stato distrutto dalle fiamme. Stessa fine ha fatto una delle banche “filo Kiev” sull’arteria principale, e diversi altri edifici sono in cenere. I separatisti, asserragliatisi nelle loro sedi occupate nel cuore di Mariupol, sono stati uccisi, feriti, diverse decine arrestati nell’attacco delle scorse settimane; ma molti di loro – un centinaio – sono riusciti a scappare. Si stanno riorganizzando in periferia, e c’è persino il sospetto che si siano rifugiati in qualche abitazione del centro. In ogni caso, hanno già replicato con un’offensiva mirata sul ponte che porta in città: in un’imboscata hanno fatto fuoco a tre pullman dell’esercito che trasportavano militari, causando sette morti e almeno dieci ricoverati in gravissime condizioni. Ed è probabile che gli stessi filorussi entro breve possano preparare un nuovo attacco, stavolta in grande stile, per riprendersi i centri di potere. A Mariupol si sono visti carri armati di Mosca entrati più o meno segretamente dal confine con Taganrog e Rostov sul Don. Se da oltrefrontiera dovessero giungere altre armi, la resa dei conti potrebbe essere vicina.
A convivere con la minaccia di spari, bombe e cecchini non c’è solo la popolazione autoctona, che chiede “pane e pace” (la situazione economica della “middle class” ucraina è al collasso), ma anche una decina di italiani che vive a Mariupol da parecchi anni e che ha persino creato, sul mare d’Azov, la locale associazione degli Alpini.

Bruno Palmieri, referente della comunità italiana

Bruno Palmieri, referente della comunità italiana

“Paura no, tensione sì, parecchia – afferma il capo carismatico del gruppo, Bruno Palmieri, napoletano, che qui ha messo radici da due decenni – anche perché sono convinto che la guerra, o come vogliamo chiamarla, non sia ancora terminata”. Gli fa eco l’imprenditore Marcello La Ferrara, catanese che ha vissuto a lungo negli Stati Uniti e in Venezuela: “A metà maggio uscire di casa era diventato un problema, e anche nelle scorse settimane gli scontri armati riecheggiavano per tutta la città. C’è il rischio di un proiettile vagante, o magari che qualche ubriaco possa avere la luna storta e possa dare in escandescenza, anche a causa della tensione accumulata in questi mesi”. Giacomo Leone, ex vicecomandante della Polizia municipale a Scampia, racconta che “noi italiani in particolare siamo stati presi di mira dai filorussi. Non dalla gente del posto, che con noi è sempre stata molto gentile, ma da questi guerriglieri che arrivano spesso da fuori e che nei blocchi stradali ci guardavano male, come se l’appoggio di Roma al governo ucraino fosse responsabilità nostra”.
Sguardi truci, qualche offesa, un senso di pericolo che fortunatamente non si è mai concretizzato in qualche atto palesemente ostile, ma la vigilanza, degli italiani e di tutti quelli che mettono piede da queste parti, deve essere massima. C’entra poco se vivi qui da vent’anni e se sei perfettamente integrato nel tessuto locale, “perché i separatisti – spiegano in coro i tre italiani di Mariupol – non sono quasi mai del posto ma arrivano da fuori, a volte persino dal Caucaso. Si dice che siano pagati 300 dollari al giorno, qualcuno addirittura giura che si arrivi a mille per quelli più addestrati. E chissà – dicono ironici – da dove arrivano questi soldi…”.
Che cosa si aspettano, gli italiani di Azov, per questa estate? “Ci sarà un colpo di coda – è convinto La Ferrara – e potrebbe essere qualcosa di molto pesante. I filorussi si stanno riorganizzando e rifinanziando. A volte lo fanno persino rapinando le banche… Ma nel lungo periodo i separatisti, qui al sud, non hanno speranze. La gente a Mariupol vuole parlare russo, vuole potersi esprimere nella propria lingua in tutti i documenti ufficiali, vuole insomma quel rispetto che Kiev negli ultimi mesi non è riuscita a garantire. Ma non vuole certo combattere con questi esagitati che creano disordine e paura”.

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