Requiem per la Siria

di Angela Michela Rabiolo

BRUXELLES – I rifugiati siriani in Belgio hanno deciso di richiamare l’attenzione sulle elezioni-farsa che si stanno svolgendo oggi nel paese che hanno dovuto abbandonare a causa della guerra e delle violenze perpetrate ormai da 3 anni dal regime di Assad.

WP_000518Al grido di “Siria libera” e “Assad assassino” in pochi minuti si sono riuniti in place Luxembourg, proprio di fronte al Parlamento europeo, simbolo della democrazia occidentale europea. Alcuni di loro parlano italiano poiché sono sbarcati in Italia dove poi hanno dovuto aspettare di aver riconosciuto lo status di rifugiato. Le procedure burocratiche sono così veloci che hanno avuto il tempo di imparare la nostra lingua mentre, al contrario, ancora non conoscono né il francese né il belga.

Secondo il ministero dell’Interno siriano, gli elettori sono 15,8 milioni dentro e fuori il territorio nazionale. Bisogna considerare infatti, che secondo l’Onu negli ultimi anni circa il 40% della popolazione ha lasciato il paese per sfuggire dagli orrori della guerra e dalle persecuzioni politiche. Sono stati allestiti 9.600 seggi e date le previsioni di un’affluenza straordinaria, la chiusura è stata prorogata a mezzanotte, le 23 in Italia. Assad ha voluto queste elezioni anche se la guerra ha già provocato più di 240 mila morti in 3 anni. Il presidente Bashar al-Assad si prepara dunque al terzo rinnovo del suo mandato di 7 anni da quando è salito per la prima volta al potere nel 2000. Le operazioni di voto si svolgono solo nelle zone controllate dal governo, mentre sono completamente escluse le aree (per la maggior parte localizzate a Nord) in mano ai ribelli i quali non hanno permesso l’allestimento dei seggi. Vi è un enorme spiegamento di forza pubblica e ogni passante è accuratamente controllato. Anche i partiti curdi hanno annunciato il boicottaggio ma sono molti i siriani che hanno paura di rappresaglie se non si presentano davanti alle urne, per cui l’affluenza è massiccia e la vittoria di Assad scontata. Per la prima volta in 40 anni, non ci sarà solo un candidato: questa volta, almeno formalmente, il presidente uscente ha 2 avversari, Maher Hajjar e Hassan al-Nouri, entrambi poco noti.

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Mentre Assad e sua moglie Asma si sono fatti fotografare al seggio, i manifestanti di place Luxembourg hanno inscenato un corteo funebre trasportando a spalla una bara di cartone nella quale era stata ricavata una fessura simile a quella dell’urna elettorale. Lì, a turno, ogni manifestante ha infilato un foglio con su scritto “Basta Assad” e “Ne abbiamo abbastanza” “Elezioni insanguinate”; qualcuno ha strappato il foglio con l’effigie presidenziale. Sulla bara è stata poi appesa una maschera come simbolo delle menzogne che il regime cerca di diffondere.

I siriani all’estero hanno potuto votare una settimana fa. Solo però chi dimostrava di avere i documenti in regola poteva farlo. Ciò significa che chi è fuggito perché perseguitato politico non potrà esprimere la propria dichiarazione di voto. Sono stati pochi i paesi che hanno permesso lo svolgimento delle operazioni di voto su suolo estero: tra questi Russia, Giordania, Libano e Iran. Tutti gli altri hanno deciso di non appoggiare in alcun modo quella che considerano una farsa che produrrà un risultato scontato e pilotato.

Tutto questo lascia presagire la continuazione della guerra civile. L’ex mediatore dell’Onu e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, dimessosi a maggio, vedeva nella rielezione la distruzione dell’unica chance di ripresa del dialogo politico tra le parti.

Per il governo invece le elezioni rappresentano la soluzione al conflitto: se i cittadini eleggono Assad, la guerra finirà poiché la volontà popolare della maggioranza sancirebbe il potere di Assad; se il presidente invece non fosse rieletto si metterà da parte e un’altra figura politica governerà il paese. In realtà, il voto sancisce la volontà di Assad di non lasciare il potere o di trovare un compromesso. Il voto sarà probabilmente considerato illegittimo da molti paesi occidentali, esclusi Russia e Iran, alleati del governo siriano, e Assad vedrà la nuova vittoria come un mandato per la campagna militare contro l’opposizione.

Ai rifugiati non resta che manifestare e diffondere le notizie che fanno un rapido e macabro conto delle morti: ogni 12 minuti muore qualcuno. In particolare, ogni 30 minuti muore un uomo, ogni 45 una donna, ogni 50 un bambino; ogni 10 ore un dissidente politico muore per torture nelle prigioni del regime e ogni 8 ore e mezzo qualcuno muore di freddo perché non ha più una casa. Gli attacchi chimici non fanno alcuna differenza nella popolazione. Le perdite economiche ammontano a 103 miliardi di dollari, le perdite della riserva centrale ammontano a 25 miliardi; più di 3 milioni di case distrutte; 3 mila scuole rase al suolo; 224 ospedali collassati; 1.485 luoghi di culto tra chiese e moschee non esistono più. Sono 3.2 i milioni di rifugiati, 94 mila le persone scomparse in circostanze sospette, 252.786 i prigionieri politici, 6.8 milioni i siriani che sono rimasti in patria ma sono stati dislocati e 240.186 hanno perso la vita.

La situazione dei rifugiati siriani nel cuore dell’UE pone oggi degli interrogativi profondi che superano i confini della Siria stessa per approdare a una riflessione sulla possibilità di distorsione degli strumenti democratici, l’uso del voto per mantenere un regime crudele. Questa riflessione arriva dritta e forte come un pugno all’interno delle nostre istituzioni europee appena riformate per venire maggiormente incontro alla volontà popolare.

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